Emirati Arabi Uniti: Abu Dhabi guarda a Est. La Cina nuovo fornitore d’armi del Paese

Di Giuseppe Gagliano

ABU DHABI. Negli ultimi anni gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno intensificato la cooperazione militare con la Cina, segnalando un cambio di rotta nella loro politica degli approvvigionamenti di difesa.

Tradizionalmente legati agli armamenti occidentali, gli Emirati stanno diversificando le fonti di equipaggiamento militare:

Pechino è emersa come un partner alternativo di primo piano.

Questa scelta riflette sia l’ascesa dell’industria bellica emiratina, desiderosa di tecnologia avanzata, sia il contesto geopolitico in evoluzione, in cui Abu Dhabi cerca di bilanciare le storiche relazioni con Stati Uniti ed Europa con nuove alleanze strategiche.

Le aziende chiave della cooperazione sino-emiratina

La crescente intesa militare tra EAU e Cina vede coinvolte diverse aziende di entrambi i Paesi.

Una mappa degli Emirati Arabi Uniti

 

Da parte cinese spiccano giganti come Norinco (China North Industries Group) e l’AVIC (Aviation Industry Corporation of China) attraverso la sua controllata CATIC (China National Aero-Technology Import & Export Corporation).

sempre più forte la presenza cinese negli Emirati Arabi Uniti

 

Norinco, colosso pubblico degli armamenti terrestri, è particolarmente attivo ad Abu Dhabi: ha stretto una partnership con l’azienda emiratina International Golden Group (IGG), culminata nella creazione del laboratorio congiunto China-Emirates Science and Technology Innovation Laboratory (CEST) per la ricerca sui droni.

Questa joint venture, presentata all’IDEX 2021, simboleggia l’approccio collaborativo: cinesi ed emiratini sviluppano insieme nuovi sistemi senza pilota, allineati alle esigenze locali, anziché limitarsi a compravendite dirette. Un ufficiale emiratino ha spiegato che questo modello facilita il trasferimento di tecnologia e la crescita di capacità indigene, in linea con la strategia di Abu Dhabi di potenziare la propria industria della difesa.

Anche altre aziende emiratine svolgono un ruolo di intermediari nell’acquisizione di materiale cinese.

Tawazun Council, l’ente che sovrintende gli acquisti militari degli EAU, ha spesso coinvolto partner locali per gestire i contratti con i fornitori cinesi.

Un esempio è l’accordo firmato durante IDEX 2023 per i lanciarazzi multipli cinesi AR3: il contratto da 902 milioni di dirham (circa 245 milioni di dollari) è stato assegnato a International Golden Group, partner emiratino di Norinco, includendo servizi nel paese. In pratica IGG funge da tramite locale per l’implementazione di tali sistemi, garantendo formazione, manutenzione e integrazione nelle forze armate emiratine.

Di recente è emersa una new entry: GR7 Defence Technology, una società emiratina creata appositamente per acquisire i sistemi militari cinesi più avanzati.

Questa nuova azienda, comparsa per la prima volta all’IDEX 2025 mantenendo però un basso profilo pubblico, testimonia l’intenzione di Abu Dhabi di istituzionalizzare i canali d’acquisto verso Pechino.

Pur essendo poco nota e con presenza online limitata, GR7 avrebbe il compito di sondare e procurare “il meglio” dell’arsenale cinese per conto degli EAU. La sua nascita suggerisce che Abu Dhabi intende approfondire la cooperazione in modo dedicato e discreto, forse per gestire delicati trasferimenti tecnologici lontano dai riflettori internazionali.

Droni, missili e aerei: cosa compra Abu Dhabi (e perché)

Le Forze Armate emiratine hanno già acquistato un ventaglio di armamenti “Made in China”, guidate da precise motivazioni strategiche.

I droni armati rappresentano uno dei settori più significativi: nel 2017 gli EAU hanno comprato un numero imprecisato di UAV Wing Loong II di fabbricazione cinese (prodotto dalla Chengdu Aircraft Industry Group), diventando uno dei primi clienti mediorientali di questi velivoli senza pilota.

