TORINO (dal nostro inviato). Si apre, oggi, a Torino il G7 dedicato al clima, all’energia e all’ambiente nella Reggia di Venaria Reale di Torino.
Al vertice, oltre ai ministri di Italia, Francia, Germania, Canada, Stati Uniti, Giappone, Regno Unito e i rappresentanti della Commissione europea sono stati invitati la Presidenza Cop 28 (Emirati Arabi Uniti) e quella Cop29 dell’Azerbaigian, il Brasile quale presidenza di turno del G20, l’Arabia Saudita e, nel quadro del focus sull’Africa, la Mauritania quale presidenza di turno dell’Unione Africana, il Kenya, l’Algeria e la Banca Africana di Sviluppo.
I lavori prevedono anche la presenza di organizzazioni internazionali.
Per la sessione dedicata al clima e all’energia l’AIEA, l’IRENA, l’ODI e la Conferenza sui cambiamenti climatici. Per la parte ambiente è prevista la presenza di UNDP, OCSE e UNEP.
Al centro del dibattito a Venaria anche la questione del nucleare, a distanza di 37 anni dal referendum che fece chiudere le centrali nucleari del Garigliano (Sessa Aurunca in provincia di Caserta), di Trino Vercellese (Vercelli) e di Borgo Sabotino (Latina). La costruenda centrale di Montalto di Castro (Viterbo) fu bloccata di botto.
La consultazione si svolse l’8 e il 9 novembre 1987. Votarono 29,8 milioni di persone sui 45,8 milioni di aventi diritto al voto (65,1%). Il no fu dato da 20,9 milioni di persone (80,6%). Il costo di questo no è stimato in 45 miliardi di euro.
Report Difesa ha intervistato l’Ingegner Giacomo Grasso, responsabile del Laboratorio per la Progettazione e l’Analisi di sistemi nucleari dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) sul futuro del nucleare.
Ingegnere, il G7 di Torino ha all’ordine del giorno anche il tema del nucleare. Esiste una Geopolitica del nucleare e quali sono i Paesi più rappresentativi?
È possibile riassumere la Geopolitica del nucleare mediante la tassonomia dei Paesi che, a diverse fasi, sono coinvolti in un programma di produzione di energia elettrica da tale fonte.
In primo luogo, dunque, vi sono quei paesi dove tale programma è già in esecuzione.
Ad oggi, tali Paesi sono 31, che insieme sommano (alla fine del 2023) 412 reattori, per una capacità installata di 370 GW.
Tra i principali, svettano Stati Uniti (93 reattori), Francia (56), Cina (54), Russia (37), Giappone (33 [1]), Repubblica di Corea (25) e Canada (19).
In Europa, si contano anche Belgio, Bulgaria, Finlandia, Olanda, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera ed Ungheria.
I Paesi con più reattori installati sono anche tra i principali sviluppatori ed esportatori di nuove tecnologie e nuovi progetti, dunque i principali fornitori di impianti nucleari anche per gli altri Stati.
Al termine del 2023, sono infatti 58 i reattori in costruzione in 17 Paesi, per una capacità elettrica aggiuntiva di circa 60 GW.
Ai 31 Stati che operano già impianti nucleari, se ne aggiungono altri 43 che hanno espresso interesse ad includere la fonte nucleare nel proprio mix energetico: di questi, 16 sono in fase preliminare di pianificazione, mentre i rimanenti 27 stanno già approntandosi ad ospitare impianti nucleari nel prossimo futuro.
Dopo il referendum del 1987 l’Italia ha subito uno stop su questo tema. Oggi siamo ripartiti e con quale futuro?
Ad oggi, la ripartenza dell’Italia è in realtà ancora in fase di discussione.
In questi mesi, sotto il coordinamento del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, è in corso di elaborazione uno studio di fattibilità di tale scenario.
