Estremismo islamico: alcune chiavi interpretative. La Shar’ia non è un Codice ma una “via etica”

Di Giuseppe Santomartino*

Kabul. Ogni volta che assistiamo a violenti accadimenti generati dall’ estremismo islamico, specie nelle sue devianze jihadiste e terroristiche, il mondo mediatico ci sommerge di articoli, analisi, interviste, talk-show, molti dei quali anche pregevoli, ma in cui si veicolano spesso concetti, in materia islamologica, in maniera approssimativa ed impropria, ciò ovviamente non contribuisce al fine ultimo del mondo dell’ informazione che dovrebbe essere in primisquello di fornire una corretta informazione.

Per i jihadisti è fondamentale l’indottrinamento psicologico e militare

Vediamo di portare un po’ di chiarezza seppure nei limiti imposti da un approccio giornalistico.

Shar’ia: Generalmente tradotto quale “legge islamica”, in realtà il vero significato di questo termine è  “complesso di regole di vita e di comportamento dettato da Dio per la condotta morale, religiosa e giuridica dei Musulmani”.

Va subito detto quindi che la Shar’ia non va intesa quale Codice, ma quale “via etica”, infatti il vero significato del termine in arabo implica il concetto di ‘via per abbeverarsi alla fonte’ e non di codice o legge o testo normativo.

Dalla Shar’ia poi discende uno sforzo di interpretazione giurisprudenziale, sviluppato nei secoli, teso a ricavare le concrete norme , che potremmo quindi chiamare di “diritto positivo”.

Un giovane islamico studia il Corano

Il prodotto di tale sforzo esegetico- giurisprudenziale viene chiamato fiqh e può avere interpretazioni più o meno letterali e radicali.

In realtà molte delle norme che comunemente vengono ricollegate alla Shar’ia (ad esempio l’abbigliamento femminile, alcune restrizioni delle libertà individuali specie femminili, il divieto di consumare carne di maiale ed altro ancora) sono ricollegate a particolari espressioni di fiqh (e quindi non direttamente alla Shar’ia né tantomeno al Corano).

Va poi detto che la Shar’ia ha quattro fonti: il Corano ( che nonostante le narrative prevalenti è fonte scarsamente normativa e richiede una esegesi molto complicata e spesso contraddittoria), la Sunna (insieme di hadith, detti parabole espresse dal profeta  Maometto).

L’Ijma (o consenso della Comunità Musulmana che, a ben meditare, è una forma  di democrazia ancorché  primitiva e di origine tribale).

Il Qiyas (ragionamento analogico che serve per adattare le fonti primarie islamiche a eventi e casi sorti nei secoli fino ai giorni nostri).

Nell’Islam esistono quattro scuole giuridiche (Hanbalita, la più tradizionalista, Hanafita, Sciafiita, Malikita, attiva soprattutto in Nord Africa).

L’ intensità, la completezza e il livello di interpretazione più o meno rigido dell’applicazione della Shar’ia varia in funzione del Paese (molto più rigida in Arabia Saudita ed Iran) ovvero con l’adesione o la coercizione di alcuni gruppi estremisti (ad esempio Salafiti o Talebani o Stato  Islamico- ex ISIS).

Un fedele islamico in preghiera.

Sarebbe quindi inutile cercare nel Corano una chiara ed esplicita indicazione circa l’ obbligo del velo integrale  per le donne:  semplicemente non c’ è.

C è invece una generica raccomandazione di pudore e di separazione, ma non esplicitamente riferita a veli.

Gli obblighi imposti da alcune interpretazioni (ad esempio i Talebani) derivano quindi da discutibili interpretazioni parziali e radicali delle fonti della Shar’ia contestate peraltro in vari altri Fori musulmani.

Analogamente per altre norme comportamentali, alimentari e penali (ad esempio la lapidazione o il taglio della mani per i ladri).

In realtà moltissimi paesi ed organizzazioni islamiche hanno nella propria costituzione il rispetto della Shar’ia, meraviglierebbe il contrario.

