Elezioni venezuelane, guerra psicologica con la Colombia. Gli Stati Uniti pensano ad un embargo petrolifero per Caracas

Caracas. Venezuela e Colombia ai ferri corti. A leggere le dichiarazioni di vari esponenti politici sembra che sia partita una guerra psicologica, in vista delle Presidenziali del prossimo 22 aprile. Con Nicolas Maduro sempre in sella che appare come il leader che ha superato le crisi del passato.

Il Presidente del Venezuela, Nicolas Maduro eletto il 14 aprile 2013

Ed in vista dell’appuntamento elettorale si sono schierati contro altri candidati quali Claudio Fermin, sociologo, docente, sindaco del Municipio Libertador di Caracas tra il 1989 ed il 1993 e Neftali Yagua, ingegnere informatico e scrittore.

Entrambi hanno proposto la loro candidatura su Twitter. Pronti a scendere in campo anche altri esponenti politici e professionisti: Henri Falcón con un passato da Governatore dello Stato di Lara tra il 2008 ed il 2017, Leocenis García, giornalista e coordinatore del movimento di opposizione Prociudadanos, Juan Pablo Guanipa ex deputato ed ex Governatore dello Stato di Zulia, Leopoldo Lopez, ex sindaco di Chacao e coordinatore generale di Voluntad Popular, Lorenzo Mendoza, ingegnere e presidente di Empresas Polar, Rafael Ramírez, anche lui ingegnere petrolifero ed ex presidente di PDVSA ed ex ministro dell’Energía, delle Miniere e dell’Economia, Henry Ramos Allup, segretario generale di Acción Democrática, ex presidente e attuale deputato dell’Assemblea Nazionale venezuelana, Manuel Rosales, già Governatore dello Stato di Zulia in due occasioni nel 2000 ed il 2008, ex sindaco di Maracaibo ed ex candidato presidenziale e fondatore del partito un Un Nuevo Tiempo.

Intanto la Colombia, secondo quanto ha dichiarato il Procuratore generale della Repubblica, Tarek William Saab, sta pianificando “l’occupazione militare del Venezuela. Non lo possiamo permettere”.

Sono 2.200 i soldati colombiani schierati alla frontiera con il Venezuela

Secondo il Governo di Caracas lo spiegamento di truppe colombiane alla frontiera altro non è che un piano di invasione del Paese sud americano con l’appoggio degli Stati Uniti.

Lo scorso venerdì il Governo di Bogotà ha schierato 2.200 militari, ufficialmente per bloccare il traffico di contrabbando di merci e di persone. Subito il Venezuela ha inviato un centinaio di soldati ed aerei fino a Táchira, lo Stato che confina a Nord con la Colombia.

In tutto questo scontro politico-militare, gli Stati Uniti con il segretario di Stato, Rex Tillerson, lavorano ai fianchi il Venezuela contando sull’appoggio oltre che della Colombia anche di altri Paesi, puntando molte delle sue carte sull’Organizzazione degli Stati Americani (OSA, OEA in spagnolo; http://www.oas.org/en/default.asp)

Il segretario di Stato Usa, Tillerson

Ovvero sulle sanzioni economiche contro il Venezuela, accusato di indire elezioni non democratiche.

Ma l’unica misura economica e diplomatica forte è solo l’embargo del petrolio venezuelano. Un intervento al quale Washington ci lavora da almeno sei mesi, ma ancora non ha fatto nulla di concreto, salvo proibire l’acquisto di nuove emissioni di obbligazioni della società petrolifera statale PDVSA (http://www.pdvsa.com/index.php?lang=es)

Nel 1998, l’anno prima dell’arrivo di Hugo Chávez al potere, gli Usa importavano 1,37 milioni di barili al giorno, con il Venezuela terzo Paese fornitore di greggio dopo Canada e Stati Uniti.

A gennaio scorso gli Usa hanno abbassato l’acquisto di petrolio venezuelano fino a 390 mila barili giornalieri (-71,5% rispetto a 20 anni prima).

E di fatto il Paese sud americano è sceso al settimo posto, dietro alla stessa Colombia ed alla Nigeria.

Tillerson ha dichiarato di avere creato un gruppo di lavoro composto da canadesi e messicani su come applicare l’embargo petrolifero.

Una soluzione che, per Washington, costringerebbe Maduro a mettersi da parte.

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