Di Giuseppe Gagliano
GAZA. La tregua in atto tra Israele e Hamas, accompagnata dalla liberazione di alcuni ostaggi, è stata accolta con sollievo da una parte della popolazione israeliana e con soddisfazione dagli alleati di Hamas.

Un’immagine che gira sui social a ricordo della liberazione delle tre ragazza rapite da Hamas il 7 ottobre 2023 e liberate ieri
Tuttavia, al di là della narrativa ufficiale, questo cessate il fuoco non rappresenta una soluzione né sul piano militare né su quello politico. Anzi, è il riflesso di una guerra che Israele, a conti fatti, non ha vinto.

Miliziani di Hamas
Dall’inizio dell’operazione militare israeliana a Gaza, scattata nel 2023 dopo un violento attacco al suo territorio, l’obiettivo dichiarato era chiaro: eliminare la capacità militare di Hamas.
Gaza è stata devastata, migliaia di combattenti e civili sono morti, ma Hamas è ancora operativo, con una struttura di comando intatta e nuove reclute pronte a combattere.

Un’immagine degli attacchi di Gaza
La devastazione della Striscia ha persino rafforzato il consenso verso Hamas, radicando ulteriormente l’odio tra la popolazione palestinese. Non è un caso che molti analisti ritengano che, se si votasse oggi, Hamas otterrebbe una schiacciante vittoria persino in Cisgiordania.
La tregua in corso, pur accompagnata dalla liberazione di ostaggi e prigionieri palestinesi, non cambia i termini del conflitto.
Hamas mantiene il controllo su Gaza, nonostante la distruzione e le perdite subite. Sul piano simbolico, questo rappresenta una vittoria per l’organizzazione, che ha ottenuto il rilascio di prigionieri senza cedere posizioni strategiche.
Israele, invece, si trova a dover giustificare un conflitto durato oltre 15 mesi senza risultati tangibili.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu
Il capo del Governo Netanyahu sotto pressione
Per Benjamin Netanyahu, questa tregua rappresenta un’arma a doppio taglio.
Da un lato, può rivendicare il successo della liberazione degli ostaggi, rispondendo alle pressioni di una parte dell’opinione pubblica israeliana.
Dall’altro, deve fare i conti con l’insoddisfazione interna e le critiche dei partiti più oltranzisti della sua coalizione.
Per molti in Israele, il cessate il fuoco è l’ammissione di un fallimento: l’impossibilità di eliminare Hamas e garantire una sicurezza duratura per il Paese.
Il peso politico di questa guerra, che ha visto Israele ricevere ingenti aiuti militari dagli Stati Uniti senza conseguire una vittoria decisiva, rischia di riflettersi sul futuro di Netanyahu.
La sua leadership, già in crisi dopo le proteste per la riforma giudiziaria, potrebbe essere ulteriormente messa alla prova. Il premier sarà chiamato a rispondere non solo del mancato successo militare, ma anche delle conseguenze politiche e sociali di una guerra che non è riuscita a spezzare il controllo di Hamas sulla Striscia di Gaza.

Il premier israeliano, Netanyau ed il Presidente Trump
La variabile Trump
In questo contesto, l’ombra di Donald Trump si fa sentire.
Secondo alcune fonti, sarebbe stato proprio l’ex Presidente americano, tornato al centro della scena politica, a spingere Netanyahu ad accettare l’accordo.
Per Trump, questa tregua rappresenta un tassello di una strategia più ampia, mirata a ridefinire i rapporti di forza in Medio Oriente.
Il suo obiettivo, almeno secondo gli osservatori, non è solo fermare il conflitto a Gaza, ma aprire negoziati che coinvolgano anche l’Iran e i suoi alleati.
Tuttavia, le prospettive di una stabilizzazione duratura restano incerte.
La tregua potrebbe saltare al primo segnale di nuove ostilità, e gli equilibri interni a Israele e nella regione rimangono estremamente fragili. Hamas, dal canto suo, esce rafforzato sul piano politico e simbolico, mentre Israele si ritrova a gestire un conflitto che, pur con un momentaneo cessate il fuoco, è ben lontano dall’essere risolto.
Un futuro incerto
Questa tregua, per quanto necessaria sul piano umanitario, non rappresenta una vera soluzione al conflitto israelo-palestinese. Israele dovrà affrontare le conseguenze di una guerra che non è riuscita a vincere, mentre Hamas consolida il suo ruolo nella Striscia di Gaza e rafforza i legami con gli alleati regionali.
In questo quadro, il Medio Oriente resta un terreno instabile, dove ogni tregua rischia di essere solo una pausa temporanea in un conflitto che continua a riproporsi, ciclicamente, senza mai trovare una via d’uscita definitiva.
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