Di Chiara Giannini
FIRENZE. Il Generale Mario Mori è stato indagato dalla Procura di Firenze per le stragi del 1993.
Sarebbe sotto inchiesta per gli attentati del capoluogo toscano, Milano e Roma. Non avrebbe segnalato all’Autorità giudiziaria, stando a quanto lui stesso afferma, quanto sapeva sugli imminenti attacchi.
“Nel giorno del mio 85° compleanno – spiega in una sua nota – ho ricevuto, dalla Procura della Repubblica di Firenze, un avviso di garanzia con invito a comparire per essere interrogato in qualità di indagato per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico”.
Il coinvolgimento degli studenti delle scuole, poi, mirerà a promuovere la conoscenza approfondita del fenomeno mafioso nel territorio.”.
Prosegue la nota: “Dopo una violenta persecuzione giudiziaria, portata avanti con la complicità di una certa informazione e durata 22 anni, che mi ha visto imputato in ben tre processi, nei quali sono stato sempre assolto, credevo di poter trascorrere in tranquillità quel poco che resta della mia vita. Ma devo constatare che, evidentemente, certi inquirenti continuano a proporre altri teoremi, non paghi di 5 pronunce assolutorie e nemmeno della recente sentenza della Suprema Corte che, nell’aprile scorso, ha sconfessato radicalmente le loro tesi definendole interpretazioni storiografiche”.
Il Generale chiarisce anche che “per questo motivo, quei giudici della Cassazione sono stati duramente criticati dal consesso dei lottatori antimafia nella totale indifferenza del CSM che, dinnanzi a questi violenti e volgari attacchi, tace a fronte di questo disegno che ha come unico obiettivo quello di farmi morire sotto processo”.
Si tratta, prosegue, “com’è agevole a tutti comprendere, di accuse surreali e risibili se tutto ciò non fosse finalizzato alla gogna morale che sarò costretto a subire ancora per chissà quanti anni”.
Basti pensare “alla circostanza che, a Palermo, mi hanno processato per 11 anni – scrive poi -, con l’accusa di aver ‘trattato’ con la mafia e siglato un accordo con Bernardo Provenzano per far cessare le stragi. La sentenza di condanna, in primo grado a 12 anni, poi spazzata via da quella di appello e di Cassazione, affermava che avrei ‘esortato’ e, quindi, sollecitato i vertici mafiosi a comunicare le condizioni per ritornare alla situazione di pacifica convivenza, che si era protratta sino alla conferma delle condanne all’esito del ‘maxi processo’, e, dunque, per non commettere più stragi”.
L’ex militare spiega che la sentenza di appello, nell’assolverlo, “ha riconosciuto” che la sua condotta “ebbe come finalità precipua ed anzi esclusiva quella di scongiurare il rischio di nuove stragi e che avevo ‘effettivamente come obbiettivo quello di porre un argine all’escalation in atto della violenza mafiosa che rendeva più che concreto e attuale il pericolo di nuove stragi e attentati, con il conseguente corredo di danni in termini di distruzioni, sovvertimento dell’ordine e della sicurezza pubblica e soprattutto vite umane’”.
Per i giudici di Palermo, ricorda il Generale “fui mosso esclusivamente da fini solidaristici (la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale) e di tutela di un interesse generale – e fondamentale – dello Stato’”.
Rincara poi la dose: “Oggi vengo indagato per non aver impedito le stragi, quindi con una virata di 360 gradi rispetto al precedente teorema. Peraltro, le vicende di cui mi si accusa sono già state ampiamente analizzate nel corso degli ultimi 25 anni dalle magistrature competenti -compresa quella fiorentina – e nei processi in cui sono stato coinvolto, senza che mi sia stato contestato alcunché, tantomeno i gravissimi reati ora ipotizzati dalla Procura di Firenze.
“Sono profondamente disgustato – spiega – da tali accuse che offendono, prima ancora della mia persona, i magistrati seri con cui ho proficuamente lavorato nel corso della mia carriera nel contrasto al terrorismo e alla mafia, su tutti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Forse non mi si perdona di non aver fatto la loro tragica fine”.
Per concludere: “Avendo constatato che il circo mediatico si è già messo in moto, precedendo con qualche giorno d’anticipo tale comunicazione giudiziaria, ed essendo fin troppo banale presagire che l’aggressione mediatica e giudiziaria proseguirà con ancor maggiore virulenza, mi sembra doveroso che sia io, e non altri, a informare le Istituzioni e l’opinione pubblica. Dopo di che affronterò e supererò anche questa ennesima angheria”.
Report Difesa lo ha contattato.
“Parlerò solo dopo che sarò stato convocato – ci ha detto -. L’atto istruttorio è stato fissato per il prossimo 23 maggio, ma verosimilmente verrà rinviato poiché il mio difensore ha comunicato alla Procura di Firenze di non poter essere presente per concomitanti impegni professionali a Palermo”.
Quella nei confronti del Generale Mori, uomo di Stato, che ha onorato l’Italia esperendo tra i fondatori del ROS dei Carabinieri, appare quasi come una persecuzione giudiziaria nei confronti di chi ha sempre combattuto per la legalità e la sicurezza del suo Paese.
Al telefono è sembrato, come nella sua natura, calmo. Con la serenità di un uomo di 85 anni che di processi ne ha visti fin troppi, ma sa che ne uscirà di nuovo a testa alta.
Una domanda, però, resta: non sarebbe meglio pensare a chi quelle stragi le procurò, anziché a chi ha combattuto per evitarle?
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