Di Enrico Santinelli*
ROMA. Il 1° gennaio di ogni anno si celebra la Giornata mondiale in favore della pace.
E mai come in questo 2023 la comunità internazionale si aspetta almeno un inizio di negoziato di pace tra Mosca e Kiev.
Vero è che molti conflitti sono ancora in atto e se ne parla poco. Tuttavia, quello in Ucraina, alle porte dell’Occidente, appare più rischioso, per un suo eventuale tragico allargamento.
Ciò che preoccupa tanto sono i bombardamenti sistematici contro strutture civili, palazzi, ospedali, centrali elettriche di approvvigionamento e scuole, quindi contro la popolazione inerme e non contro strutture o siti prettamente militari.
È contro il diritto internazionale umanitario, come le Convenzioni di Ginevra del 1949, nate dalle “sconfitte umanitarie” della Seconda Guerra mondiale, e contro la Carta delle Nazioni Unite e i suoi dettati e risoluzioni.
Nella serata del 13 febbraio del 1945, su Dresda, ebbe luogo quello che risultò il più intenso bombardamento effettuato dagli alleati anglo-americani sulla Germania.
Tally-ho! Così urlò il Comandante inglese Topper agli altri 250 bombardieri Lancaster della formazione, mentre faceva cadere una bomba incendiaria di 500 chili che esplose in aria a 800 metri, lanciando una cascata di “piume rosse di fuoco” per far individuare l’obiettivo agli altri.
Una pioggia di fuoco si riversò sulla città conosciuta in tutto il mondo come la Firenze sull’Elba.
All’una del mattino, altri 550 bombardieri, caricati con bombe incendiarie e spezzoni al magnesio, bombe da 1.800 chili e da 3.629 chili, per un totale circa di 2.800 tonnellate di ordigni esplosivi che diedero il colpo finale alla città.
Un rogo immenso il cui bagliore era visibile a più di cento chilometri.
Ne rimasero impressionati anche i soldati sovietici. Una manifestazione di forza, inimmaginabile prima, che colpì anche Josif Stalin.
Ancora oggi non si ha un’idea precisa delle vittime, la totalità delle quali civili. Forse 100 mila o, come dai riporti iniziali, persino 350 mila.
Una stima impossibile, interi gruppi familiari distrutti e con tutta probabilità inceneriti e dispersi nell’aria.
Poche settimane dopo, il 30 aprile, Adolf Hitler si suicidava segnando la successiva capitolazione della Germania nei giorni seguenti.
Tuttavia, i bombardamenti su obiettivi non militari continuarono.
E il 6 e 9 agosto gli Stati Uniti, per piegare definitivamente il Giappone, sganciarono due bombe atomiche Hiroshima e Nagasaki, causando la morte di 250 mila persone e di migliaia di altre che, a causa delle radiazioni, morirono successivamente negli anni a seguire, tra sofferenze atroci.
Successivamente, in Vietnam, sempre gli Stati Uniti, al fine di venire a capo di una guerra che non riuscivano a chiudere vittoriosamente, bombardarono a tappeto le stesse città del Nord Vietnam e su quello che passerà alla storia come il sentiero di Ho Chi Minh, 3 milioni di tonnellate di bombe anche nel vicino Laos.
Nonché una vera e propria “opera di deforestazione” su ampie aree della giungla, lungo questo stesso sentiero, utilizzando erbicidi e defolianti, come il famigerato Agent Orange, allo scopo di mettere a nudo le vie di rifornimento che dal nord alimentavano non solo le forze nordvietnamite ma anche i Vietcong nel Sud.
Una campagna che, durata per circa cinque anni, con lo spargimento indiscriminato di agenti chimici, avrebbe procurato anche dolorose malformazioni nella popolazione.
Saltando ai nostri giorni, senza voler dimenticare la Siria, in Ucraina, le forze russe stanno lanciando, giorno dopo giorno, centinaia di missili contro obiettivi civili.
Diversi attacchi, anche con droni di fabbricazione iraniana, sono stati lanciati contro le centrali elettriche, provocando molteplici interruzioni nella fornitura di energia elettrica e lasciando molta parte della popolazione nell’impossibilità di potersi avvalere del riscaldamento.
In tale quadro, nonostante il forte sostegno e il cospicuo flusso di aiuti in ambito internazionale, l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR) stima che sarebbero più di 7 milioni gli ucraini in fuga dal paese, per lo più verso la Polonia.
Un fenomeno che potrebbe accrescere il valore aggiunto di attacchi indiscriminati alle infrastrutture civili e ai civili stessi.
Quindi, chiediamoci: cosa impone il cosiddetto diritto internazionale umanitario, applicabile ai conflitti armati, contro il bombardamento indiscriminato verso obiettivi non militari?
In dottrina, secondo le regole fondamentali per la disciplina di mezzi e metodi di guerra, le parti hanno l’obbligo di dirigere le operazioni militari esclusivamente contro obiettivi militari e combattenti legittimi. Sono considerati civili tutte le persone che non prendono parte attiva al conflitto.
