Europa della Difesa: un Polifemo con tanti Ulisse. E la Libia aspetta

Di Luigi Chiapperini*

Roma. Non è facile parlare di Europa, ancor più difficile risulta affrontare temi legati alla sua politica di difesa e sicurezza.

Eppure dovrebbero essere temi di primissimo piano, nella considerazione che l’Europa è letteralmente circondata da aree di crisi: gli ex confini con la fu l’URSS, l’area caucasica, il Medio Oriente, l’Africa settentrionale e sub sahariana, gli stessi Balcani.

Una pentola a pressione che, se non gestita adeguatamente, potrebbe esplodere alle porte del Vecchio Continente.

Non può essere negato che sussistono conflitti in atto e potenziali, asimmetrici e simmetrici, che presuppongono la disponibilità di forze pronte in grado di fronteggiare minacce sia ibride che classiche.

L’Unione Europea si è affacciata in maniera discreta in questi teatri di crisi, mettendo in campo alcune missioni essenzialmente di monitoraggio e di addestramento delle forze di sicurezza locali.

Sono circa 5 mila gli uomini e donne che sotto cappello UE sono impegnati in 11 missioni civili e in 6 missioni militari, compresa la quasi defunta operazione EU NAVFOR MED “SOPHIA” di cui tanto si parla in questi giorni a seguito della crisi libica.

Una missione che, avviata il 22 giugno 2015, ha raccolto alcuni successi parziali nel contrasto al traffico di esseri umani (più di 150 scafisti arrestati e 550 imbarcazioni distrutte) ma nessun risultato nell’embargo delle armi da e per la Libia.

Le missioni e le operazioni della Ue per il 2020

Ma se l’Europa volesse fare di più, ha gli strumenti per continuare, se necessario, l’azione politica con altri mezzi? La risposta è sì, ma solo fino ad un certo punto e al netto della volontà politica di farlo.

L’UE ha Comandi e forze militari, ma con una preponderanza dei primi rispetto alle seconde le quali, pur idonee quantitativamente e qualitativamente, risultano per vari motivi difficilmente impiegabili.

Partendo dalle strutture deputate al comando e controllo, per le missioni militari le strutture a livello strategico, tutte facenti capo al Political and Security Committee, sono: i cinque Operational Headquarters (OHQ) resi disponibili da Francia, Germania, Grecia, Italia e Regno Unito (quest’ultimo presumibilmente verrà ritirato a seguito della Brexit), il Supreme Headquarters Allied Powers Europe (SHAPE) per via degli accordi “Berlin plus” e l’EU Operation Centre, in grado di essere attivato all’occorrenza per operazioni di limitata entità e di ridotti livelli di rischio, costituito presso lo Stato Maggiore dell’Unione Europea.

Invece per quanto concerne le missioni civili, la struttura deputata al comando di livello strategico è il Civilian Planning and Conduct Capability (CPCC). Detta distinzione fa nascere già delle perplessità: ha senso tenere distinte le missioni “civili” da quelle “militari”? Se un’area è considerata di crisi, l’aspetto civile non può prescindere da quello militare.

Inoltre è d’uopo fare una considerazione riguardo la possibile cooperazione tra UE e NATO a seguito degli accordi “Berlin Plus”.

La NATO raccoglie 29 Paesi, la UE 27, mentre sono 21 gli Stati facenti parte di entrambe le organizzazioni.

In questa situazione risulta quanto meno problematico raggiungere in entrambi i consessi l’unanimità per l’avvio di operazioni congiunte.

Peraltro, nella dichiarazione congiunta sulla cooperazione UE-NATO del 10 luglio 2018 sono elencati i settori oggetto dell’accordo, che riguardano essenzialmente mobilità militare, cybersecurity, minacce ibride, lotta al terrorismo, donne e sicurezza. Non proprio ciò che ci si aspetterebbe da una vera e propria cooperazione militare strutturata.

La domanda da porsi allora è se l’UE può fare a meno dell’Alleanza atlantica e come si pone nei confronti dei maggiori player mondiali.

Se sommiamo gli equipaggiamenti militari delle singole nazioni europee e li raffrontiamo con quelli di USA, Russia e Cina, possiamo senz’altro affermare che sulla carta l’Europa è una potenza militare.

Ma “non sempre la somma fa il totale”: lo strumento militare delle singole nazioni europee letteralmente ristagna sul suolo europeo ma non appartiene all’Unione Europea.

Il potenziale europeo confrontato con i principali players mondiali

Tra l’altro, la suddetta posizione di rilievo in termini di forza militare complessiva potrebbe subire dei contraccolpi negativi nel breve e medio termine per vari motivi.

Il primo riguarda il rinnovamento delle linee, con un trend essenzialmente negativo negli ultimi 20 anni della consistenza degli equipaggiamenti: meno 73% di Main Battle Tank (MBT), meno 24% di veicoli corazzati per fanteria, meno 37% di velivoli tattici, meno 39% di aerei da rifornimento, meno 30% di navi da combattimento di superficie, meno 28% di sottomarini, con un incremento che riguarda solo gli elicotteri d’attacco (più 32%) e velivoli senza pilota (più 945%).

Disponibilità sistemi d’arma europei ultimi 20 anni

Negli ultimi dieci anni anche il budget dedicato alla difesa è andato sempre più calando, e ciò è accaduto solo in seno all’UE, mentre sono aumentati quelli di tutti gli altri principali attori mondiali e regionali, compresi India, Giappone e Arabia Saudita.

