Di Vincenzo Santo*
Roma. Un gruppo di parlamentari grillini qualche giorno fa ha presentato un’interrogazione al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, dove si chiede una moratoria di un anno al programma di acquisto per i cacciabombardieri di quinta generazione F-35, in modo da destinare le risorse finanziarie, pari a circa un miliardo di euro, alla sanità militare.
Perché stupirsi? Siamo in Italia, non scordiamolo.
Possiamo accusare i pentastellati di tutto, ma dobbiamo uscire da un equivoco con il quale noi italiani conviviamo da sempre in merito ad argomenti relativi alla Difesa: da un lato i militari credono di essere importanti, dall’altro invece i politici sono disinteressati, a meno di mettere in campo un odioso concetto di “uso duale”, per dare soddisfazione a un uditorio elettorale assolutamente digiuno in termini di interessi nazionali e di geopolitica e, quindi, ben poco avvezzo ad accettare che qualcuno possa anche e persino sparare per difendersi.
Financo lo “scortare” con un paio di fregate una nave dell’ENI che si avventura nelle acque cipriote è un atto troppo intraprendente e da condannare. Resta da chiedersi perché mai abbiamo quelle navi? Per soccorrere gli immigrati irregolari?
I militari sono alla mercé dell’analfabetismo di un popolo intero. Quindi, dei suoi politici. Ma così come per innamorarsi bisogna essere in due, la responsabilità non è solo del politico. Anche se è compito della politica educare i cittadini e non soggiacere pigramente a pratiche populiste.
Andiamo per ordine.
A pagina 71 del suo ultimo rapporto, l’Esercito specifica che “una componente terrestre all’avanguardia, alla pari delle forze aeree e navali, costituisce un requisito imprescindibile per avere uno strumento militare bilanciato, efficace ed efficiente”. Ben si coglie una sfumatura quasi d’invidia nei confronti di Marina e Aeronautica e, in secondo luogo, un tono di amara sofferenza. Appena appena sussurrato.
In effetti, a fronte di pur importanti acquisizioni e prossimi ammodernamenti, non molto è cambiato dall’anno precedente in termini di disponibilità finanziarie.
Disponibilità che incidono sulle attività di ogni giorno, dall’addestramento alla manutenzione del parco mezzi e di quello infrastrutturale.
E con 257 milioni di euro per il solo “esercizio” si fa veramente ben poco, anche con le entrate aggiuntive garantite per decreto grazie all’impiego “Fuori Area” o per quello sul territorio nazionale. Importanti e irrinunciabili boccate di ossigeno.
Del resto, a ragione, uno sguardo alla tabella qui sotto potrà facilmente cogliere il perché di questa sofferenza.
Lo stato di efficienza non è certamente quello che un qualsiasi comandante vorrebbe trovarsi a dover gestire. Senza contare il gran peso del patrimonio infrastrutturale (3 mila siti di cui un terzo inattivi), per il cui mantenimento si è dovuto persino ricorrere all’investimento, allo scopo di recuperare alloggi per il personale in servizio.
Va da sé che nella competizione tra le singole Forze Armate, in termini di appetibilità industriale, l’Esercito attira di meno, favorendo appetiti più golosi a favore di Marina e Aeronautica.
E questo è un fatto reale che non si può negare abbia influito fin troppo spesso sulla politica nazionale della Difesa. Marina e Aeronautica sono indubbiamente le più “lucrose”.
Al riguardo, tuttavia, e riconosco che la mia posizione sia difficile da condividere, bisogna tenere a bada la baldanza dell’industria della Difesa.
Con il pericolo di voler innovare a tutti i costi, quasi sia divenuta una necessità, dato che con i nuovi equipaggiamenti ci si assicura anche un pacchetto di assistenza che sgrava per qualche tempo i costi di mantenimento, oggi pressoché insostenibili per gli assetti in dotazione.
E lo abbiamo visto. Ma alla scadenza tra pochi anni che faremmo? Rinnoveremmo ancora? Dico semplicemente che occorre fare attenzione nel subordinare la politica della Difesa alla politica industriale!
Uno strumento militare non deve essere il frutto delle esigenze dell’industria, né tantomeno vittima di concetti pretestuosi quali ad esempio quello del “Mediterraneo Allargato”, che ha prodotto negli anni una visione esclusivamente aeronavale. Sbagliando!
