Di Vincenzo Santo*
La cosa meno sensata che si possa dire sui droni armati è che essi servano per missioni difensive. Un qualcosa che ancora riecheggia nelle mie orecchie da quando fu sottolineata da un nostro politico, ahimè, qualche tempo addietro (1). Evidentemente, l’impiego dei consiglieri militari a tutti i livelli è un’inutile spesa. Comunque, in quella circostanza ci venne venduta l’assicurazione che l’intervento armato in Libia dei droni americani, in volo da Sigonella, sarebbe stato non solo autorizzato caso per caso ma, se non ricordo male, solo a scopo difensivo, per proteggere l’azione delle forze speciali USA impegnate da quelle parti nelle operazioni anti‐ISIS. Follia pura! I droni armati, a prescindere dalla bandiera, non difendono né offendono. Essi sono i preziosi “giustizieri silenziosi” che piombano sull’obiettivo dal nulla, sfruttando la sorpresa. E la sorpresa è asessuata, è un principio della guerra che abbiamo imparato da piccoli e che, in quanto tale, non è difesa né offesa.
Il vantaggio è che volano in modo più silenzioso, possono stare in aria per più tempo rispetto a un normale velivolo pilotato e, in caso di abbattimento, non si perde un pilota ed un aereo che sono costati, nell’insieme, molto ma molto di più.
Nel piccolo, nello strettamente tattico, se ne sono accorti anche quelli dell’ISIS in Iraq, dove hanno già sperimentato l’impiego di piccoli droni commerciali armati di grenade-sized munitions. A quanto pare, più di un centinaio solo lo scorso febbraio (2).
Detto questo, in un recentissimo articolo del “Wall Street Journal”, è stato riportato che Trump “… has given the Central Intelligence Agency (CIA) secret new authority to conduct drone strikes against suspected terrorists …” (3). Un cambio deciso rispetto alla politica di Obama, molto preoccupato che il targeted killing program stesse creando più militanti di quanto ne venissero uccisi. È un ritorno al passato, al ruolo paramilitare della CIA affidatole da Bush. Obama, ossessionato dalla necessità di maggiori trasparenza e accountability, in un suo discorso tenuto in concomitanza con la sua decisone di passare le missioni condotte dalla CIA al Pentagono, si confessò preoccupato dal fascino di cui godono gli armamenti la cui segretezza e precisione creano uno scudo alla chiara individuazione e identificazione delle responsabilità. Un fascino che, secondo lui, poteva portare il presidente e il suo staff a vedere negli strikes dei droni la cure-all for terrorism. Quindi, il passaggio al Pentagono avrebbe rappresentato un modo per muovere la campagna fuori dall’ombra delle covert operations.
La chiave di lettura sta proprio nella parola covert. La CIA opera secondo il Title 50 War and National Defense, in riferimento alle covert action authority. Ciò significa che tali operazioni non possono essere “riconosciute” dall’amministrazione, mai! Per legge. In definitiva, è ciò che impediva a Obama di spiegare, in talune circostanze, cosa fosse accaduto nei casi in cui fosse stato sbagliato obiettivo o, peggio, fossero stati causati eccessivi danni collaterali. Le operazioni condotte dai militari, dal Joint Special Operation Command (JSOC) nello specifico, vengono invece condotte sotto il Title 10 Armed Forces, che appunto garantirebbe più trasparenza e più attribuzioni di responsabilità, come era nella volontà di Obama. Questi aveva indubbiamente una forte mentalità legalista che lo spingeva ad un attento scrutinio delle valutazioni fatte per giustificare uno strike. Tanto preoccupato era, che lo scorso dicembre, prima di lasciare il posto di comando, ha prodotto un memorandum (4) con, annesso, un Legal and Policy Report (5) sull’uso della forza. Questo documento, infine, fa riferimento al precedente Presidential Policy Guidance (PPG), specifico per “… lethal and non-lethal uses of force … against terrorist targets outside the United States and areas of active hostilities …” ( 6). Attenzione, le espressioni outside e areas of active hostilities sono importantissime.
