Di Chiara Cavalieri*
Il CAIRO. Un acceso dibattito pubblico è esploso in Egitto dopo che Alaa Mubarak, figlio dell’ex Presidente Hosni Mubarak, ha risposto duramente al noto giornalista Amr Adeeb, che nel suo programma aveva invitato gli egiziani a donare fondi per la Striscia di Gaza.

La discussione tocca corde profonde: la solidarietà storica tra Egitto e Gaza da un lato, e la pesante crisi economica interna che attraversa il Paese dall’altro.
Il richiamo di Amr Adeeb: “Gaza è una responsabilità eterna”
Nel corso della sua trasmissione “Al Hekaya” sul canale MBC Masr, Amr Adeeb ha rivolto un appello diretto ai cittadini egiziani, affermando che “fare donazioni a Gaza non è una scelta, ma una responsabilità fino al Giorno del Giudizio”.

Il giornalista ha ricordato i profondi legami storici e geografici tra Egitto e Gaza: “La Striscia di Gaza un tempo era egiziana. Quando andavamo a Gaza, tutte le merci provenivano dall’Egitto. La benzina contrabbandata oltre confine era egiziana, il cibo era egiziano e la maggior parte delle famiglie aveva radici egiziane”.
Adeeb ha insistito che, a prescindere dalle difficoltà economiche interne, “la causa palestinese è una responsabilità politica, nazionale, islamica e umanitaria dell’Egitto”.
La replica di Alaa Mubarak: “Priorità alla nostra gente”
La risposta di Alaa Mubarak non si è fatta attendere.
In un post pubblicato sul suo account X, ha condiviso un messaggio che ha rapidamente fatto il giro dei social egiziani: “La storia della donazione a Gaza è bella. Non è una tua scelta. È una responsabilità che ti grava fino al Giorno del Giudizio! Gaza e la sua gente sono sulle nostre teste. Ma dove c’è la garanzia che ciò che è accaduto prima non accadrà di nuovo?”.
Alaa Mubarak ha poi puntato il dito contro Hamas, sottolineando il ripetersi di uno schema ormai noto: operazioni militari del movimento, risposta israeliana devastante, distruzione delle infrastrutture, raccolta di fondi per la ricostruzione – e nessuna garanzia sulla loro destinazione.

“Quanti miliardi di dollari Hamas ha raccolto e sprecato con il pretesto di ricostruire Gaza?”, ha scritto Mubarak.
“Perché non iniziano loro?”
Nel suo intervento, Mubarak ha lanciato una provocazione precisa:
“Perché i leader di Hamas, che possiedono enormi ricchezze e sono ricchi imprenditori palestinesi, non iniziano questa volta donando il denaro raccolto negli anni per ricostruire la Striscia, dando l’esempio e insegnando a tutti ad amare Gaza?”, ha sostenuto.
Questa dichiarazione riflette un sentimento crescente in una parte della società egiziana, stanca di veder riversare risorse in crisi esterne mentre il Paese affronta problemi interni gravissimi.
Crisi economica e priorità nazionali
Alaa Mubarak ha concluso il suo intervento sottolineando la priorità di destinare risorse e aiuti alla popolazione egiziana:
“Date le circostanze economiche che il Paese sta attraversando e i numerosi casi in Egitto che necessitano di assistenza, le donazioni e gli aiuti egiziani devono essere destinati all’Egitto e la priorità nelle donazioni deve essere data a coloro che sono nel bisogno tra la nostra gente all’interno del Paese”.
Il messaggio ha avuto una forte risonanza, perché il Paese vive una delle fasi economiche più difficili degli ultimi decenni, con inflazione galoppante, moneta in caduta libera e un crescente malcontento popolare.
Un dibattito identitario e politico
Dietro questo scambio mediatico si nasconde una questione più profonda: l’identità dell’Egitto e il suo ruolo nella regione. Storicamente, Il Cairo è stato il principale sponsor politico della causa palestinese, mediando conflitti e aprendo corridoi umanitari.
Tuttavia, molti egiziani oggi chiedono di bilanciare solidarietà esterna e priorità nazionali.
La posizione di Alaa Mubarak non è isolata: riflette una tendenza crescente nella società civile egiziana, dove solidarietà e pragmatismo economico entrano in tensione.
Jared Kushner: “Nessun fondo per la ricostruzione nelle aree controllate da Hamas”
Mentre in Egitto infuria il dibattito interno, da Israele è arrivato un messaggio politico forte.
In una conferenza stampa a Gerusalemme, Jared Kushner, genero di Donald Trump, ha dichiarato che non verranno stanziati fondi per la ricostruzione delle aree di Gaza ancora controllate da Hamas.

“Sono attualmente in corso delle valutazioni nell’area sotto il controllo militare israeliano, purché possa essere messa in sicurezza, per iniziare la costruzione di una nuova Gaza, con l’obiettivo di dare ai palestinesi che vivono a Gaza un posto dove andare, un posto dove lavorare e un posto dove vivere”, ha dichiarato Kushner.
Il piano prevede investimenti mirati solo nelle aree sotto controllo israeliano o eventualmente gestite da una futura amministrazione transitoria sostenuta a livello internazionale.
Un piano multilivello per la ricostruzione
Kushner ha spiegato che i piani di lavoro avviati l’anno scorso sono in fase di revisione e aggiornamento.
Le proposte saranno presentate a Donald Trump e al Consiglio per la Pace, con l’obiettivo di stabilire “cosa costruire e come realizzarlo in più fasi”.
L’obiettivo è creare un nuovo assetto urbano ed economico per Gaza, offrendo infrastrutture sicure e posti di lavoro.
Controllo israeliano e cessate il fuoco
L’Esercito israeliano controlla attualmente alcune zone di Gaza dopo il ritiro parziale previsto dalla prima fase dell’accordo di cessate il fuoco.
La ricostruzione avverrà solo nelle zone considerate “sicure”, lasciando fuori le aree ancora sotto il controllo di Hamas.
Missione americana in Israele
A Gerusalemme si trova una delegazione statunitense di alto livello composta da Jared Kushner, dal vice Presidente J.D. Vance e dall’inviato speciale Steve Witkoff.
La missione punta a promuovere la fase successiva dell’accordo e a definire i parametri politici ed economici della ricostruzione.
Implicazioni politiche e strategiche
Questa decisione rappresenta una chiara strategia di pressione: isolare Hamas, privandolo di risorse, e costruire una nuova Gaza sotto un diverso assetto amministrativo. Tuttavia, il rischio è creare una divisione profonda all’interno della Striscia, tra aree sviluppate e zone lasciate in condizioni di abbandono.
L’attacco frontale di Alaa Mubarak contro Hamas e l’annuncio di Jared Kushner tracciano una stessa linea di fondo: la crescente sfiducia, a livello regionale e internazionale, nei confronti della capacità di Hamas di rappresentare e proteggere la popolazione di Gaza.
Da un lato, l’Egitto riflette tensioni interne tra solidarietà storica e priorità nazionali. Dall’altro, gli Stati Uniti e Israele puntano su un piano di ricostruzione selettivo, che esclude Hamas e mira a ridisegnare l’assetto politico e territoriale della Striscia.
Il futuro di Gaza si gioca dunque su due piani paralleli: quello della politica interna dei Paesi vicini, e quello delle strategie internazionali che stanno preparando un nuovo equilibrio nella regione.
*Presidente della associazione Italo-Egiziana Eridanus e vicepresidente del Centro Studi UCOI-UCOIM.
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