La decisione non fu casuale: gli Stati Uniti avevano rifiutato di vendere agli Emirati i loro droni MQ-9 Reaper a causa di restrizioni sull’export di sistemi d’attacco senza pilota, lasciando un vuoto che Pechino ha colmato. Il Wing Loong II, simile per capacità al Predator/Reaper americano, ha offerto ad Abu Dhabi uno strumento cruciale da impiegare nel conflitto in Yemen contro le milizie Houthi, senza le condizioni politiche poste da Washington.

Un MQ-9 Reaper AS in volo

 

Oltre alla maggiore disponibilità, ha giocato un ruolo anche il fattore prezzo: i droni cinesi come il Wing Loong risultano decisamente più economici – fino a cinque volte meno costosi di un equivalente occidentale –-pur avendo caratteristiche comparabili. Ciò li rende appetibili per un Paese che, sebbene ricco, vuole ottimizzare il rapporto costi-benefici dei propri acquisti militari.

Accanto ai grandi UAV a lungo raggio, gli Emirati stanno investendo anche in droni più piccoli e munizioni intelligenti di provenienza cinese.

Al salone IDEX 2021, fonti emiratine hanno rivelato piani per acquistare elicotteri senza pilota Golden Eagle CR500 (un drone a decollo verticale) armati con missili anticarro Red Arrow 12, e una ventina di droni ad ala fissa MR40 equipaggiati con bombe a guida di precisione.

Tali acquisizioni – costi stimati di 9 e 7 milioni di dollari rispettivamente – includerebbero anche “migliaia di sistemi missilistici correlati” forniti dalla Cina per armare i droni stessi.

Questi velivoli compatti ampliano il ventaglio di capacità UAV degli EAU, offrendo ricognizione sul campo e attacchi mirati a corto raggio.

L’interesse emiratino verso di essi è legato alla necessità di affinare le capacità di sorveglianza e risposta rapida, sfruttando tecnologie che la Cina sviluppa a ritmo accelerato (come l’intelligenza artificiale applicata ai droni).

Inoltre, grazie alla collaborazione nel laboratorio congiunto CEST, alcuni di questi sistemi saranno adattati localmente: i tecnici di IGG e Norinco lavorano fianco a fianco per integrare i droni alle esigenze operative emiratine, trasferendo competenze che rafforzano l’industria nazionale.

Un altro capitolo importante riguarda gli aerei militari. Nel 2022 gli Emirati hanno annunciato per la prima volta l’acquisto di un velivolo da combattimento ad ala fissa cinese: si tratta di 12 esemplari dell’Hongdu L-15 Falcon, un jet da addestramento avanzato che può svolgere anche ruoli da caccia leggero.

La commessa, firmata con la CATIC (braccio export dell’industria aeronautica cinese) e accompagnata dall’opzione per ulteriori 36 velivoli, segna una svolta storica perché Abu Dhabi finora impiegava solo aerei occidentali.

L’L-15, presentato al Dubai Air Show 2021 e poi a UMEX 2022, è stato scelto per addestrare i piloti emiratini di nuova generazione e potenzialmente per missioni di attacco leggero.

La motivazione strategica dietro questa scelta è duplice: da un lato dotarsi di un aereo moderno a costi inferiori rispetto alle controparti europee o americane, dall’altro inviare un segnale politico.

Infatti l’accordo per gli L-15 è arrivato dopo che gli Stati Uniti avevano congelato la vendita di caccia F-35 agli EAU: Abu Dhabi ha voluto dimostrare di avere alternative valide in Cina, riducendo la dipendenza assoluta da Washington.

F-35 in volo

 

Un analista di difesa locale ha parlato di una “crisi di fiducia” verso gli Stati Uniti e di un riavvicinamento strategico a Pechino come conseguenza diretta di recenti attriti politici (dal dossier iraniano alla questione 5G). In breve, l’ordine degli L-15 evidenzia l’approccio pragmatico emiratino: se l’alleato americano pone troppe condizioni, la Cina offre mezzi avanzati senza interventi sulle scelte sovrane di Abu Dhabi.

