Di Giuseppe Gagliano
ABU DHABI. Negli intricati corridoi del potere di Abu Dhabi, dove il deserto incontra l’ambizione globale, una figura sta emergendo come architetto della nuova strategia militare degli Emirati Arabi Uniti: Mohammad Al-Mazrouei, ministro di Stato per gli Affari della Difesa.

Non è un nome che fa tremare i titoli dei giornali, almeno non ancora, ma il suo ruolo nel cementare la partnership con gli Stati Uniti sta trasformando gli Emirati in un attore sempre più centrale nel grande scacchiere della sicurezza globale.
Tra tecnologie avanzate, colloqui imminenti e una visione che guarda oltre il Golfo, Al-Mazrouei sta scrivendo un capitolo che merita attenzione.
Ma cosa guida questa alleanza?
E quali sono i limiti di un abbraccio così stretto con Washington?
Il ruolo di Al-Mazrouei: un ponte tra Abu Dhabi e Washington
Da quando ha assunto l’incarico, Al-Mazrouei si è imposto come il volto della modernizzazione militare emiratina, un uomo che non si limita a firmare contratti, ma che plasma strategie.
La sua missione principale sembra essere quella di approfondire le relazioni di difesa con gli Stati Uniti, un alleato storico che per gli Emirati rappresenta non solo un fornitore di armi, ma un partner strategico in un mondo sempre più instabile.
Sotto la sua guida, il Ministero della Difesa ha intensificato i dialoghi con il Pentagono, puntando a una cooperazione che vada oltre i soliti F-35 o sistemi missilistici THAAD – già parte dell’arsenale emiratino – e si concentri su ciò che davvero conta nel XXI secolo: la tecnologia.

Al-Mazrouei non è un semplice esecutore: è un negoziatore.
Ha portato al tavolo discussioni su joint ventures, esercitazioni congiunte e, soprattutto, lo sviluppo condiviso di capacità avanzate.
È lui il regista delle imminenti discussioni tra Emirati e Stati Uniti, previste per i prossimi mesi, che potrebbero segnare un punto di svolta nella partnership.
Ma c’è un dossier che gli sfugge, un’area esclusa dalla sua responsabilità – forse la gestione degli asset petroliferi o un progetto riservato legato a EDGE – che lascia intravedere come, anche in un sistema centralizzato come quello emiratino, il potere sia un mosaico complesso.
Tecnologie avanzate: il futuro della collaborazione
Se c’è un’area che accende l’interesse di Al-Mazrouei e dei suoi interlocutori americani, è quella delle tecnologie avanzate.
Non si parla più solo di droni o missili, ma di intelligenza artificiale, guerra elettronica e sistemi ipersonici – campi in cui gli Stati Uniti vantano un vantaggio che gli Emirati vogliono assorbire.
La nota cita esplicitamente queste priorità, e non è difficile capire perché. In un Golfo dove l’Iran testa missili balistici e l’Arabia Saudita cerca di tenere il passo, Abu Dhabi sa che la superiorità tecnologica è la vera assicurazione sulla vita.
Un esempio concreto?
I colloqui con Palantir, azienda americana leader nell’analisi dei dati e nell’IA, che a marzo 2025 erano già in fase avanzata.
Al-Mazrouei vede nell’intelligenza artificiale applicata alla difesa – dalla sorveglianza predittiva alla gestione delle operazioni – un moltiplicatore di forza per le Forze Armate emiratine.
Ma non si ferma qui: la collaborazione con gli Stati Uniti potrebbe includere anche lo sviluppo di contromisure elettroniche o piattaforme autonome, un’eredità della lunga esperienza americana in teatri come l’Iraq e l’Afghanistan.
È una partnership che guarda al futuro, ma che poggia su un presente di necessità immediate.
Gli obiettivi del Ministero: deterrenza e prestigio
Il Ministero della Difesa degli Emirati, con Al-Mazrouei al timone, ha obiettivi chiari: rafforzare la deterrenza regionale e consolidare il prestigio internazionale.
Cooperare con gli Stati Uniti non significa solo acquisire hardware, ma entrare in un club esclusivo, quello delle nazioni che contano davvero.
La strategia è duplice: da un lato, proteggere gli interessi nazionali – il controllo dello Stretto di Hormuz, la sicurezza delle rotte energetiche – dall’altro, proiettare un’immagine di potenza moderna, capace di dialogare alla pari con Washington.
Questo approccio si riflette anche nella diversificazione delle partnership. Al-Mazrouei non guarda solo agli Stati Uniti: i colloqui con la Cina su tecnologie ipersoniche e guerra elettronica, emersi a marzo 2025, dimostrano che gli Emirati stanno giocando su più tavoli.
È una danza diplomatica che richiede equilibrio, ma che potrebbe irritare qualche alleato. Washington, da parte sua, sembra disposta a tollerare queste “distrazioni”, purché il cuore della cooperazione resti intatto.
Un’alleanza con molte domande
E qui si apre lo spazio per le riflessioni che Fulvio Scaglione amerebbe sviscerare.
Quanto può durare un’alleanza così asimmetrica tra un piccolo Stato del Golfo e una superpotenza?
Gli Emirati stanno comprando sicurezza o dipendenza?
Al-Mazrouei, con la sua visione pragmatica, sta costruendo un esercito all’avanguardia, ma a quale costo politico? Rafforzare i legami con gli Stati Uniti significa anche esporsi alle loro guerre, ai loro nemici, alle loro crisi. E se il prossimo Presidente americano – magari un Trump redivivo – decidesse di cambiare le carte in tavola?
Per ora, Al-Mazrouei procede con passo deciso.
Le imminenti discussioni con gli Stati Uniti saranno un banco di prova, un’occasione per misurare la sua influenza e la solidità della partnership.
Gli Emirati vogliono essere più di un cliente: vogliono essere un alleato strategico.
Ma in un mondo dove la tecnologia corre più veloce della diplomazia, il rischio è che il prezzo di questa ambizione si riveli più alto di quanto Abu Dhabi sia pronta a pagare.
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