G5 Sahel, i Paesi partecipanti chiedono alla Francia più soldi. Macron risponde: “Bastano 200 milioni di euro più altri 60 ogni anno”

Di Valeria Fraquelli

Parigi. Si susseguono le operazioni contro il terrorismo nella regione africana del Sahel, una delle più povere e delle più colpite dalla piaga degli attentati di matrice jihadista. La regione del Sahel si trova all’incrocio di una delle strade più battute dai combattenti islamisti che vogliono andare ad addestrarsi in Siria nei campi del sedicente Stato islamico oppure in Europa per compiere attacchi.

Il vertice G5 Sahel del luglio scorso

Agli inizi di luglio scorso, i Paesi del G5 Sahel (http://www.g5sahel.org)  cioè Niger, Ciad, Mali, Burkina Faso e Mauritania, hanno lanciato una loro operazione contro il terrorismo che prevede una forza di almeno 5 mila per presidiare i confini ed arrestare i potenziali terroristi, prima che possano colpire.

L’operazione, con l’aiuto del contingente francese già presente in Mali, andrà ad affiancarsi all’Operazione delle Nazioni Unite MINUSMA ed a quella francese Barkhane. Per i Paesi del Sahel è molto importante avere contingenti permanenti e multinazionali sempre pronti ad intervenire perché in questo modo si può garantire, in maniera più organizzata e capillare la sicurezza della popolazione fermando non solo i terroristi ma anche i criminali comuni ed i signori delle armi e della droga che trafficano in questa zona.

Visto il grave peggioramento della sicurezza in Mali, anche in Niger e Burkina Faso, toccati di recente da gravissimi attentati in cui sono stati coinvolti anche cittadini stranieri, l’avvio di una seria lotta al terrorismo era davvero urgente ed i Paesi del G5 Sahel hanno quindi deciso di unire le forze contro un nemico comune.

Soprattutto per il Mali, tra i cinque il Paese più colpito dalla violenza degli attentati islamisti, questa Operazione dovrebbe essere un vero toccasana perché ridurrebbe drasticamente il numero di attentati e permetterebbe al Paese di destinare più fondi per lo sviluppo e la lotta alla povertà.

Anche per i Paesi occidentali è importante che in Africa si possano presto istituire delle zone sicure perché in quelle presidiate si interrompa il traffico di foreign fighters e vengano create le condizioni di lavoro e sviluppo per i giovani africani direttamente nel loro Paese di origine. Questo fa diminuire drasticamente l’immigrazione illegale.

Secondo il giornale francese Le Monde, tuttavia, non è tutto oro quello che luccica perché il lavoro da fare per preparare i centri di comando ed addestrare i militari in modo adeguato alle minacce che si ritroveranno di fronte è ancora tantissimo.

L’ex ministro della Difesa francese Jean Yves Le Drian ha visitato l’edificio che dovrebbe ospitare uno dei Centri di coordinamento della missione, quello di Niamey, e invece di trovare stanze pronte e piene di tutto l’occorrente si è trovato in un cantiere aperto. Le Drian si è aggirato sconsolato tra muri ancora da verniciare e tubi sporgenti ed ha subito capito che i lavori sono davvero molto, forse troppo in ritardo.

Le infrastrutture fondamentali come i Centri di comando e coordinamento dovrebbero già essere pienamente operativi, invece sono ancora alle primissime fasi di realizzazione ed anche l’addestramento dei militari che dovranno partecipare alla missione è ancora ben lontano dalla perfezione. La Francia ha donato alcuni mezzi nuovi alla Forza multinazionale del G5 Sahel ma l’equipaggiamento utilizzato è per la maggior parte obsoleto e inadatto.

Anche i costi stanno crescendo a dismisura e il Presidente francese Emmanuel Macron sta cominciando a pensare che le richieste dei Governi dei cinque Paesi che fanno parte dell’organizzazione del Sahel siano troppo onerose e anche spropositate.

Nel corso dell’ultimo incontro con i leader dei Paesi coinvolti si è dimostrato abbastanza stizzito di fronte alle nuove richieste di denaro e, rimasto solo con i funzionari che lo accompagnavano, ha detto: “Un budget iniziale di 200 milioni di euro per poi continuare con 60 milioni ogni anno dovrebbe bastare. Non hanno certo bisogno di un sottomarino”.

Stando così le cose è evidente che ci vorranno ancora molto tempo e denaro prima che la missione antiterrorismo del G5 Sahel sia pienamente operativa e nel frattempo il livello di sicurezza nella regione potrebbe peggiorare ancora.

A fine novembre in un meeting ad Abidjan sarà discussa proprio la questione del budget e non bisognerà lasciarsi sfuggire questa occasione per fare finalmente chiarezza; entro questa data edifici e militari dovranno essere operativi se si vogliono raggiungere gli obiettivi prefissati.

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