Non mancano poi sistemi terrestri nel carrello della spesa cinese degli Emirati.

Oltre a veicoli corazzati e armi leggere (tradizionalmente acquistati in gran parte da Stati Uniti ed Europa), Abu Dhabi ha iniziato a procurarsi artiglieria pesante da Pechino.

Durante IDEX 2019 emerse l’interesse emiratino per l’obice trainato leggero AH4 da 155 mm (un pezzo di artiglieria sviluppato da Norinco ispirato all’M777 americano): l’acquisizione è stata poi confermata ufficialmente, facendo degli EAU il primo utente mediorientale di questo sistema.

L’AH4, grazie alla sua leggerezza, può essere elitrasportato e fornisce capacità di fuoco precise a lungo raggio, caratteristiche ideali per le esigenze emiratine di rapidità di dispiegamento. Ancora più significativa è la recente commessa dei lanciarazzi multipli AR3, citata poc’anzi: questo sistema campale di nuova generazione può lanciare razzi guidati da 370 mm oppure veri e propri missili balistici tattici da 750 mm con gittata di quasi 300 chilometri fatto, con l’AR3 gli Emirati si dotano di una capacità d’attacco a lungo raggio che finora solo pochi eserciti regionali possedevano, ampliando il proprio arsenale in risposta agli sviluppi missilistici di attori vicini (si pensi all’Iran).

La scelta dell’AR3 è motivata sia dalla prestazione bellica sia dalla flessibilità diplomatica: a differenza di sistemi occidentali comparabili, il lanciarazzi cinese viene venduto senza condizioni politiche stringenti, ed è configurabile su misura (i cinesi hanno persino prospettato varianti con missili anti-nave TL-7B per esigenze costiere). Costi competitivi e disponibilità immediata hanno reso l’offerta di Norinco attraente rispetto alle lunghe trattative e ai vincoli che spesso accompagnano le forniture europee o americane.

In sintesi, gli EAU stanno acquistando dalla Cina droni avanzati, sistemi d’artiglieria, missili e persino velivoli, perseguendo diverse finalità: colmare vuoti lasciati dagli alleati tradizionali, assicurarsi tecnologie all’avanguardia (talvolta “vietate” dall’Occidente) e favorire il know-how locale tramite cooperazione industriale.

Pechino, dal canto suo, offre armi affidabili e meno costose rispetto agli omologhi occidentali, con minori condizioni sull’uso finale, il che si allinea bene con l’approccio pragmatico e autonomista di Abu Dhabi in materia di difesa.

Equilibrismi geopolitici: tra Washington, Pechino ed Europa

La virata emiratina verso gli armamenti cinesi ha inevitabilmente conseguenze geopolitiche, specialmente nei rapporti con gli Stati Uniti e con l’Europa.

Sinora gli EAU sono stati un pilastro della sicurezza occidentale nel Golfo, cooperando strettamente con Washington (basti pensare alle basi militari americane sul suolo emiratino) e acquistando in massima parte armamenti da USA e alleati UE.

Tuttavia, la svolta verso Pechino segnala una politica estera più autonoma e multilaterale: Abu Dhabi intende “mantenere una politica estera autonoma” e affiancare alleanze non tradizionali a quelle storiche. Lo sceicco Tahnoon bin Zayed Al Nahyan, consigliere per la sicurezza nazionale, è ritenuto l’architetto di questa strategia di bilanciamento, coltivando rapporti sia con Washington che con Pechino in un delicato gioco diplomatico.

Dal punto di vista di Washington, la crescente presenza cinese negli Emirati desta preoccupazione.

Gli Stati Uniti temono innanzitutto per la sicurezza delle proprie tecnologie: l’idea che caccia Stealth F-35 di produzione americana possano operare nello stesso spazio aereo di droni cinesi, o che infrastrutture 5G di Huawei vengano installate vicino a basi USA negli EAU, ha allarmato il Pentagono.