Questo non costituisce certo una prerogativa dei Talebani o dell’IS ex ISIS, ma ciò che varia è il livello di radicalità e le interpretazioni estremiste della Shar’ia medesima.

Califfo, Califfato, Stato Islamico: Un altro termine molto diffuso (o abusato) specie dopo la nascita dell’ISIS dal 2013 ed il cambio nome del 2014 da ISIS a Islamic State – Califfato del giugno 2014 ( l’ISIS di fatto non esiste più da tale data) è “Califfo e Califfato”.

La parola araba Khalifah (Califfo) deriva dalla radice trilittera K.L.F. che indica il concetto di vicariato, sostituzione, una ambiguità definitoria che, come osserva anche il famoso islamologo Bernard Lewis nel suo testo fondamentale  “The Political Language of Islam”, ha avuto poi un significativo impatto nelle interpretazioni che si sono succedute nei secoli circa tale funzione.

Un’accettabile definizione del termine Califfo può essere la seguente “Successore di Maometto”, poi capo della  Comunità chiamato  Amir al-Muu’miniin, ossia Emiro dei Credenti, e più tardi Imam, guida temporale e spirituale dell’Impero Musulmano”(Sourdel Thomine, Vocabolario dell’Islam).

Il termine khalifah viene utilizzato due volte nel Corano in riferimento ad Adamo e Davide definiti quali ‘vicari’ di Dio sulla Terra, ma in nessuno dei due casi vengono attribuite valenze politiche.

Tali valenze sono state acquisite de facto dalle figure califfali dopo la morte di Maometto.

Non è corretta, per una serie di motivi che sarebbe lungo da spiegare, l’equipollenza fra Calliffo e Re o Imperatore.

La posizione califfale ha avuto quindi varie vicissitudini storiche, l’ultima figura califfale era incardinata nell’ Impero Ottomano, non  ritenuta da molte fonti quale  vera e  piena funzione califfale, e fu abolita dopo la caduta dell’Impero Ottomano nel 1924 con una decisione che suscitò non poca delusione ed  amarezza nel mondo islamico.

Da  allora nel sentimento comune islamico, specie negli ambienti più legati alla tradizione, si è creata una sorta di aspettativa per una  ricostituzione di una figura califfale che al-Baghdadi, già capo dell’ ISIS,  ha saputo cogliere ed, in qualche modo, soddisfare.

Dal 1924 e per quasi un  secolo nessuno , neanche Osama bin Laden o Khomeini ha più osato appropriarsi di tale titolo se non appunto, come detto prima, al-Baghdadi nel 2014.

Un’immagine di Osama Bin Laden, leader di Al Qaeda, ucciso nel 2011 dai Navy Seals nella località pakistana di Abbottabad

Il concetto di Califfato ha però un enorme potere evocativo e mobilitante nella Comunità Musulmana ed è stato, in tal guisa, sapientemente sfruttato dall’ISIS specie dopo l’ autoproclamazione a Califfo di al-Baghdadi nel 2014 che ne ha enfatizzato la valenza “universale” e quindi non più limitata al Medio Oriente e ciò spiega vari fenomeni:  la presenza di vari Wilayat (province affiliate al Califfato dell IS ex ISIS) dal Sahel al Medio Oriente, all’Asia centrale (ove opera in particolare il Wilayat dell’ Islamic State in Khorasan – ISK protagonista dei recenti drammatici eventi in Kabul).

Il fenomeno dei Foreign Fighters; gli attentati condotti  dal 2014  al di fuori del Medio Oriente  (ad Charlie Hebdo, Bataclan e Londra).

Il Batalaclan dopo l’attentato

Va detto che l’IS ex ISIS  si ispira ad un modello califfale dei primi 4 Califfi Ben Guidati (i primi califfi dopo Maometto ) e non a caso al-Baghdadi scelse quale alias Abu Bakr, che  è il nome del primo califfo dopo Maometto (appunto Abu Bakr ), ritenuto nella  tradizione musulmana ancor oggi il miglior califfo mai esistito.