Il pensiero di Obama risulta molto chiaro. Nel memorandum egli scrive che “… Since my earliest days in office, I have emphasized the importance of transparency and my commitment to making as much information as possible available to the Congress and the public about the United States use of military force … but also demonstrates the legitimacy and strengthens the sustainability of our operations … The United States has used military force and conducted related national security operations within legal and policy … that they serve our interests and values … Consistent with my commitment to transparency, my Administration has provided to the public an unprecedented amount of information … We have attempted to explain … when and why the United States conducts such operations, the legal basis and policy parameters … and how such operations have unfolded …”.
Dal canto suo, Trump, nel suo memorandum del 28 gennaio scorso (7) sottolinea che gli Stati Uniti “… must take decisive action to defeat ISIS …”, lasciando intendere che quelle condotte prima non fossero tanto decisive. E aggiunge che “… there can be no accommodation or negotiation with it (ISIS) …”. In parole povere, resa senza condizioni. Pertanto, ha richiesto un comprehensive plan to defeat ISIS nel quale vengano delineati “recommended changes to any United States rules of engagement and other United States policy restrictions that exceed the requirements of international law regarding the use of force against ISIS“.
Un intento anche questo sin troppo chiaro. Trump non è contento di quanto finora fatto e giudica troppo morbido l’approccio di Obama (che non ha comunque scherzato affatto in termini di uso dei droni) e ritiene che tale morbidezza si sia negativamente riflessa anche sulle modalità di azione sul campo, avendo adottato criteri più restrittivi di quanto accettabile in tema di diritto internazionale. Il neo eletto presidente appare veramente intenzionato a mantenere la promessa elettorale di combattere senza quartiere ISIS e Al Qaeda. E, quindi, il chiedersi se mai Trump manterrà fede al lascito di Obama ha per ora una sola risposta, no! Né ci possono essere dubbi sul fatto che questa volontà necessiti di una maggiore libertà d’azione … e di qualche rinuncia alla trasparenza.
È pur vero che le due agenzie coinvolte, CIA e Pentagono, riportano all’amministrazione; lo fanno su canali diversi (commissioni di intelligence per la CIA, quelle delle forze armate per il JSOC) ma non è tutto oro quello che luccica. Intanto, nessuna, stranamente, riporta ai pari organismi deputati agli affari esteri ma esistono anche sospetti che le due siano di fatto different in terms of responsiveness to policymakers; in particolare, sembra che sia addirittura il JSOC a risultare spesso vago nei riporti alle sue commissioni. Questo potrebbe non dispiacere a Trump, probabilmente più orientato a non imitare Obama nel dare troppa trasparenza ai rapporti che viaggiano lungo i canali militari, per azioni non covert e condotte in areas of active hostilities.
Sia chiaro che entrambe le agenzie determinano la validità dei targets prima di colpirli ed entrambe conducono un lungo e meticoloso processo (Collateral Damage Estimate – CDE) volto a valutare il possibile collateral damage, cioè le conseguenze su quanto sta attorno all’obiettivo, e considerare le misure per mitigarne gli effetti. Tuttavia, mentre la CIA si spinge ad una near certainty, come fissato nella già citata PPG, il Pentagono si fermerebbe, per le zone “ostili”, ad una reasonable certainty. Attenzione, ripeto, questi sono particolari importanti, fondamentali!
Infatti, al di là di una probabile differenziazione futura nei ruoli operativi tra CIA e Pentagono, in termini di aree di intervento e di selezione dei target (High Pay-off o High Value), la differenza legale tra i due tipi di processi potrebbe rivestire utilità strategica per Trump.
A suo favore, da un lato, gioca il fatto che la CIA, tutto sommato, aveva già in passato dimostrato una straordinaria capacità in tali operazioni, grazie alla sua esperienza e al fatto che spesso i suoi agenti fossero meglio posizionati per raccogliere intelligence, impiegare infiltrati locali e, probabilmente, grazie alla loro più lunga presenza sul territorio, garantire una più efficace azione mirata contro obiettivi appunto di alto valore, e in situazioni near certainty. Almeno sulla carta. Va poi aggiunto che paesi come per esempio il Pakistan o l’Arabia Saudita insistono sul fatto che, quale condizione per la loro cooperazione, non ci sia personale militare americano coinvolto. Dall’altro, quale presidente, egli ha l’autorità di determinare nuove temporary areas of active hostility. Ed è proprio questo, secondo il sottoscritto, che potrà costituire un decisivo cambio di direzione.
