Di Maria Stefania Cataleta*
New York (nostro servizio particolare). Il primo grande genocidio del XX secolo è quello degli Armeni, perpetrato nel 1915 e rimasto impunito poiché una clausola del Trattato di Losanna del 1923 accordava un’amnistia.
Non ha seguito la stessa sorte la Shoah, un genocidio che ha visto puniti i principali responsabili, ma non per genocidio bensì per crimini contro l’umanità.
Oggi il Presidente americano Biden parla di genocidio ai danni degli Ucraini in quanto l’aggressione russa mirerebbe ad annientare l’identità ucraina e ad attuare l’ideale imperialistico della Russia di Putin.
Agli inizi degli anni ’90, le guerre nei Balcani e in Ruanda hanno visto compiersi genocidi.
Ventotto anni fa in Ruanda, esattamente il 6 aprile del 1994, l’aereo che trasportava il Presidente ruandes, Juvénal Habyarimana, e il Presidente del Burundi, Cyprien Ntaryamira, entrambi di etnia hutu, fu colpito da due razzi quando era in fase di atterraggio a Kigali.
Quell’attentato diede inizio al genocidio del Ruanda e ai massacri sanguinosi e indiscriminati da parte dei membri dell’etnia hutu nei confronti della minoranza dei tutsi, ritenuta responsabile dell’attentato; ma furono uccisi e perseguitati anche gli hutu considerati “moderati” o tolleranti.
Nel giro di 100 giorni, dal 7 aprile alla metà di luglio del 1994, furono uccise almeno 800 mila persone, ma molti stimano che le vittime siano state un milione, ci furono decine di migliaia di stupri e di bambini arruolati come soldati.
Il Tribunale penale internazionale per il Ruanda ha statuito che nel 1994 gli hutu hanno commesso un genocidio, poiché, oggettivamente, i tutsi erano un gruppo etnico caratterizzato da stabilità e permanenza, determinata dalla trasmissione ereditaria. Inoltre, i tutsi erano considerati un gruppo etnico proprio dagli autori del genocidio.
Il genocidio è definito le noyau dur della competenza ratione materiae della Corte penale internazionale.
Generalmente, è un crime d’État, vale a dire attuato in esecuzione di decisioni politiche adottate al vertice delle istituzioni statali.
Infatti, il genocidio nasconde il progetto di uno Stato o di una organizzazione statale, la cui conoscenza viene richiesta all’autore del crimine.
Winston Churchill lo definì il crimine senza nome e si dovette attendere la creazione di un neologismo da parte di un giurista polacco, Raphael Lemkin, che coniò il termine “genocidio” (dal greco genos, razza e dal latino cide, uccidere) inteso come uccisione di una nazione o di un gruppo, nel suo lavoro, pubblicato nel 1944, Axis Rule in Occupied Europe.
Nel 1945, i procuratori del Tribunale di Norimberga menzionarono il genocidio nell’atto d’accusa, anche se nella sentenza si parlò di crimini contro l’umanità.
Infatti, il genocidio non era espressamente menzionato tra i crimini contro l’umanità dall’articolo 6 dello Statuto del Tribunale di Norimberga, né dall’articolo 2 della Legge numero 10 del 20 dicembre 1945 emanata dal Consiglio di Controllo Alleato in Germania, che autorizzava ogni Potenza occupante a svolgere processi indipendenti contro sospetti criminali nella propria area di occupazione.
Fu con la risoluzione dell’Assemblea Generale numero 96 (I) del 1946 che il genocidio fu qualificato come crimine internazionale, definito come il “rifiuto del diritto all’esistenza di interi gruppi umani”, un rifiuto che “sciocca la coscienza dell’umanità, infligge gravi perdite all’umanità ed è contrario alla legge morale nonché allo spirito e ai fini delle Nazioni Unite”. Dunque, un crimine internazionale che il mondo civile condanna e per la cui commissione gli autori principali e i loro complici sono punibili, a prescindere se abbiano agito per motivi razziali, religiosi, politici o per qualsiasi altro motivo.
Nella giurisprudenza che si è sviluppata negli anni il genocidio è stato configurato come un crimine autonomo, distinto dai crimini contro l’umanità.
Questo diede il via all’elaborazione della Convenzione di New York per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, con cui l’autonomia del crimine di genocidio è stata confermata, adottata il 9 dicembre 1948 ed entrata in vigore il 12 gennaio 1951 e ad oggi, adottata da più di 150 Stati.
E’ tuttora il testo normativo di riferimento in questa materia.