Il discorso di Al Bagdadi nella moschea di Mosul, giugno 2014

Tale scelta ha contribuito a far sì che l’autoproclamazione a Califfo di al-Baghdadi avesse  una presa evocativa e forse anche apocalittica molto efficace su tanti musulmani (anche se la grande maggioranza dei musulmani, come vedremo in seguito, non lo riconosce affatto quale Califfo né ne  condivide le idee) per certi aspetti difficilmente comprensibile al di fuori del mondo islamico.

Va detto che molti autorevoli consessi musulmani hanno sin dal 2014 disconosciuto ogni legittimità all’ autoproclamazione di al-Baghdadi quale Califfo sulla base di considerazioni di natura islamologica alquanto complesse ma che potrebbero essere molto utili per un’azione di contrasto alla credibilità islamologica ( vera arma strategica) dell’ IS ex ISIS e dei Wilayat affiliati quali, ad esempio, l’ISK in Afghanistan.

Negli ultimi decenni le dottrine islamico-radicali hanno associato al concetto di Califfato anche il  concetto di Stato Islamico ( sostanzialmente estraneo all’Islam classico) specie laddove si basa sulla teoria dell’ hakimiyya (governo di Allah- Dio) che di fatto disconosce ogni funzione al modello democratico ed alle funzioni legislative  parlamentari e che sarebbe improprio definire, come spesso si legge, quale ‘teocrazia’ ma che sarebbe più corretto definire ‘nomocrazia’ e che rafforza l’ interpretazione del forte connubio fra religione e stato- politica( diin wa dawla), non a caso il nome arabo di Stato Islamico è Dawla Islamiyya.

Jihad. Anche questo è uno dei termini più abusati  e diffusi e su cui insistono vari equivoci. Il termine deriva da una radice trilittera J.H.D. che implica il concetto di sforzo ma di natura spirituale e quindi non bellico, la sua ricorrente traduzione quale “guerra santa” non trova quindi adeguata giustificazione. Il concetto di guerra in arabo è infatti reso dal termine harb.

Nel Corano il termine Jihad non viene infatti mai utilizzato in accezione militare o bellica.

Tradizionalmente l’islamistica (Averroè, XII secolo ) ha poi nei secoli sistematizzato il concetto su quattro categorie di Jihad in ordine di importanza decrescente: Jihad del cuore (lotta interiore per migliorare spiritualmente), della lingua (predicazione ), della mano (opere per il bene della società) e solo in ultima accezione Jihad della spada ma da intendere in chiave difensiva ( difesa delle terre musulmane).

La resistenza dei mujahidiin contro l’invasione sovietica in Afghanistan negli anni ’80 si basava proprio su questa ultima concezione del Jihad difensivo.

Purtroppo l’evoluzione di dottrine islamico-radicali ( definite in genere “Correnti Militanti”) dalla metà del XX secolo hanno fatto nascere e progredire una dottrina in cui, con varie gradi intensità, si è ammesso e diffuso l’esigenza di un Jihad offensivo (Jihad al- Talab) che ha poi subito degenerazioni interpretative che sono diventate basi ideologiche per il cosiddetto Jihadismo ( termine anch’ esso molto diffuso ma  che presenta enormi criticità definitorie) e quindi per azioni terroristiche di matrice islamica.

Tali interpretazioni sono state però ampiamente disconosciute da vari autorevoli consessi musulmani.

PER APPROFONDIRE

https://www.reportdifesa.it/jihadismo-un-libro-di-giuseppe-santomartino-spiega-le-chiavi-interpretative-le-ideologie-le-strategie-le-dottrine-i-pensatori/

La copertina del libro

*Generale di Divisione dell’Esercito (Aus). Dottore in Scienze Politiche a indirizzo Islamico presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli

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