Lo studio, supervisionato da ENEA e RSE e condotto all’interno della Piattaforma Nucleare per il Nucleare Sostenibile (PNNS), che raccoglie tutti i principali stakeholder nazionali, ha la finalità di analizzare tutti gli aspetti necessari a ricostituire il quadro infrastrutturale richiesto ad abilitare la realizzazione di nuovi impianti sul territorio nazionale, e di definire una roadmap per l’attuazione di tutte le misure necessarie a preparare il Paese ad un eventuale rientro nel nucleare.
Grazie al prospetto fornito da questo studio di fattibilità, il Governo potrà prendere una decisione informata in merito al riavvio della produzione elettronucleare, avendo una chiara visione sui benefici di tale scelta, e le modalità più idonee per il Paese per attuarla.
Come da mandato ministeriale, la Piattaforma sta rivolgendo le proprie attenzioni ai sistemi cosiddetti avanzati: i reattori piccoli e modulari (small modular reactors), i reattori di IV generazione, e la fusione nucleare.
Uno degli elementi già emersi dagli studi preliminari della Piattaforma è che, nonostante lo stop sul programma nucleare del secolo scorso, avvenuto a seguito del referendum del 1987, non tutte le attività si sono fermate: l’industria, la ricerca e l’Università – pur in misura ridotta – non hanno mai smesso di operare nel settore, rispettivamente attraverso la fornitura di prodotti e servizi per il mercato estero, lo sviluppo di nuove tecnologie, e la formazione di studenti altamente qualificati.
Grazie a queste attività, ancora vive e, in alcuni casi, di eccellenza internazionale, il potenziale rilancio di un programma nucleare in Italia potrà beneficiare di tempistiche ridotte, e di una stretta connessione del tessuto produttivo nazionale.
Quali sono i programmi che l’ENEA ha messo in campo?
Come anticipato, ENEA non ha mai smesso di impiegare le proprie competenze e infrastrutture di eccellenza per lo studio e lo sviluppo delle tecnologie nucleari più avanzate.
Abbiamo mantenuto un attento osservatorio sulle nuove tecnologie, rendendosi anche artefice dello sviluppo di alcune di queste.
Grazie a questo presidio, ENEA ha già in essere attività che potranno facilitare il rilancio di un possibile programma nucleare in Italia: tanto in ambito fissione che fusione.
ENEA è infatti all’avanguardia, con progetti innovativi sui reattori a fissione di IV generazione refrigerati a piombo, di cui è leader internazionale della tecnologia, con le proprie infrastrutture nel Centro Ricerche del Brasimone, e le proprie competenze sul design e analisi presso il Centro Ricerche di Bologna.
Nella fusione a confinamento magnetico è fra i maggiori attori del panorama europeo, anche grazie al progetto DTT, in costruzione presso i propri laboratori di Frascati, che rappresenta un elemento chiave nella roadmap europea per l’energia da fusione nucleare.
E a questo proposito, nella conferenza stampa di presentazione del G7 di Torino, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha evidenziato come il nostro Paese sia pronto sia per la questione fusione che per quella della fissione. Possiamo spiegare ai nostri lettori le differenze?
Fusione e fissione sono due processi nucleari opposti: il primo indica il fenomeno di unione di due atomi leggeri a formarne uno più pesante, mentre il secondo la scissione di un atomo pesante in due frammenti più leggeri. In entrambi i casi, essendo coinvolto il nucleo atomico, da ogni evento si sprigiona una quantità di energia almeno 1 milione di volte superiore a quella rilasciata dal processo di combustione di una molecola di combustibile tradizionale – fossile.
Una delle differenze più sostanziali tra fusione e fissione, comunque, risiede nella nostra capacità di controllare tali processi, e di sfruttarli ai fini della produzione di energia in forma utilizzabile dall’uomo.
In questo senso, pur essendo molteplici i sistemi nucleari in cui è possibile realizzare un processo controllato di fusione a livello sperimentale, non esiste ancora un impianto sfruttabile a livello industriale.