La Convenzione sancisce che il genocidio, malgrado il suo carattere politico, non è considerato un crimine politico, ciò che ne permetterebbe l’estradizione.
La Convenzione non ha ancora ottenuto sul piano internazionale un consenso unanime, poiché non stata ratificata da tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, ciononostante essa ha forza cogente.
Nell’articolo 1 della Convenzione le Parti Contraenti confermano che il genocidio, sia che venga commesso in tempo di pace sia che venga commesso in tempo di guerra, è un crimine di diritto internazionale che esse si impegnano a prevenire e punire.
Questo articolo impone agli Stati contraenti non solo un obbligo di prevenire e reprimere il genocidio commesso da individui che si trovino sotto la loro influenza, ma anche implicitamente un obbligo di non commettere essi stessi genocidio attraverso il loro organi.
Inoltre, l’obbligo di prevenzione e repressione previsto dall’articolo 1 ha natura erga omnes, che deporrebbe a favore della quasi-universalità della giurisdizione, nel senso che i giudici di qualsiasi Stato parte possano processare e punire un individuo per genocidio, anche in assenza di contatti con il foro.
L’articolo 2 della Convenzione offre una definizione del genocidio come uno dei cinque atti indicati, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale.
I cinque atti indicati sono:
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- uccisione dei membri del gruppo
- lesioni gravi all’integrità fisica o mentale dei membri del gruppo
- sottoposizione deliberata del gruppo a condizioni di vita miranti alla sua distruzione fisica, totale o parziale;
- misure miranti ad impedire le nascite all’interno del gruppo
- trasferimento forzato di bambini da un gruppo ad un altro gruppo
Quindi l’articolo 2 definisce i due elementi, oggettivo (actus reus) e soggettivo (mens rea), richiesti affinché si configuri il crimine di genocidio.
L’elemento oggettivo può consistere in uno dei cinque tipi di atto sopra menzionati, mentre l’elemento soggettivo, cioé l’intento, consiste nel fatto che tali atti devono essere “commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.
Non è genocidio il cosiddetto genocidio politico, ovvero la distruzione degli avversari politici, né il cosiddetto genocidio culturale, cioé la distruzione di simboli culturali di un gruppo.
Non è pacifico se costituisca genocidio la “pulizia etnica“, ossia l’espulsione forzata di civili appartenenti ad un gruppo da un’area geografica in modo da realizzare un’omogeneità etnica locale.
Infatti, se la commissione di atrocità al fine di convincere un popolo a lasciare il proprio territorio, sono supportate dal mero intento della deportazione e non della distruzione del gruppo, allora non vi è genocidio.
Il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia attribuisce genocidal characteristics alla pulizia etnica ed in quest’ottica ha collocato il massacro dei musulmani a Srebrenica del 1995.
In altri casi, lo stesso Tribunale, come nel caso Tadić, non ha qualificato la pulizia etnica come atti di genocidio.
Il divieto di genocidio è una norma imperativa del diritto internazionale e come tale, non amette deroghe in nessuna circostanza.
Secondo il Tribunale penale internazionale per il Ruanda, il genocidio è the crime of crimes ed è crimine contro le droit des gens, che può essere commesso tanto in tempo di pace che in tempo di guerra.
L’intenzione di distruggere in tutto o in parte il gruppo richiede una valutazione quantitativa.
Ma secondo la Corte Internazionale di Giustizia, il solo approccio qualitativo non basta.
Anche l’incitamento a commettere genocidio è punibile, laddove diretto e pubblico. Esso consiste nell’azione per la quale un soggetto induce un altro a commettere atti di genocidio.
Questa condotta è stata oggetto di un’innovativa giurisprudenza del Tribunale penale internazionale per il Ruanda in processi che hanno avuto ad oggetto l’uso della radio come veicolo per diffondere i messaggi che incitavano a commettere atti di genocidio, in particolare la famigerata Radio des Milles Collines, o la composizione e la messa in onda di canzoni miranti a promuovere lo sterminio dei tutsi, come quelle del compositore Simon Bikindi.
La disumanizzazione è insita nel genocidio, dove all’altro viene negata la classificazione di umano, operazione mentale che agevola l’azione distruttrice.
Il processo di disumanizzazione separa tra loro gli esseri umani in noi e voi, dove l’altro è visto come estraneo e temibile.
Ma la violenza genocidaria non si ferma alla disumanizzazione, poiché questa necessita di un supporto probatorio su cui fondare l’intento distruttivo del gruppo.