Tuttavia, se si ritiene che le “le risorse assegnate risultano di gran lunga inferiori a quanto necessario, con il conseguente rischio di un decadimento delle capacità dello Strumento Terrestre” e che “è pertanto necessaria e urgente una norma pluriennale a supporto del rinnovamento della componente Esercito -Legge Terrestre”, come si combinano in modo coordinato queste due affermazioni con il convincimento di essere ben dimensionati “per assolvere i compiti assegnati in maniera pronta, capace ed efficiente”?
Si vuole rasserenare il politico e il pubblico? E poi, questo varrebbe veramente per tutti, e dico tutti, i compiti che derivassero dalle missioni della Difesa (1)?
Se la risposta è affermativa, francamente mi chiedo che ragione ci sia per manifestare al politico di turno, violando la sua pretestuosa e pervicace sordità, la presenza di problemi di decadimento, di ammodernamento o di innovazione o di altro ancora.
E se la risposta è negativa? Ci arriveremo.
In un mondo militare in cui una componente quasi schiuma per i privilegi concessi alle altre due, e in cui queste due litigano per chi debba avere preminenza nell’acquisizione degli F-35 a decollo verticale, mi sorge qualche dubbio che idee e propositi siano chiari veramente.
Insomma, o si è dimensionati oppure non lo si è. Una fastidiosa ma indispensabile logica binaria da cui discendono i costi. E, inoltre, si potrebbe anche essere o no dimensionati per scenari che si delineano per un probabile futuro. Per cui doversi preparare. Scenari che, con le rispettive ipotesi di impiego, devono poter giustificare di che “che cosa” si abbisogna ora o in futuro. Quindi, ancora, costi.
In sostanza, perché e per cosa ci servono gli F-35 o un’ulteriore portaerei oppure un’altra brigata paracadutisti?
Ora, è corretto presentare rapporti periodici, come quello che ho letto dell’Esercito, che costituiscano un’istantanea sullo stato dell’arte, una sorta di radiografia.
Se chi deve leggerli, cioè il politico, li legge. Un percorso misurato, ricco di numeri e statistiche … e speranze. Nessun grido altisonante di allarme, solo fatti. Anche se un allarme, e lo imparo da due articoli di inizio anno (2), uno su Formiche l’altro su Report Difesa, l’Esercito lo ha lanciato in uno studio presentato dal neonato “Centro Studi Esercito” lo scorso gennaio.
Ma di queste “gride manzoniane” ne ho sentite tante nella mia precedente vita in uniforme. Come ieri, soprattutto oggi, nella nostra “politica signorile di massa”, parafrasando Luca Ricolfi, non fanno più presa.
Non è nemmeno credibile vaticinare che con questa tendenza tra qualche anno si scomparirà. E, tra l’altro, questo dannatissimo COVID non promette nulla di buono per le finanze della Difesa, e chissà per quanti esercizi finanziari ancora.
Attenzione, è dovere di chi rappresenta un’istituzione, oltre alla radiografia, porre in risalto le ritenute carenze, i problemi e le soluzioni possibili. Questo è chiaro. Tuttavia, io ritengo che, soprattutto ai giorni nostri, il tutto non possa essere più licenziato con il solito melanconico lamento sulla carenza dei fondi e sulla necessità di ammodernamento e innovazione tout court. Lamento e necessità a cui sfuggono una verità e una realtà ben più ampie.
Ci vuole qualcosa di più.
Il punto è che tutti hanno ragione. Voglio dire che, per come vanno le cose, e come sono sempre andate del resto, i vertici militari hanno pienamente ragione, i soldi scarseggiano in tutti gli ambiti.
Tuttavia, quando più attori si esprimono con motivazioni opposte, e a ciascuno di essi si può serenamente dare ragione, allora non può che essere evidente che ci sia qualcosa che non vada per il verso giusto.
E che si arrivi, come detto, persino ad accapigliarsi su chi debba avere preminenza nel ricevere gli F-35B, è veramente fuori da ogni logica, direi paranoico.
La coperta è corta e, inoltre, non si capisce a quali compiti occorrerebbe rispondere. Sarebbe ora di iniziare a chiedersi seriamente perché abbiamo delle Forze Armate e per farne che cosa. E non rimetterle al centro dei nostri pensieri solo quando è necessario riempire le buche di Roma o trasportare le bare dei deceduti di COVID-19.
