Di Chiara Cavalieri*
IL CAIRO. Un nuovo e delicato equilibrio strategico sembra profilarsi tra Egitto e Israele.
Secondo un rapporto pubblicato dal quotidiano libanese Al-Akhbar, i due Paesi si starebbero muovendo verso un miglioramento delle relazioni diplomatiche e di sicurezza, in seguito alla cessazione della guerra israeliana nella Striscia di Gaza.
Al centro delle trattative vi è una nuova postura militare nel Sinai e una riorganizzazione dei meccanismi di controllo ai confini.
Riapertura dei canali diplomatici
L’Egitto ha scelto di non accettare le credenziali diplomatiche del nuovo ambasciatore israeliano designato, Uri Rotman, come segnale politico legato alla prosecuzione dell’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza.
L’ambasciatore Rothman tra l’altro ha conseguito un Master in Studi sul Medio Oriente presso l’Università di Tel Aviv e ha studiato arabo presso l’Istituto Givat Haviva per la Coesistenza tra Ebrei e Arabi.
In un contesto come quello attuale, caratterizzato dalla prosecuzione della guerra nella Striscia di Gaza e da forti sensibilità interne ed esterne, mantenere la rappresentanza diplomatica a un livello ridotto consente al Cairo di preservare margini di manovra politica senza rompere formalmente i rapporti bilaterali.

Affidare la sede diplomatica a un Chargé d’affaires, e non a un ambasciatore pienamente operativo, serve infatti a minimizzare le apparizioni pubbliche e a limitare l’esposizione politica: un ambasciatore ufficiale avrebbe un ruolo visibile e istituzionale che, in questa fase, metterebbe in forte imbarazzo lo Stato egiziano e il Presidente, soprattutto di fronte all’opinione pubblica araba e interna, profondamente critica verso l’offensiva israeliana.
Inoltre, l’accettazione formale delle credenziali di un nuovo ambasciatore israeliano equivarrebbe a un gesto politico di normalità, che fino a ieri avrebbe contrastato apertamente con la linea egiziana di pressione diplomatica su Israele per ottenere un cessate il fuoco stabile e la tutela della propria sicurezza nazionale al confine.
Questa “rappresentanza a bassa intensità” diventa quindi un mezzo di segnalazione politica: non una rottura, ma un chiaro messaggio di distanza e fermezza.
Nel frattempo, l’ambasciatore egiziano in Israele, Khaled Azmi, è stato richiamato al Cairo e non è più tornato a Tel Aviv.
Attualmente fonti definite “egiziane” e citate da Al-Akhbar hanno rivelato che Il Cairo e Tel Aviv avrebbero raggiunto un’intesa preliminare per riattivare i canali di comunicazione diplomatici, con un annuncio ufficiale previsto già per la prossima settimana.
Tuttavia, l’Egitto ha posto una condizione precisa: la piena osservanza dell’accordo di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e l’impegno reciproco a non riaprire le ostilità.
Parallelamente, Il Cairo ha concordato con Israele la riapertura del valico di Rafah, snodo cruciale per il passaggio degli aiuti umanitari e per il controllo dei flussi verso la Striscia.