Questo supporto probatorio è dato dalla minaccia che l’altro rappresenta secondo un meccanismo di proiezione che vede l’altro responsabile delle debolezze del carnefice e causa della messa in pericolo di quest’ultimo.
Il meccanismo di disumanizzazione in quest’ottica mette in moto l’autotutela, la legittima difesa. Il movente inconscio del genocidio è la minaccia immaginaria percepita come reale proveniente da un soggetto che, in realtà, non è che una vittima inerme.
Qui la vittima è il gruppo, che è giudicato colpevole collettivamente e per questo, ritenuto meritevole di una punizione.
In tale prospettiva si inserisce la teoria del complotto, che è una recriminazione tipica dei regimi totalitari, portati a considerare le minoranze come l’origine di tutti i mali della società. In questi regimi si è spesso proceduto alla privazione di diritti civili, come quello alla cittadinanza.
Il mancato riconoscimento sociale, infatti, rende l’altro sprovvisto di tutela.
I genocidi sono spesso commessi ai danni di minoranze, che possono essere costituite da gruppi interni allo Stato, in questo caso visti come refrattari a qualsiasi forma di assimilazione, o da gruppi esterni allo Stato, e in tal caso essi vengono visti come estranei e barbari.
Se è vero che il genocidio è sempre un crimine di Stato, la privazione dei diritti fondamentali priva il gruppo del diritto alla protezione contro possibili abusi ad opera dello Stato.
Le situazioni che precedono il compimento di genocidi cominciano con la perdita dei diritti civili e tutte le fasi del genocidio sono segnate dalla negazione.
Il genocidio può essere perpetrato attraverso varie condotte che possono abbracciare diversi aspetti.
Viene in rilievo l’aspetto politico dell‘azione genocidaria, quando le tracce del carattere nazionale vengono cancellate, ad esempio attraverso il cambiamento dei nomi delle strade; vi è poi l’aspetto sociale, attraverso il cambiamento del sistema legale o la soppressione della classe intellettuale.
Vi è anche l’aspetto culturale, mediante la sostituzione della lingua e del sistema scolastico o la distruzione dei beni artistici;.
E ancora l’aspetto economico, tramite l’impoverimento del gruppo, le cui misere condizioni di vita comportano anche un impoverimento intellettuale; l’aspetto biologico, per mezzo di politiche di decremento o impedimento delle nascite; l’aspetto fisico, che va dalla debilitazione fisica attraverso il razionamento del cibo fino ad arrivare all’eliminazione in massa; l’aspetto religioso, come la rinuncia all’affiliazione religiosa a vantaggio di un altro credo; l’aspetto morale, attraverso l’impoverimento dei valori morali, incoraggiando abitudini malsane al fine di indebolire la consapevolezza dell’appartenenza al gruppo.
La perpetrazione del genocidio è un comportamento che si protrae nel tempo e non è che il culmine di un processo preceduto da atti prodromici come: la discriminazione, una politica persecutoria, le aggressioni fisiche, il disconoscimento nazionale, l’espulsione, l’espropriazione, i massacri e la deportazione, secondo la stessa retorica genocidaria volta a neutralizzare il senso di colpa del persecutore e a distruggere l’identità della vittima, anche semplicemente attraverso il linguaggio.
La disumanizzazione porta all’identificazione della vittima come essere malato o animale infimo e disgustoso, come il ratto nella retorica nazista o la blatta in quella del genocidio ruandese.
L’uso offensivo di pesticidi, battericidi, gas asfissianti e velenosi, medicamenti e veleni si colloca in quest’ottica purificatrice che vede spesso il mondo animale o quello della patologia medica come metafora della disumanizzazione.
La propaganda e la macchina burocratica trasformano, attraverso un gioco semantico, il genocidio in intervento disinfestatore o terapeutico-chirurgico indispensabile per purificare e liberare la società. Si accusa, inoltre, la vittima di essere carnefice attraverso la disinformazione, la manipolazione e la falsificazione dei dati, viste come operazioni necessarie per predisporre l’autodifesa.
Il genocidio è un crimine senza tempo, si è compiuto nel passato e continua a perpetrarsi nel presente con le stesse modalità e le stesse caratteristiche.
Le cronache di questi giorno riguardanti l’Ucraina ci dimostrano che il genocidio in Ruanda non ci ci ha insegnato nulla e che la tentazione di cancellare l’identità di interi popoli è sempre presente nelle aspirazioni dei dittatori.
Spetta alle democrazie liberali battersi con ogni mezzo affinché pagine buie dell’umanità non si ripetano.
*Avvocato abilitato al patrocinio innanzi alla Corte Penale Internazionale
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