Non a caso, nel 2021 l’Amministrazione Biden ha posto come condizione per procedere con la mega-commessa da 23 miliardi (che includeva F-35 e droni MQ-9B) la rinuncia emiratina alla rete 5G fornita dai cinesi. Abu Dhabi ha reagito male a quello che considerava un diktat: a dicembre di quell’anno ha minacciato di cancellare l’accordo sugli F-35, sospendendo di fatto le trattative.

Paradossalmente, il tentativo americano di tenere la Cina fuori dagli Emirati ha avuto l’effetto opposto, spingendo gli Emirati ancor più verso Pechino, come notato da analisti del Golfo. Da allora il riavvicinamento tra Abu Dhabi e Washington è diventato un tema delicato. Funzionari statunitensi hanno espresso allarme anche per altre mosse cinesi: ad esempio, quando l’intelligence USA ha scoperto nel 2022 la costruzione segreta di una presunta base militare cinese nel porto emiratino di Khalifa, Washington ha esercitato forti pressioni affinché il progetto fosse fermato.

Questo episodio – rivelato dal Washington Post – ha mostrato i limiti entro cui gli EAU devono muoversi: gli Stati Uniti tollerano un certo grado di cooperazione economica sino-emiratina, ma considerano inaccettabile una presenza militare cinese permanente a così poca distanza dal Golfo Persico. In risposta, la leadership emiratina sta cercando di tranquillizzare gli alleati occidentali senza però rinunciare ai legami con la Cina, un esercizio di equilibrio non facile.

Nel 2023 gli Emirati hanno aderito al gruppo BRICS (insieme a Cina, Russia, India, Brasile e Sudafrica), un segnale di allontanamento dall’ombrello occidentale in favore di un ordine multipolare. Allo stesso tempo Abu Dhabi continua a ribadire la solidità dell’amicizia con gli USA e coopera in ambiti chiave come l’antiterrorismo, cercando di dimostrare che l’apertura a Pechino *”non intacca le storiche relazioni con gli Stati Uniti e gli altri partner occidentali”*.

Per quanto riguarda l’Europa, la situazione è più sfumata. I Paesi europei, in particolare Francia e Italia, hanno importanti interessi di difesa negli Emirati: Parigi ad esempio ha venduto recentemente 80 caccia Rafale ad Abu Dhabi, mentre Roma collabora in progetti di sicurezza e fornisce sistemi come elicotteri ed elettronica militare.

Rafale in volo

L’ascesa della Cina come fornitore alternativo rappresenta per l’Europa al contempo una sfida commerciale e un dilemma strategico.

Da un lato, le aziende europee devono affrontare la concorrenza sul mercato emiratino di prodotti cinesi a basso costo.

Dall’altro, i Governi UE – allineati agli USA su molte questioni – osservano con cautela l’abbraccio sino-emiratino, preoccupati che possa erodere l’influenza occidentale nel Golfo e avvicinare un partner chiave come gli EAU all’orbita di potenze autoritarie. Finora le reazioni europee sono rimaste misurate: nessun Paese UE ha imposto condizioni esplicite come quelle americane, e anzi si continua a incoraggiare la cooperazione industriale con Abu Dhabi.

Ad esempio, a IDEX 2023 le principali industrie europee (dalla britannica BAE Systems all’italiana Leonardo) erano presenti in forze per promuovere i propri prodotti accanto a quelli cinesi.

E proprio le società europee potrebbero risentire della nuova situazione: se gli Emirati trovano in Cina forniture affidabili – come sistemi anti-drone, radar o munizioni guidate – potrebbero ridurre acquisti futuri da Europa e USA, ridisegnando il tradizionale equilibrio commerciale della difesa.

Va detto però che Abu Dhabi, almeno per ora, adotta un pragmatismo ecumenico: mantiene rapporti di difesa con tutti, firmando contratti sia con aziende cinesi sia con occidentali, nell’ottica di massimizzare i benefici da ogni partnership.