L’iniziativa di più grande scala mai realizzata al mondo – il progetto ITER, attualmente in costruzione in Francia – non rappresenta ancora un impianto industriale: è invece inteso come impianto sperimentale, per dimostrare la capacità di controllare il processo di fusione su scale e tempi pre-industriali, insieme a molte delle principali tecnologie necessarie ad un futuro impianto di potenza.
Al contrario, impianti per la produzione industriale di energia elettrica dal processo di fissione furono realizzati già negli anni ’50 del secolo scorso, e sono ad oggi una realtà consolidata, ben nota, e con un estensivo ritorno di esperienza operativa che ne consente il continuo miglioramento.
Le nuove centrali nucleari di che tipo saranno?
In tutto il mondo, gli impianti in costruzione implementano reattori cosiddetti della III generazione avanzata: questi rappresentano una netta evoluzione rispetto alla quasi totalità di quelli in esercizio, detti di II generazione.
Il Governo, comunque, ha dato mandato alla Piattaforma Nazionale di rivolgere la propria attenzione ad impianti ancora più evoluti di questi, i cosiddetti SMR (small modular reactor) e i reattori di IV generazione.
Tali sistemi, oggi in fase di studio e prototipazione, sono caratterizzati da taglie più piccole, e soprattutto dall’uso di sistemi di sicurezza cosiddetti passivi, più affidabili in quanto basati su processi e fenomeni naturali, invece che su sofisticate architetture ingegneristiche.
Inoltre, alcuni dei reattori di IV generazione saranno capaci di operare chiudendo il ciclo del combustibile: potranno, cioè, riutilizzare il combustibile esausto (cioè non più idoneo se lo si lascia tal quale), evitando la generazione di grandi volumi di rifiuti che vengono invece riprocessati e utilizzati nei medesimi reattori, come nuovo combustibile.
Quali sono i tempi stimati per l’entrata in esercizio?
Mentre i primi sistemi di III generazione avanzata sono già entrati in funzione in alcuni Paesi, tutti i sistemi evolutivi (SMR e reattori di IV generazione) inizieranno ad essere disponibili a partire dai primi anni del prossimo decennio, dunque compatibilmente con le tempistiche necessarie per l’Italia ad approntare le infrastrutture ed i servizi necessari ad implementare un nuovo programma nucleare.
Saranno messe in rete con le centrali elettriche attuali?
L’impiego delle centrali elettronucleari è previsto a complemento degli impianti che utilizzano fonti rinnovabili già esistenti e di futura realizzazione, così da diversificare e decarbonizzare il mix energetico a favore della stabilità del sistema nazionale e della riduzione dei costi di generazione.
Tanto le centrali elettronucleari quanto gli ulteriori impianti a fonti rinnovabili andranno quindi a sostituire, progressivamente, le attuali centrali che bruciano combustibili fossili, così che il sistema elettrico nazionale possa evolvere verso un mix interamente fatto da fonti che non emettono gas serra, traguardando gli obiettivi di neutralità climatica al 2050.
La situazione internazionale potrebbe mettere a rischio eventuali approvvigionamenti per la messa in esercizio delle centrali nucleari?
A differenza degli impianti a fonti rinnovabili, la costruzione di un impianto nucleare non richiede il ricorso a risorse naturali rare: tutti i materiali richiesti sono ampiamente disponibili in un vasto numero di nazioni diverse, proteggendo il settore da tensioni internazionali contingenti che ne rendano difficile la realizzazione.
Lo stesso discorso vale anche relativamente al combustibile: i più ampi giacimenti di uranio sono sparsi nel globo, dall’Australia al Canada, e le principali industrie fornitrici del prodotto finito hanno filiali in America ed in Europa, garantendo la stabilità della fornitura.
NOTA
[1] Di cui attualmente solo 11 in esercizio.
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