Guardia di Finanza: a Palermo, smantellata la famiglia mafiosa che dettava legge su “Villaggio Santa Rosalia”. Eseguite 33 misure cautelari e sequestrate attività commerciali per 5 milioni di euro

PALERMO. Sono 33 le misure cautelari (delle quali 25 in carcere) eseguite oggi dai finanzieri del Comando Provinciale di Palermo, su disposizione del GIP (Giudice per le indagini preliminari) del locale Tribunale e dietro richiesta della Procura della Repubblica palermitana, che hanno riguardato soggetti indiziati – a vario titolo – nei reati di partecipazione e concorso esterno in associazione mafiosa con l’aggravante dell’associazione armata, trasferimento fraudolento di valori al fine di agevolare Cosa Nostra, nonché traffico di sostanze stupefacenti con l’utilizzo del metodo mafioso.

Autopattuglia della GDF di Palermo

Con il medesimo provvedimento la stessa Autorità Giudiziaria ha inoltre disposto il sequestro preventivo di sei attività commerciali operanti nei settori della ristorazione, del commercio al dettaglio di generi alimentari, del trasporto merci su strada e del movimento terra, per un valore complessivo che sfiora i 5.000.000 di euro.

Si tratta dunque di un’operazione di grande importanza nella lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso e che ha richiesto l’impiego di 220 finanzieri in forza ai Comandi provinciali di Palermo, Caltanissetta, Agrigento, Siracusa e Trapani, con contestuali numerose perquisizioni che i militari delle Fiamme Gialle stanno ancora effettuando presso appartamenti e locali nella disponibilità degli indagati.

Le indagini, condotte dagli specialisti del Nucleo Polizia Economico Finanziaria – Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata e che hanno visto il prezioso ausilio fornito dagli agenti della Polizia Penitenziaria, hanno svelato l’esistenza di reti e dinamiche criminali legate ad una penetrante azione di controllo economico del territorio, che i malavitosi in questione esercitavano nel quartiere palermitano di “Villaggio Santa Rosalia”.

Al vertice della stessa si collocherebbe infatti uno degli uomini d’onore più influenti nell’ambito di Cosa Nostra a Palermo, il quale – nonostante lo stato detentivo cui è tutt’ora sottoposto – sarebbe tuttavia riuscito a conservare la sua leadership mantenendo i rapporti con i suoi sodali storici, oltre che con altri diversi soggetti ritenuti contigui alla locale consorteria mafiosa.

Secondo gli inquirenti, un particolare ruolo in tutto ciò lo avrebbe assunto il figlio del “capofamiglia” (anch’esso ritenuto tra le nuove leve emergenti di Cosa Nostra) il quale, trovandosi nella condizione di reggente al posto del padre, ha portato avanti gli interessi criminali della famiglia anche grazie al supporto di un altro giovane affiliato in veste di braccio operativo, nonché avente funzioni di raccordo con i vertici della consorteria di appartenenza.

In tal modo sarebbero così riusciti a contenere le mire espansionistiche di altri esponenti mafiosi, nonché ad esercitare il loro controllo sulle postazioni per la vendita ambulante del pane, sul quale imponevano addirittura il prezzo di vendita, ad assumere il monopolio nella fornitura dei fiori rivenduti dagli ambulanti presenti in prossimità dei cimiteri di “Sant’Orsola” e “Santa Maria dei Rotoli”, questo in favore d’imprese ragusane ed anche queste emanazioni d’esponenti mafiosi legati al clan Carbonaro-Dominante di Vittoria (Ragusa).

Sempre da loro passavano inoltre le “autorizzazioni” per l’apertura di negozi come anche il cambio della loro gestione, nonché l’imposizione di ditte e di tecnici per la realizzazione di lavori nei locali commerciali.

Non mancavano poi pressanti ingerenze in affari immobiliari a favore di soggetti inseriti o comunque vicini ai loro intrecci mafiosi.

Senz’altro degne di nota erano poi le posizioni dominanti assunte da aziende operanti nel settore edile e del movimento terra, anche queste ovviamente funzionali agli interessi della “famiglia”.

Gli elementi d’indagine sin acquisiti mostrerebbero inoltre come gli esponenti di vertice del citato clan di mafia fossero altresì chiamati a dirimere controversie tra privati, ed il loro conseguente “giudizio” era dunque accettato senza altre eccezioni dalle parti interessate.

Un controllo a tutto tondo della situazione dunque, che ovviamente passava anche dalla gestione di riserve di denaro contante nella disponibilità di alcuni indagati, in questo caso utilizzate per assicurare sostegno economico agli altri sodali come per prestiti, concessi anche senza interessi, in favore di soggetti in difficoltà; in una profonda azione realizzata in profondità ed in estensione all’interno del tessuto economico di riferimento che non risparmiava le classiche forme estorsive di “contribuzione”, le quali dovevano essere corrisposte dagli imprenditori del quartiere alla famiglia per il sostentamento dei “picciotti” detenuti nonché dei loro familiari.

Immancabili infine i traffici di droga, che le stesse figure apicali del clan hanno organizzato direttamente dalla Calabria per rifornire le piazze di spaccio palermitane e del trapanese, altro business “classico” di queste organizzazioni criminali e qui comprovato da un sequestro di circa 7 chili di “polvere bianca” oltre che dall’arresto in flagranza di un corriere.

Come spesso avviene nel colpire le manovalanze mafiose, è da sottolineare anche la posizione di 20 soggetti interessati da misura cautelare risultati diretti o indiretti percettori di Reddito di Cittadinanza, beneficio al quale non avevano titolo e che ora gli verrà immediatamente sospeso.

Resta ad ogni modo inteso che i provvedimenti giudiziari in parola siano stati adottati sulla scorta delle prove acquisite in fase di indagine preliminare, pertanto – in attesa di giudizio definitivo – per tutti gli indagati sussiste, allo stato, la presunzione di innocenza costituzionalmente garantita.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Autore