In definitiva, la scelta emiratina di diversificare sugli armamenti cinesi è un messaggio sia a Washington che all’Europa: gli EAU non vogliono più dipendere da un solo blocco e sono pronti a cercare altrove ciò che ritengono necessario per la propria sicurezza. Come ha sottolineato un osservatore, il Golfo sta diventando terreno di competizione tra grandi potenze e gli Emirati vi giocano il ruolo di alleato flessibile, facendo leva sulla propria importanza strategica per ottenere il meglio da entrambi i mondi.

Pechino alla conquista di IDEX: vetrine e nuove società per il “made in China”

La fiera internazionale IDEX di Abu Dhabi – il maggiore salone di difesa del Medio Oriente – è lo specchio di queste dinamiche in evoluzione. Se fino a pochi anni fa dominavano gli stand occidentali, oggi la presenza cinese è imponente: all’edizione 2025 la Cina ha inviato ben 59 aziende di difesa e tecnologia tra IDEX e la parallela mostra navale NAVDEX.

Si va dai colossi statali (Norinco, CATIC/AVIC, CETC nel campo elettronico) a una miriade di imprese specializzate in droni, missili, veicoli corazzati e cyber-sicurezza.

Questa partecipazione massiccia – raddoppiata rispetto a pochi anni fa, considerando che nel 2015 le aziende cinesi a IDEX erano circa quaranta – segnala la volontà di Pechino di conquistare quote di mercato nella regione e consolidare la propria immagine di partner affidabile per la sicurezza del Golfo.

Negli stand cinesi ad Abu Dhabi fanno bella mostra sistemi d’arma di ultima generazione, talora in anteprima mondiale: ad esempio, all’IDEX 2025 CATIC ha svelato il modello del caccia stealth Shenyang J-35, presentandolo come “analogo all’F-35” americano per attirare l’attenzione dei compratori mediorientali.

Un dirigente cinese ha esplicitamente paragonato il J-35 al Lightning II statunitense, sottolineando come stia suscitando interesse nella regione. Benché si trattasse solo di un modello in scala (l’aereo vero non è ancora operativo nemmeno in Cina), il messaggio geopolitico è chiaro: se gli USA negano agli alleati del Golfo i loro caccia più avanzati, la Cina è pronta a offrire un’alternativa hi-tech di alto profilo.

Allo stesso modo, presso lo stand cinese campeggiavano droni da combattimento, aerei da trasporto e sistemi missilistici, a segnalare un portafoglio di prodotti completo per ogni esigenza delle forze emiratine.

Dall’altro lato, gli Emirati utilizzano IDEX non solo come vetrina per mostrare le proprie capacità emergenti (attraverso il conglomerato locale EDGE e altre aziende nazionali), ma anche come occasione per stringere accordi con partner non tradizionali. È in questo contesto che va letta la comparsa, quasi in sordina, di nuove entità come la citata GR7 Defence Technology all’IDEX 2025.

Questa società emiratina di recente costituzione – posizionata nel padiglione nazionale con uno stand poco appariscente – sarebbe dedicata a scouting e acquisizione di sistemi d’arma cinesi avanzati da integrare nelle Forze Armate degli EAU.

Il fatto che GR7 sia stata creata ad hoc indica un approccio sempre più strutturato: invece di affidarsi di volta in volta a intermediari diversi, Abu Dhabi potrebbe centralizzare in questa entità gli acquisti “orientali”, facilitando la trattativa con i fornitori cinesi e magari celando parte delle operazioni più sensibili.

Secondo fonti specialistiche, GR7 mantiene volutamente un profilo basso (il suo sito web è minimo e la società non è ben conosciuta dagli attori tradizionali del settore), segno che le attività svolte – probabilmente negoziazioni su tecnologie critiche – richiedono discrezione per non irritare partner occidentali o svelare troppo le strategie emiratine.

All’IDEX, comunque, la sua presenza non è sfuggita agli addetti ai lavori, confermando che il “canale difesa” Abu Dhabi-Pechino sta assumendo forme sempre più istituzionalizzate.

Un’altra iniziativa significativa è l’allestimento di spazi comuni di innovazione: già nel 2021 il progetto CEST (laboratorio congiunto IGG-Norinco) citato sopra aveva un proprio stand a IDEX, collocato simbolicamente di fronte all’area espositiva di EDGE, quasi a simboleggiare l’unione di know-how locale e cinese.