O affidandosi a costosi sondaggi per rilevarne la simpatia presso il popolo e fermarsi lì. Il fatto che il cittadino veda bene o no le Forze Armate non ci fornisce risposte utili, né colma la differenza tra l’apparire e l’essere. Sempre che un sondaggio non costituisca una molla pretestuosa per garantirsi qualche spazio in più di manovra in termini di spesa. Non è questa la strada comunque.
Approccio sbagliato. Purtroppo, devo rimarcare, è un passaggio che si legge a pagina 35 del “nuovo” Concetto Strategico del capo di Stato Maggiore della Difesa. Purtoppo! É un errore grossolano, quasi a volersi scaricare della colpa di non essere credibile oppure per una golosità narcisistica.
Perché non è possibile neanche immaginare che la sostenibilità dello strumento militare debba essere delegata alla percezione che il popolo possa averne in termini di necessità e utilità. Insomma, per capirci, non può né deve essere il fornaio di un Di Maio a decidere quanti F-35 acquistare e addirittura se comprarli! E viene naturale, ahimè, che in un momento di crisi pandemica, si ritenga normale stoppare l’acquisto di qualche aereo.
Abbiamo abituato i politici a svolazzare tra i nostri fumosi e inconcludenti concetti strategici, facendo loro intendere che al di là delle famose “gride”, comunque avremmo fatto qualsiasi cosa ci avessero chiesto, mascherando la nostra incapacità di vestire le nostre svolazzanti elucubrazioni con il fatidico “fronteggiare chi” e con il “con che cosa”.
Noi italiani, con la presunzione di non avere nemmeno un “nemico”, abbiamo cancellato questa parola dal nostro vocabolario, ma facciamo persino fatica a pronunciare “avversario”. Accontentiamoci del “competitore” almeno. Non ne abbiamo? Sbagliato, la Turchia già lo è, e da tempo.
Ma i vertici militari, lo ripeto, hanno ragione. E Vecciarelli lo ha scritto a pagina 20 del suo documento, laddove specifica la necessità di dotarsi di una Strategia Nazionale di Sicurezza. Vivaddio! Quante volte l’ho detto e scritto. Ne ho quasi la nausea. Se manca questa, i bizantinismi hanno vita facile.
Invece, lo strumento militare è il prodotto di un’analisi “ingegneristica” analitica, che deve rifuggire e ripetere concetti vuoti ma affascinanti solo perché posti in inglese. Deve scaturire da decisioni politiche sulla base di un costrutto chiaro di interessi e connessi obiettivi nazionali, così da delimitare con senso pratico e senza equivoci la progettualità del militare.
Star dietro ai processi internazionali di “generazione delle forze” e ripetere a cantilena le solite frasi riconcimate dalla NATO, che è in evidente decadenza da anni (e Macron ha ragione!), come se si propagassero dal roveto ardente, è un esercizio vuoto che non fa altro che fare eco a idee che l’Alleanza produce perché est, ergo cogitat, il contrario esatto della formula cartesiana. Facendoci perdere il senso pratico e lasciando tutta l’Istituzione in balìa delle fantasie industriali.
Insomma, ci devono essere delle solide ragioni operative, correnti o future, ma chiare e consistenti, per stabilire la necessità di avere ad esempio una brigata “pesante” – dire corazzata ormai evoca ambiti operativi che spaventano – o una portaerei oppure se acquistare 90 F-35 invece di 110 o di soli 60. Per non parlare degli elicotteri, che poi guai a chiamarli da combattimento o d’attacco, meglio da esplorazione e scorta.
E ritorno ancora al nocciolo. Lo so, sono ripetitivo: serve conoscere gli interessi, identificare gli obiettivi, individuare chi e con che cosa li si debba conseguire, definire quali siano le minacce a questi obiettivi, e dar loro un nome, valutare quali siano i rischi che ci si addosserebbero se quegli obiettivi non venissero raggiunti, quindi capire le misure per mitigarne le conseguenze e così via.
Da qui e solo da questo processo discende ciò che serve veramente quale strumento militare e, conseguentemente, quali siano i costi. E, ove questi risultassero insostenibili, ecco, si dovrà operare sul livello di ambizione. Questa è la risposta alla domanda che prima ho lasciato appesa. Semplice!
