Guardia di Finanza: a Napoli operazione “Fuel Family”, la Procura europea (EPPO) dispone un nuovo sequestro di beni dopo la maxi-frode all’IVA da 260 milioni di euro

NAPOLI.  I finanzieri del Comando provinciale di Napoli – Nucleo polizia economico-finanziaria (PEF), stanno eseguendo dalle prime ore di oggi diversi sequestri preventivi disposti dalla Procura europea (EPPO – Uffici di Bologna e Napoli), in appendice alla precedente operazione denominata “Fuel Family” che aveva portato alla scoperta di una frode all’IVA calcolata in circa 260 milioni di euro, messa in atto da una rete criminale accusata di aver importato enormi quantità di carburante in sistematica evasione dell’imposta sul valore aggiunto.

Rete che i finanzieri erano riusciti a smantellare a marzo 2024, e nella quale risultano coinvolte ben 59 persone e 13 società.

I beni finiti oggi sotto i sigilli dell’Autorità giudiziaria sono di proprietà d’una società che gli inquirenti ritengono direttamente collegata al “dominus” della rete, un imprenditore campano condannato – in primo grado – ad otto anni di reclusione nonché ad una multa di 8.600 euro, con parallela confisca di beni fino a 73 milioni di euro a cui si aggiunge l’interdizione dall’attività imprenditoriale.

Gli investigatori del Nucleo PEF di Napoli durante le indagini

Secondo gli elementi indiziari raccolti dagli specialisti in forza ai Nuclei PEF di Napoli e Verbania, nonché dai loro colleghi della Compagnia di Casalnuovo, la società in questione era formalmente intestata alla moglie del condannato anche se, di fatto, ricadeva sotto il pieno controllo del consorte.

Nella prima fase dell’operazione erano già state disposte misure cautelari personali nei confronti di otto persone (tra cui i presunti capi del sodalizio), mentre soltanto un mese dopo erano stati individuati e sottoposti a sequestro beni per un valore di 20 milioni di euro, tra i quali un resort turistico e oltre 150 immobili.

Da notare come lo schema criminale in questione fosse stato condotto da una vera e propria associazione per delinquere, con diramazioni in Italia e all’estero.

Il carburante veniva, infatti, importato da fornitori di Croazia, Slovenia e altri Paesi, attraverso una catena composta da oltre 40 “missing traders” formalmente in Italia. Di questi ultimi si perdeva però ogni traccia prima che il Fisco italiano potesse far valere la sua pretesa impositiva.

In ragione di ciò gli stessi inquirenti ritengono che le manovre fraudolente oggetto delle indagini abbiano generato fatture per operazioni inesistenti stimate in oltre un miliardo di euro, con derivante danno per le casse dello Stato calcolato in circa 260 milioni di euro.

Sul medesimo gruppo criminale ricadono inoltre forti sospetti per il riciclo di più di 35 milioni di euro costituiti da guadagni illeciti, utilizzando allo scopo conti bancari di società aventi sede in Ungheria e Romania.

Soldi che sarebbero poi stati consegnati in contanti ai responsabili della frode attraverso continui prelievi bancari.

Come sempre avviene nel caso delle frodi fiscali messe a segno in questo settore, la mancata corresponsione dell’IVA ha permesso ai responsabili di rivendere alla pompa enormi quantità di carburante a prezzi estremamente vantaggiosi, il che ha finito per riflettersi negativamente sul mercato penalizzando gli altri operatori economici onesti.

 

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