Di Giuseppe Gagliano
PARIGI. Nel cuore della retorica europea sull’autonomia strategica si cela un paradosso mai risolto: l’idea che la potenza industriale possa scaturire da un patto tra Stati disuguali per visione, interessi e ambizioni.
Il podcast del CR451 dell’École de Guerre Économique ci guida in una minuziosa autopsia dell’ennesimo “cadavere” annunciato: il Progetto MGCS (Main Ground Combat System) ), il futuro carro da battaglia europeo a firma franco-tedesca.

Ma già il titolo, provocatorio e rivelatore – “Les Allemands vont-ils encore nous rouler dessus?” (I tedeschi ci investiranno di nuovo?) – suggerisce che l’integrazione è spesso una forma edulcorata di dominio economico.
Leopard: il marketing batte la sovranità
Il Leopard non è un carro. È un sistema.

È l’asse portante di una strategia commerciale costruita con metodo e continuità: esportazione, fidelizzazione, club utenti, standard condivisi.
Dal 1945, oltre 13 mila carri tedeschi sono stati venduti nel mondo. Un numero che non dice tutto, ma suggerisce molto: i tedeschi hanno creato una supply chain europea e una comunità di utilizzatori che finanzia collettivamente ricerca, aggiornamenti e interoperabilità.
Una NATO del cingolato.
Dietro c’è Rheinmetall, c’è Krauss-Maffei, ma soprattutto c’è la Bundeswehr e lo Stato tedesco.
Non come acquirente, ma come promotore industriale. La macchina Leopard è una macchina politico-commerciale. Funziona, resiste, si evolve. E si impone.
Leclerc: anatomia di un trauma industriale
Il Leclerc, carro raffinato e innovativo, rappresenta il contrario: l’isolamento.

È nato nel segno della sovranità, ma è morto nel silenzio della marginalità. Contratti mal negoziati, come quello con gli Emirati Arabi, hanno lasciato un’eredità di sfiducia.
I prototipi non funzionavano. Le leggende sul suo fallimento tecnico, amplificate dal malcontento interno, hanno creato un tabù strategico: l’impossibilità, in Francia, di investire di nuovo nel carro come piattaforma centrale.
Il Leclerc non è stato solo una delusione tecnica. È stato un collasso psicologico. Una ferita culturale. E come ogni trauma non elaborato, si è tradotto in paralisi.
KNDS, Rheinmetall e la guerra silenziosa
KNDS – la joint venture franco-tedesca tra Nexter e Krauss-Maffei – dovrebbe rappresentare la riconciliazione tra due culture industriali. Ma la realtà è un’altra.
Rheinmetall, gigante autonomo, aggira KNDS e propone il Panther (KF-51), un carro sviluppato su fondi propri, pronto all’export.

Mentre la Francia attende il 2040 per produrre un nuovo carro, la Germania esporta oggi.
L’asimmetria si fa strategia. Il partner tedesco non abbandona nulla senza contropartita. La logica è di conquista, non di compromesso. E lo Stato tedesco asseconda questa logica.
Parigi-Berlino: due visioni, una disfatta
La Francia parla di “Difesa europea”, la Germania di “Difesa dell’Europa”.
Semantica? No: ideologia. I francesi immaginano un’industria condivisa per emanciparsi dalla NATO.
I tedeschi consolidano una filiera industriale per dominare il mercato europeo, in sinergia con l’Alleanza atlantica
Dietro, due dottrine militari divergenti: per Berlino, il carro è la spina dorsale della deterrenza convenzionale.
Per Parigi, è un mezzo flessibile da impiegare nei teatri esterni. Anche qui: due visioni, una disfatta. Ogni tentativo di convergenza si infrange sulla realtà dei bilanci, dei calendari, dei mercati.
Senza intelletto, senza industria: il grande vuoto dello Stato strategico
La Francia manca di ciò che la Germania possiede in abbondanza: uno Stato che pensa, che analizza, che guida l’industria.
Il Progetto “Diamant”, che doveva strutturare l’Intelligence economica nel settore armamenti, è fallito prima di nascere.
I parlamentari non ascoltano. I Ministeri non leggono. Gli industriali francesi non fanno sistema.
Peggio: competono tra loro. E lo Stato, anziché mediare, si ritrae.
La difesa come tabù: ONG, ESG e paralisi democratica
In Francia, produrre armi è più stigmatizzato che vendere pornografia.
Gli standard ESG imposti dalle banche, le pressioni di ONG finanziate da fondazioni anglosassoni, la colpevolizzazione morale del settore… tutto converge verso una forma di autoimmunità nazionale.
L’industria della Difesa non è sostenuta. È sopportata. Quando serve.
La guerra in Ucraina ha riabilitato il carro armato? Forse.
Ma non ha cancellato 20 anni di auto-denigrazione. E finché le ONG influenzano le politiche pubbliche più dei think tank strategici, la Difesa resterà un’eccezione moralmente sospetta, non un pilastro dell’interesse nazionale.
La sovranità mutilata: dalla politica delle vetrine all’economia della sottomissione
Il vero dramma del MGCS non è solo il suo possibile fallimento.
È ciò che rivela: un Paese che ha paura di se stesso, che delega la propria potenza industriale per mancanza di coraggio politico.
Ogni cooperazione franco-tedesca in campo terrestre finisce per diventare tedesca. Non per astuzia berlinese, ma per inconsistenza parigina.
Senza politica industriale. Senza advocacy center.
Senza struttura d’intelligence. Senza export coordinato. La Francia si illude di poter sopravvivere col Rafale e col cannone Caesar. Ma è solo una sopravvivenza. La sovranità non si proclama. Si finanzia, si organizza, si difende.
Conclusione: dalla corazza al pensiero strategico
La lezione è brutale.
I tedeschi non ci “schiacciano” perché sono più forti.
Ci “passano sopra” perché noi ci tiriamo indietro.
Il carro MGCS sarà o tedesco o non sarà.
E la Francia, se non vuole vivere altri 40 anni di rinvii, dolori e autocolpe, dovrà scegliere: o tornare a pensare da potenza.
O rinunciare definitivamente alla corazza.
E alla sovranità che essa simboleggia.
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