Guardia di Finanza: a Rimini scoperta frode da 440 milioni di euro realizzata con falsi crediti d’imposta. Eseguite 35 misure cautelari

Di Marco Lainati

Rimini. Sono oltre 200 i militari delle Fiamme Gialle (appartenenti a 44 Reparti territorialmente competenti supportati dal Servizio Aereo della GDF) che, dall’alba, sono stati impegnati in una vasta operazione che  ha interessato alcune zone dell’Emilia Romagna e, contemporaneamente, altre località site in Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino e Veneto.

Le indagini della GDF di Rimini

L’operazione, convenzionalmente denominata “Free Credit” e coordinata dalla Procura della Repubblica di Rimini, è sfociata oggi nell’esecuzione di ben 35 misure cautelari personali (di cui 8 in carcere e 4 ai domiciliari), nonché di 23 misure interdittive (di cui 20 all’esercizio di impresa nei confronti di altrettanti imprenditori e 3 all’esercizio della professione nei confronti di altrettanti commercialisti).

Tutti sono ritenuti membri – a vario titolo – di un ben strutturato sodalizio criminale con base operativa nella città romagnola ma con appendici in tutto il territorio nazionale.

Secondo gli inquirenti, i responsabili avrebbero infatti messo in piedi una colossale truffa da 440 milioni di euro attraverso la creazione e la commercializzazione di falsi crediti di imposta, tra i quali quelli introdotti tra le misure di sostegno emanate dal Governo con il cosiddetto “Decreto Rilancio” (D.L. 34/2020), che fu emanato durante la fase più acuta dell’emergenza sanitaria da Covid-19 per aiutare finanziariamente le imprese produttive e commerciali in difficoltà.

La difficile indagine, avviata dai finanzieri del Comando Provinciale di Rimini ma che ha visto anche il supporto tecnico del Servizio Centrale Investigazioni Criminalità Organizzata (SCICO) e del Nucleo Speciale Frodi Tecnologiche GDF, trae la sua  origine da alcuni accertamenti che i finanzieri riminesi hanno compiuto sulla documentazione relativa ad una presunta cessione di crediti d’imposta, realizzata questa da una società già coinvolta in precedenti reati fallimentari.

L’anomalia in questione ha dunque fatto sì che gli investigatori – tramite le banche-dati in uso al Corpo – iniziassero ad incrociare il campo delle indagini con la valorizzazione delle segnalazioni per operazioni finanziarie sospette, il che gli ha consentito di appurare come i crediti in questione fossero inesistenti per carenza di requisiti.

La prima risultanza probatoria emersa ha dunque generato un nuovo filone investigativo che, a partire dallo scorso mese di giugno, ha accentrato le sue attenzioni nei confronti dell’organizzazione criminale in questione rivelandone tutti i passaggi fraudolenti evidentemente finalizzati creazione di falsi crediti di imposta, che per di più venivano successivamente “monetizzati” cedendoli a ignari acquirenti estranei alla truffa; crediti che venivano dunque portati in compensazione con conseguente quanto grave danno per le casse dello Stato.

Secondo le tesi investigative, corroborate dagli accertamenti bancari nonché dai dati pervenuti dall’Agenzia delle Entrate oltre che dalla Sogei S.p.A., il sodalizio criminale in questione ha perpetrato la sua articolata azione truffaldina su tre diverse casistiche di crediti d’imposta normativamente previsti in condizioni emergenziali e non (“bonus locazioni”, “sisma bonus” e “bonus facciate”), avvalendosi al riguardo di professionisti compiacenti nonché reperendo società in grave difficoltà economica ma comunque utili alla creazione degli indebiti crediti con l’Erario.

Proprio con queste società bastava infatti sostituire il rappresentante di diritto con un semplice  “prestanome”, in modo tale da ottenerne le credenziali da poter poi inserire nell’apposita area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate.

Lo stratagemma, oltre a far ottenere ai responsabili uno schermo in caso di futuri accertamenti, gli consentiva d’inserire regolarmente comunicazioni nelle quali dichiaravano di aver pagato canoni di locazione nettamente superiori a quelli effettivamente corrisposti (persino oltre il 260 mila %), oppure di aver effettuato lavori edili mai avvenuti in modo tale da generare crediti di imposta ovviamente non spettanti.

Gli stessi crediti venivano poi ceduti a società compiacenti e, dopo un secondo passaggio, a società terze all’oscuro della truffa così da renderne ancor più difficile la ricostruzione.

Neppure le recenti modifiche normative introdotte dal cosiddetto “Decreto Antifrode” n. 157/2021 hanno scoraggiato i membri dell’organizzazione nel reiterare nei loro disegni criminali, mentre i loro ingenti profitti venivano investiti in attività commerciali ed immobiliari con subentro nella gestione di ristoranti, acquisto di immobili e/o quote di partecipazioni societarie, oppure veicolati attraverso fatturazioni di comodo verso alcune società partenopee per essere poi trasformati in contanti, trasferiti su carte di credito ricaricabili con plafond fino a 50 mila euro e prelevati “cash” dai bancomat, ed anche impiegati per finanziarie società con sedi a Cipro, Malta, Madeira (Portogallo).

Non sono poi mancate altre forme d’investimento decisamente più “innovative” come la conversione in criptovalute, ma anche quelle più “tradizionali” legate all’acquisto di lingotti d’oro.

Per questo, nelle 80 perquisizioni eseguite contestualmente agli arresti ed alle altre misure interdittive, sono state impiegate anche delle unità cinofile “cash dog” addestrate proprio nel fiutare banconote, ciò nel fondato sospetto che i soggetti indagati potessero far ricorso a botole e intercapedini in cui celare contanti e metalli preziosi.

Un cash dog in operazione

Da rilevare altresì, nel contesto generale della vicenda, come tra gli stessi responsabili figurino nove soggetti che avevano presentato domanda di reddito di cittadinanza, mentre altri tre avevano precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso.

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