La Casa Bianca, infatti, sembra stia valutando (se già non fatto al momento che scrivo) la proposta del Pentagono di allargare tale designazione a Somalia, Yemen e chissà a quali altri posti popolati da estremisti islamici. Tale estensione darebbe ai comandanti militari la medesima ampiezza di autorità di cui essi già godono in Iraq, Afghanistan e Syria, per condurre “autonomamente” strikes e raids per un periodo di sei mesi,. Che cosa comporta? Comporta il fatto che tutta la struttura centralizzata disposta da Obama for targeted killings outside war zones crollerebbe. Infatti, aumentando le war zones, aumenta l’ampiezza areale per gli interventi che godono, di fatto, di maggiore libertà d’azione e di minore controllo preventivo a livello politico apicale. Tutto è guerra, insomma. In quelle aree, l’asticella della sicurezza verrebbe notevolmente abbassata, passando da una near certainty ad una reasonable certainty. Ed è pur la medesima autorità che i militari hanno ricevuto per gli interventi su Sirte lo scorso anno, sotto lo stesso Obama …. Con i droni da Sigonella? Anche. Come detto, tale designazione consente ai militari di operare eludendo un lungo processo di approvazione fissato dalla Casa Bianca sotto Obama.
In conclusione, Trump spera di avvalersi con la CIA di un’attività più mirata e più qualificata nell’anti-terrorismo. Un lavoro che può essere sporco. Mentre, con un processo essenzialmente decentralizzato, più dinamico, più flessibile e maggiormente aderente al campo di battaglia, condotto dai militari, potrà determinare una campagna con un maggior numero di interventi, con attacchi più tempestivi e in più aree. Trump si avvarrà di questa superiore libertà d’azione e imporrà una minore trasparenza, sentendosi libero dai legacci morali che hanno ossessionato il suo predecessore. Del resto, secondo il suo pensiero, condivisibile, ostilità condotte contro avversari quali al-Qaeda o ISIS sono non convenzionali e presumibilmente non avranno un termine convenzionale. Fu lo stesso Obama che in un’occasione precisò che “… negotiations cannot convince al-Qa’ida’s leaders to lay down their arms ...”. Quindi, l’end state quale resa senza condizioni che, nella storia, ha implicato l’uso massiccio della forza e, ahimè, dei suoi eccessi, era comunque anche nella mente di Obama. Stesso pensiero, stessi obiettivi ma modalità diverse. In questo si tradurrà la vera discontinuità tra i due.
Trump andrà dritto per la sua strada, ma se ciò porterà risultati migliori sarà da vedere. Di certo, i principi sui quali si deve basare il targeting, cioè distinzione, proporzionalità, necessità e umanità, pur tenuti a riferimento nei livelli decisionali più bassi, non potranno che assumere sfumature sempre più soggettive e più “operative”; cioè distanti via via dalla funzione loro originale di informare un processo strettamente legato al rispetto maniacale del diritto. Quindi, sarà facile che piangeremo molte più vittime innocenti. Ma, come già accennato, non aspettiamoci che Trump ne farà oggetto di trasparenza solo per seguire la linea del suo predecessore.
Sarà da vedere, tuttavia, se egli saprà persistere in questa direzione anche dopo che il prossimo grave collateral damage, con molti civili innocenti colpiti, gli scatenerà contro gli attacchi, anche quelli offensivi, della comunità internazionale e … delle anime belle, quelle che preferiscono prendersi gioco dei propri cittadini, mistificando i fatti … persino sui droni … quelli “difensivi” però!
* Generale C.A. (Riserva)
() http://www.repubblica.it/politica/2016/02/23/news/droni_usa_renzi_autorizzazioni_caso_per_caso_italia_fa_la_sua_parte_-134031386/ e http://www.lastampa.it/2016/02/22/esteri/litalia-concede-le-basi-ai-droni-americani-per-le-missioni-in-libia-gpPg3ESWZe9MlNkYUbyzIO/pagina.html
() https://obamawhitehouse.archives.gov/sites/whitehouse.gov/files/documents/Legal_Policy_Report.pdf