Pertanto, le azioni militari devono essere condotte in modo da risparmiare la popolazione civile e i beni civili, quali abitazioni, scuole, ospedali e via dicendo, cioè tutto ciò che per sua natura, ubicazione, destinazione e impiego non è obiettivo militare.
Ce lo dicono la Convenzione de L’Aja, la Quarta Convenzione di Ginevra (GCIV) e il Primo Protocollo Aggiuntivo del 1977.
I comandanti militari hanno il preciso dovere di praticare l’inequivocabile distinzione tra obiettivi militari e beni civili e allontanare dalle vicinanze di un obiettivo militare la popolazione civile, prendendo tutte le precauzioni possibili per proteggere concretamente i civili e i loro beni dai danni derivanti dalle operazioni.
Purtroppo, e non solo in questa guerra, il richiamo agli obblighi convenzionali sembra non essere un impegno non solo in punta di diritto ma anche in termini morali.
Tutto questo, infatti, sembra essere disatteso con quanto accade in Ucraina, dove la pur comprensibile necessità militare sta lasciando via via spazio alla “comodità militare”, per cui distinguere è lavoro complicato e porta via tempo.
Ma deliberati atti di violenza, come stupri, torture o uccisioni di prigionieri, sono crimini di guerra. Da verificare, ovviamente, con apposite commissioni.
Auspicabilmente lontane dalle accattivanti e sbrigative campagne mediatiche, dove le cosiddette “blue troops” lavorano h24 per inondare le reti troppo spesso con semplificazioni populiste e lontane dalla realtà dei fatti, per creare ascolti e seguito con l’inganno della sensazione o dell’apprensione.
Da più parti si invoca l’intervento della Corte Penale Internazionale (International Criminal Court – ICC), organismo chiamato a giudicare i crimini di guerra – crimina iuris gentium – i crimini internazionali quali genocidio o crimini contro l’umanità.
A questa corte non hanno aderito Cina, Russia e Stati Uniti (nemmeno l’Ucraina) e, pertanto, la stessa non ha un grande margine di manovra.
Un eventuale spiraglio lo si potrebbe intravedere nel Tribunale Internazionale de L’Aja, anche conosciuta come Corte Internazionale di Giustizia che ha competenze sull’applicazione e l’interpretazione del diritto internazionale.
Tuttavia, essa giudica gli stati e non le persone, competenza che spetta alla già citata ICC.
Il diritto internazionale umanitario, applicabile ai conflitti armati, ha una lunga storia. Non ci sono mai state guerre senza regole, più o meno precise, relative all’inizio, alla condotta e alla fine delle ostilità.
Il tutto può farsi risalire persino al Codice di Hammurabi del XVIII secolo a.C., con il quale quel sovrano babilonese stilò un primo elenco di norme che davano importanza alle persone e ne riconosceva il valore “io stabilisco queste leggi, per impedire che il forte infierisca sul debole”.
Ricordo anche alcuni testi antichi, quali il poema indiano di Mahabharata del V secolo a.C. o anche la Bibbia e il Corano che impongono il rispetto verso il nemico, o anche il pensiero di Ugo Grozio, secondo il quale la prima manifestazione della sovranità di uno stato, quindi il suo riconoscimento a livello internazionale, derivasse da come lo stesso si comporta nel corso di un conflitto, invocando inoltre il diritto naturale di un popolo a difendersi se attaccato.
Da lui il concetto di “guerra giusta”, un diritto naturale che trascende da considerazioni di carattere religioso.
Ma ancora Francisco de Vitoria, Sant’Agostino, San Tommaso d’Aquino e tanti altri sino ad arrivare a Voltaire che, nel suo trattato della tolleranza del 1763, affermava che “bisogna considerare tutti gli uomini come nostri fratelli”.
Tra i nostri, un precursore tutto italiano è stato il medico napoletano Ferdinando Palasciano, ma ricordo anche Alberico Gentili, eretico, esule in Inghilterra, già menzionato dal Generale Alessandro Gentili in un suo recente scritto [1].
Alberico Gentili, professore a Oxford per 21 anni, scrisse il “De jure belli”, pietra miliare del moderno diritto internazionale umanitario nei conflitti armati.
Tutti giganti “dell’umanità”. Come Jean Henry Dunant, un ginevrino che nel 1863 diede vita alla Conferenza internazionale che stilò la Convenzione di Ginevra del 22 agosto 1864.
A significare che l’uomo, conscio della violenza innata nell’essere umano, abbia da sempre cercato di regolamentarne e limitarne gli eccessi nell’evento più terrificante e disumano, ma in questo precisamente umano, che è la “guerra”.
Nella speranza di non vedere più altre “Dresda”.
La speranza resta sempre nelle mani, nella coscienza e nella mente dell’uomo. In definitiva, in ciascuno di noi.
NOTA
[1] Ucraina-Russia, guerra, diritto e interessi nazionali (Artestampa, 2022)
*Presidente della A.P.S. Humanitas D.I.U
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