Ed è questo è il registro che deve utilizzare il militare. Questo è “il di più”. In soldoni, dire chiaramente quali compiti connessi con quali obiettivi non si riuscirebbe ad assolvere se non si procedesse a introdurre un nuovo carro armato o si limitasse, oppure solo rinviasse, l’acquisto degli F-35.
E basta con l’insufficienza dei fondi e basta soprattutto con il pensare che giri di parole quali “asimmetria delle minacce” oppure “scenari incerti” oppure, infine, e peggio, luoghi comuni del tipo “restare attore di rilievo in campo internazionale” aiutino a uscire dall’impasse dell’inconcludenza!
Mi rendo conto, lo riconosco, che hic stantibus rebus sia difficile dire chiaramente, e in modo inoppugnabile, quali compiti, e in ambito a quali missioni, non si potranno più assolvere e a partire da quando.
Semplicemente perché non si conoscono quei “compiti discendenti”, quindi le obiettive esigenze. È ridicolo pensare di cavarsela con l’assunto che in caso di conflitto con chicchessia, per esempio Mosca, tutta la capacità navale è impiegata. Ci mancherebbe. Ma la dimensione di uno strumento si configura sulla base degli interessi nazionali, ed essere in un’Alleanza non è un interesse ma semplicemente un “modo” (way), in quanto le alleanze cambiano, e devono potere essere mutevoli, e gli strumenti non vanno commisurati sulla base di quello che viene chiesto o artatamente offerto. Intelligenti pauca!
Arrivare al 2% del PIL non ha senso, oltre al fatto per noi che sia improponibile per lungo tempo, se non in quanto commisurato agli interessi nazionali.
Sono anni che ripeto questo ritornello in ogni consesso in cui mi sono trovato. E ne ho scritto persino. Si tratta di un approccio da cui, soprattutto oggi, con la velocità degli accadimenti e la scarsità crescente di risorse, non si può prescindere, vincendo la superficialità delle valutazioni e la spasmodica ricerca di un facile consenso che ci rassicuri la coscienza.
Certo, si potrà dare all’Esercito qualche miliardo l’anno per i prossimi 15 anni e dare vita a una “Legge Terrestre”, sottraendoli ad altri magari, tanto per rifiatare un po’, ma non servirebbe a nulla, laddove non si decidesse di cambiare approccio. Sarebbe come calciare il barattolo un po’ più in là.
Serve una strategia di sicurezza e serve chi la deve formulare!
Verità e realtà prima o poi vengono a galla. La prima come scoperta, già c’era ma era nascosta. La seconda come sorpresa, tragicamente, perché non si è fatto nulla per prevenirla. E le sorprese possono essere spiacevoli o tragiche. Noi italiani abbiamo una lunga esperienza storica in tal senso.
Ad ogni modo, ove fosse ritenuto faticoso e impercorribile impegnarsi in un approccio più virtuoso e tagliente, tutto continuerebbe semplicemente come ora, una spasmodica questua che incentiva una guerra tra poveri nel più freddo disinteresse politico.
Lasciando il campo libero alla logica pauperista e populista a chilometri zero, dallo stadio al Parlamento, dell’uno vale uno e della decrescita felice, che ritiene di poter a cuor leggero decidere cosa serva e cosa non serva nell’assoluta ignoranza del vero ruolo della Difesa e nella convinzione di fare facile cassetta di consensi.
Certo, la colpa è di questi politici e della loro ignoranza, ma la responsabilità è anche dei militari ad oggi incapaci di farli pensare e fargli pesare le loro vere e grandi responsabilità.
Comunque, fiducioso quale io sono, ho certezza che a breve leggerò la valutazione strategica, seria, edita dalla Difesa sulle conseguenze del mancato o del ritardato acquisto degli F-35, così come chiesto dai pentastellati. O no?
1 Difesa dello stato; Difesa degli spazi euro-atlantici ed euro-mediterranei; Contributo alla realizzazione della pace e sicurezza internazionale; Concorsi e compiti specifici
2 https://formiche.net/2020/01/investimenti-difesa-studio-esercito/; https://www.reportdifesa.it/esercito-convegno-a-roma-del-cse-cambiano-gli-scenari-di-guerra-necessarie-risposte-efficaci-per-limpiego-delle-forze-terrestri/
*Generale di Corpo d’Armata Esercito (Ris)
© RIPRODUZIONE RISERVATA