L’ambasciata palestinese a Il Cairo ha infatti annunciato ufficialmente la riapertura del valico di frontiera di Rafah a partire da doman, consentendo così ai palestinesi attualmente presenti in Egitto di rientrare nella Striscia di Gaza.
La decisione è giunta a seguito di contatti diretti con le autorità egiziane competenti, che hanno approvato la ripresa controllata dei passaggi nel rispetto del meccanismo di coordinamento stabilito tra le due parti.
L’Ambasciata ha inoltre invitato i cittadini interessati a registrare i propri dati personali, tra cui nome, data di nascita, numero di passaporto o documento d’identità e numero di cellulare, al fine di organizzare in modo ordinato e sicuro i movimenti verso il confine.
In una fase successiva, gli uffici diplomatici comunicheranno a ciascun viaggiatore orari e punti di raccolta, così da garantire un flusso regolato e scaglionato di persone. Questa riapertura rappresenta un passo significativo nella gestione coordinata dei transiti umanitari tra Egitto e Gaza, in un momento in cui la stabilità della regione dipende fortemente da canali di comunicazione e passaggi sicuri per la popolazione civile.
Tempistiche legate alle elezioni israeliane
Le fonti citate sottolineano che il nuovo impegno diplomatico tra Israele ed Egitto non si concretizzerà pienamente prima delle prossime elezioni israeliane, poiché l’attuale Governo di Israele non dispone della stabilità politica necessaria per assumere decisioni di lungo periodo. Il Cairo, infatti, continua a sostenere la soluzione dei “due Stati” e ritiene che solo un governo stabile potrà impegnarsi credibilmente in questo processo.
Aiuti umanitari e monitoraggio dei ritiri israeliani
Secondo il rapporto, lo sviluppo delle relazioni è strettamente legato al flusso ininterrotto di aiuti umanitari verso Gaza e al progressivo ritiro delle forze israeliane da determinate aree, in particolare lungo il Corridoio di Filadelfia.
Tale dinamica è vista come un indicatore concreto della volontà di ridurre la tensione e stabilizzare la regione.

Fonti egiziane hanno confermato che le forze dispiegate lungo la frontiera non verranno ritirate immediatamente, ma solo dopo l’effettivo arretramento israeliano dal corridoio di Filadelfia, preludio a un ritiro completo delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza.
Una nuova postura militare nel Sinai
Un funzionario militare egiziano, rimasto anonimo, ha dichiarato che il futuro assetto non sarà un semplice ritorno alla situazione precedente agli Accordi di Camp David, ma prevede linee di schieramento avanzate rispetto a quelle in vigore prima della Seconda Intifada.

Questa scelta riflette, secondo Il Cairo, la percezione di nuove minacce alla sicurezza nazionale egiziana provenienti dalla Striscia di Gaza, dove la presenza di gruppi armati e arsenali non controllati continua a destare forte preoccupazione.
Vale la pena ricordare che, nell’ambito dell’accordo di pace tra Egitto e Israele, la penisola del Sinai è stata suddivisa in tre zone – A, B e C – ciascuna con livelli differenti di presenza e controllo militare. Questa ripartizione è stata concepita per mantenere il Sinai come una “zona cuscinetto”, prevenendo la concentrazione di forze armate su larga scala nelle immediate vicinanze del confine israeliano e garantendo così un equilibrio strategico duraturo.
Tuttavia, negli ultimi mesi, l’area ha assistito a un rafforzamento militare egiziano senza precedenti, con la mobilitazione di decine di migliaia di soldati e migliaia di mezzi corazzati, descritto come il più grande dispiegamento di forze dai tempi degli Accordi di Camp David del 1979
Questa significativa mobilitazione riflette le preoccupazioni de Il Cairo di fronte alle conseguenze della guerra a Gaza e al rischio di un afflusso massiccio di palestinesi nel Sinai, scenario che l’Egitto ha più volte definito una “linea rossa” per la sua sicurezza nazionale.
Una minaccia condivisa
Lo stesso funzionario ha sottolineato che le armi presenti a Gaza rappresentano una minaccia sia per Israele sia per l’Egitto, e che pertanto il ritiro delle forze egiziane non può essere totale. Le autorità del Cairo hanno ribadito questa posizione durante i negoziati con Washington, ottenendo – secondo quanto riferito – la comprensione e il sostegno americano.
Una fase di transizione geopolitica
Questa fase potrebbe segnare un punto di svolta nelle relazioni israelo-egiziane, storicamente altalenanti e complesse.
Dopo anni di cooperazione tattica nella lotta al terrorismo nel Sinai e tensioni periodiche per la gestione dei confini con Gaza, Il Cairo e Tel Aviv sembrano ora intenzionati a stabilizzare la frontiera e a costruire una relazione più prevedibile e strutturata.
Se confermato, questo riavvicinamento avrebbe importanti implicazioni regionali, coinvolgendo gli equilibri interni palestinesi, la postura americana in Medio Oriente e la stabilità dell’intero quadrante mediterraneo meridionale.
*Presidente dell’Associazione Eridanus e vice presidente UCOI e UCOIM
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