In quella sede vennero annunciati programmi di ricerca congiunta a lungo termine su sistemi unmanned e intelligenza artificiale, oltre a nuove vendite di droni cinesi agli Emirati.

Tale modello di cooperazione – promuovere prodotti cinesi attraverso una piattaforma mista sino-emiratina – è proseguito nelle edizioni successive di IDEX e potrebbe ampliarsi ad altri settori (ad esempio veicoli terrestri robotici o sistemi antiaerei). Anche le fiere militari in Cina, come lo Zhuhai Airshow, vedono delegazioni emiratine in prima fila per valutare le ultime novità: l’interesse è reciproco, con Pechino che invita gli EAU a eventi in patria e Abu Dhabi che contraccambia ospitando una massiccia partecipazione cinese alle proprie fiere.

In definitiva, IDEX funge da barometro dei rapporti di difesa sino-emiratini. La forte presenza di aziende cinesi e la creazione di strutture dedicate agli scambi tecnologici indicano che la partnership sta passando dalla fase esplorativa a quella operativa.

La Cina considera gli Emirati un mercato privilegiato e un hub per espandersi nel resto della regione, mentre gli EAU vedono nelle esposizioni internazionali un’occasione per mostrare la propria apertura a Est, senza per questo chiudere la porta a Ovest.

Il linguaggio dei contratti firmati ai bordi degli stand è più eloquente di molti discorsi diplomatici: all’IDEX 2023, su 23 miliardi di dirham di contratti annunciati, una fetta consistente ha riguardato sistemi cinesi o joint venture con Pechino. È la conferma che Abu Dhabi, nel perseguire la propria sicurezza e ambizione industriale, ha abbracciato una strategia multipolare anche nel settore della difesa.

Conclusione

Il ruolo della Cina come fornitore di armamenti per Abu Dhabi è dunque in rapida ascesa e si inserisce nelle più ampie trasformazioni geopolitiche in atto.

Mentre gli Emirati sviluppano la propria industria militare domestica, rimane forte l’interesse ad acquisire tecnologie straniere per colmare gap capacitivi.

Pechino offre una combinazione allettante: armi moderne, meno costose e accessibili senza gli stringenti vincoli politico-operativi tipici delle forniture occidentali. Droni da combattimento, missili e mezzi cinesi hanno già rafforzato l’arsenale emiratino, contribuendo al tempo stesso a far crescere l’expertise locale tramite progetti congiunti.

Questa scelta, tuttavia, richiede ad Abu Dhabi un delicato gioco di equilibri diplomatici: mantenere salde le alleanze con Stati Uniti ed Europa, rassicurandole che la “svolta a Est” non mina i rapporti tradizionali, e al contempo continuare a trarre vantaggio dalla partnership con la Cina.

Finora gli Emirati sono riusciti in questo difficile esercizio, affermandosi come attore autonomo e pragmatico sulla scena internazionale. La partecipazione record di aziende cinesi a IDEX e la creazione di nuove società emiratine dedicate all’import di tecnologia militare cinese non fanno che ribadire questa tendenza.

In futuro, la sfida per Abu Dhabi sarà capitalizzare sulla cooperazione con Pechino (in termini di sicurezza e sviluppo industriale) senza compromettere i legami storici con l’Occidente – un bilanciamento che rispecchia la natura multipolare dell’era attuale in Medio Oriente.

Gli occhi di Washington e delle capitali europee restano puntati: l’evoluzione del rapporto militare tra Cina ed Emirati offrirà un indicatore cruciale di come gli equilibri di potere globali stiano cambiando anche attraverso fiere degli armamenti e contratti di fornitura. In questo scenario dinamico, gli Emirati Arabi Uniti mirano a ritagliarsi un ruolo da protagonisti, dimostrando che la diversificazione delle alleanze – anche in campo militare – può diventare un punto di forza strategico in un mondo sempre più competitivo e interconnesso.

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