Geopolitica degli abissi: la nuova corsa al dominio sottomarino nell’Indo-Pacifico

Di Cristina Di Silvio*

WASHINGTON D.C. (nostro servizio particolare). Nel XXI secolo, il baricentro strategico globale si è spostato in modo deciso verso l’Indo-Pacifico, regione ormai riconosciuta come principale arena della competizione tra potenze.

L’area dell’Indo Pacifico

Meno visibile ma cruciale, una nuova dimensione di questa competizione si sta consolidando sotto la superficie marina: i fondali oceanici profondi.

In particolare, gli abissi dell’Indo-Pacifico rappresentano oggi un nodo strategico di primaria importanza, dove interessi economici, militari e tecnologici si sovrappongono e si contendono uno spazio ancora scarsamente regolamentato ma altamente sensibile.

Le zone contese dell’Indo-Pacifico – Mar Cinese Meridionale, Stretto di Luzon, Mar delle Filippine, dorsali oceaniche nei pressi delle Isole Marianne e nell’area della ZEE delle Isole Solomon – non sono soltanto teatri di disputa territoriale in superficie, ma anche obiettivi geopolitici per il controllo degli strati abissali, ricchi di noduli polimetallici, croste ferromanganesifere, terre rare e risorse genetiche marine.

L’area del Mar cinese meridionale

 

Queste risorse alimentano catene di approvvigionamento critiche per la transizione energetica, l’industria militare avanzata e le tecnologie dual-use.

La superiorità abissale diventa così un elemento chiave nella competizione tra Stati Uniti, Cina, Australia, India e Giappone, ciascuno impegnato in iniziative di mappatura, sorveglianza e sfruttamento di tali aree.

Parallelamente, i cavi sottomarini rappresentano l’ossatura digitale dell’intero sistema indo-pacifico.

Più del 95% del traffico dati transcontinentale passa attraverso queste dorsali sottomarine, comprese le comunicazioni militari e le reti critiche per il comando e controllo.

Episodi recenti – come il danneggiamento sospetto di cavi tra Taiwan e Matsu o le anomalie rilevate nei pressi della dorsale Yap – mettono in luce la vulnerabilità di queste infrastrutture in uno scenario di guerra ibrida e operazioni sottosoglia.

A oggi, non esiste un quadro giuridico adeguato alla protezione dei cavi: l’unico trattato vigente (1884) è anacronistico, e le misure di difesa dipendono da coalizioni regionali, missioni ISR e strumenti di deterrenza informale.

Le principali marine del mondo – U.S. Navy, PLAN, JMSDF e Royal Australian Navy – stanno già operando con crescente frequenza nella dimensione subacquea profonda.

Sistemi UUV a lunga permanenza, droni autonomi subacquei e piattaforme sensoristiche multiscopo sono utilizzati per monitoraggio, ricognizione e sorveglianza strategica.

In molti casi, queste tecnologie vengono schierate con giustificazione scientifica, ma rientrano pienamente nella logica del dual-use.

La mancata trasparenza, unita alla difficoltà tecnica di verifica, rende il dominio abissale uno spazio ideale per attività di spionaggio, sabotaggio infrastrutturale e manovre d’area denial.

Dal punto di vista della governance legale, l’UNCLOS (1982) e la sua Autorità per i Fondali Marini (ISA) si dimostrano sempre più inadeguati a gestire l’evoluzione strategica in corso.

L’attivazione nel 2021 del “trigger mechanism” da parte di Nauru ha messo l’ISA sotto pressione per autorizzare attività minerarie commerciali in acque internazionali, pur in assenza di standard ambientali condivisi.

L’approvazione nel 2023 del Trattato BBNJ – destinato alla protezione della biodiversità oltre le ZEE – introduce nuove complessità giuridiche, creando frammentazione normativa e rischi di paralisi diplomatica in caso di sovrapposizione tra obiettivi ambientali e interessi strategici.

Nel contesto indo-pacifico, la militarizzazione degli abissi è già una realtà: installazioni sonar passive, piattaforme di tracciamento acustico e nodi di comunicazione resilienti fanno parte di un’infrastruttura sottomarina sempre più sofisticata e distribuita.

Le capacità cinesi nella posa e monitoraggio di cavi, così come le missioni di “ricerca scientifica” condotte dalla nave Xiang Yang Hong 03 nel Mar Cinese Meridionale, sollevano interrogativi sulle reali finalità delle operazioni.

Anche Australia e Giappone stanno investendo in sistemi UUV per la protezione delle dorsali sottomarine e per operazioni ASW profonde, in stretta sinergia con il Quad e con il patto AUKUS.

Per le Forze Armate e le alleanze regionali, è urgente sviluppare una strategia subacquea integrata che includa: meccanismi di sorveglianza abissale mediante reti di sensori e piattaforme autonome, iniziative diplomatiche multilaterali per la protezione dei cavi, con classificazione come infrastrutture strategiche internazionali, moratorie selettive sul deep-sea mining fino alla definizione di standard condivisi, Cooperazione tecnica con i Paesi dell’ASEAN e del Pacifico per evitare un monopolio delle capacità abissali da parte delle grandi potenze, integrazione del dominio sottomarino nei piani operativi congiunti delle forze navali regionali.

Il controllo degli abissi indo-pacifici è destinato a divenire un elemento dirompente negli equilibri globali.

Il dominio sottomarino – oggi opaco e scarsamente regolato – sarà, nel prossimo decennio, una delle linee di frattura centrali del confronto strategico tra le grandi potenze. Per le forze armate, guardare in profondità non è più solo una metafora: è una necessità operativa.

*Esperta Relazioni internazionali, istituzioni e diritti umani (ONU)

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