Giova inoltre ricordare che in Europa solo Regno Unito, Francia, Polonia, Romania e gli stati baltici si avvicinano al 2% del PIL dedicato alla difesa sulla base delle linee guida della NATO.

Evoluzione spesa 2007 – 2017 in milioni dollari USA a spesa corrente- Fonte Corte Conti Europea su dati SIPRI

 

Anche i sistemi in produzione per singola tipologia di equipaggiamento, rendono l’Europa più debole di quanto a prima vista possa sembrare. Basti notare che, rispetto agli USA che ne hanno uno solo, in Europa ci sono quattro diversi tipi di MBT, gli Stati Uniti hanno tre tipi di missile antinave mentre l’Europa nove, il Vecchio Continente ha in linea 11 diverse tipologie di Fregate mentre gli USA una sola.

Ciò comporta per l’Europa comprensibili problemi di impiego operativo e di supporto logistico in caso di missioni unitarie. E il trend della proliferazione di sistemi d’arma nazionali continua; un esempio è lo sviluppo del sistema “Soldato futuro”, volto ad equipaggiare il combattente dei prossimi decenni, che vede in Europa ben cinque progetti differenti.

I programmi per il combattente del futuro

Da ultimo, ma probabilmente è l’aspetto più importante, bisognerà tener conto dell’effetto che avrà la BREXIT sul potenziale della difesa europea. Quelli che sono ormai diventati i cugini di secondo grado d’oltremanica faranno mancare, oltre al nucleare che in Europa diventa appannaggio della sola Francia, il 9% di Infantry Fighting Vehicles, il 50% di portaerei, il 28% di UAV ed il 30% di aerei da rifornimento.

Gli effetti della Brexit sul potenziale della Difesa europeo

Quindi l’Europa della Difesa, potenziale gigante mondiale, scopre nuove vulnerabilità che vanno ad aggiungersi all’incapacità sin qui dimostrata di agire politicamente all’unisono.

A onor del vero, tentativi di rafforzare la politica di difesa e sicurezza comuni ci sono stati: lo sforzo di dotarsi di forze militari dedicate e disponibili per gli scopi dell’UE, la cooperazione strutturata permanente della PESCO e i Fondi europei per la difesa sono gli esempi più recenti.

Riguardo le forze, da anni sono disponibili gli European Union Battle Group (EU BG), unità di livello Reggimento (1.500 unità) più assetti aerei e navali, con compiti del tipo Petersberg (humanitarian, peacekeeping and peacemaking nature).

Ogni anno nazioni volenterose dovrebbero rendere disponibili due EU BG per semestre (l’Italia lo ha fatto per ben tre volte negli ultimi quattro anni), ma in realtà più volte in passato è accaduto che la tabella di turnazione sia rimasta desolatamente parzialmente vuota.

Senza contare il fatto che due Reggimenti costituiti da un insieme eterogeneo di bassissimo livello ordinativo, più qualche aereo e qualche nave, schierabili per non più di 30 fino ad un massimo di 120 giorni, sono poco credibili anche se impiegati in qualità di Initial Entry Force per l’avvio di una operazione militare. Ed infatti non sono mai stati impiegati …

Riguardo poi il Fondo europeo per la difesa, che nella bozza di bilancio 2021-2027 doveva ammontare a 10,5 miliardi di euro, è notizia di questi giorni che molto probabilmente potrà essere computato sulle dita di una sola mano.

La bozza del bilancio europeo in discussione

E la cooperazione strutturata permanente della PESCO? Nata nel 2016, è considerata così efficace che è già stata superata dal lancio francese nel 2018 dell’Iniziativa Europea d’Intervento (European Intervention Initiative – EI2), gruppo di tredici stati che si impegnano a sviluppare i prerequisiti per lo svolgimento di impegni operativi congiunti in vari scenari d’intervento militari predefiniti. In pratica, si tratta di una Coalition of willing nata per superare l’atavica difficoltà dell’Europa a 28, ormai a 27, ad assumere decisioni importanti nel campo della difesa.

In sintesi, l’Unione Europea, al netto della volontà politica condivisa di intervenire con risolutezza nelle aree di crisi (volontà che sinora è stata alquanto aleatoria), non dispone comunque di forze pronte, proiettabili e sostenibili, a meno che non subentrino nazioni «volenterose» che agiscano per nome e per conto dell’Europa. Ma la domanda che poi nasce è: per quali interessi?

I costi materiali e morali di una Non-Europa sono notevoli e potrebbero portare all’irrilevanza cronica del vecchio continente: un Polifemo della Difesa la cui aspirazione a voler osservare ciò che avviene nel mondo con un occhio solo viene continuamente soffocata da tanti Ulisse armati di interessi nazionali.

E di tutto questo l’Europa dovrà tenerne conto quando il mese prossimo dovrà trasformare il Non-Paper sulla Libia in qualcosa di più concreto e possibilmente efficace.

*Generale di Divisione (Ris)  – Lagunari – Presidente A.L.T.A.

(Stralcio dell’intervento presso la Scuola di Guerra Economica e Competizione Internazionale – ASCE di Venezia)

Fonti:

ISPIonline.it

– European External Action Service

– Difesa.it

– IISS (Istituto Internazionale Studi Strategici)

– Corte dei Conti Europea

– SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute)

– EUROSTAT

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