Guardia di Finanza : a Roma scoperto un “centro di raccolta” di denaro da trasferire all’estero e proveniente dal narcotraffico. Eseguite 33 ordinanze di custodia cautelare

Di Gianluca Filippi

ROMA. Sono 33 le ordinanze di custodia cautelare (di cui 22 in carcere e 11 agli arresti domiciliari) che i finanzieri del Comando provinciale di Roma stanno eseguendo nelle province di Roma, L’Aquila, Reggio Calabria, Napoli, Perugia, Ancona e Campobasso, provvedimenti che raggiungono altrettanti soggetti per i quali l’Autorità Giudiziaria inquirente ipotizza i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e al riciclaggio, oltre che quelli di estorsione, autoriciclaggio e detenzione abusiva di armi.

Le indagini della GDF

I citati arresti, emessi dal GIP del Tribunale capitolino, giungono al termine di serrate indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Roma e che hanno visto operare in prima linea gli specialisti Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (GICO) in forza all’interno del Nucleo Polizia Economico Finanziaria (PEF) di Roma, affiancati per l’occasione dai colleghi del Gruppo di Fiumicino nonché coadiuvati dal Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (SCICO) della Guardia di finanza e dalla Direzione Centrale Servizi Antidroga (DCSA).

Stando a quando dimostrato dal pool investigativo che ha indagato nella circostanza, diversi soggetti di nazionalità cinese presenti a Roma avrebbero sistematicamente condotto attività di riciclaggio di profitti illeciti, conseguiti questi da più gruppi criminali dediti al traffico (anche internazionale) di sostanze stupefacenti.

Secondo quanto fatto emergere dagli stessi investigatori, le azioni di “ripulitura” del denaro avvenivano presso sedi di attività commerciali dedite all’import-export di abbigliamento e accessori di moda, tutte gestite da due comunità familiari cinesi attive nel quartiere romano dell’Esquilino.

Tecnici della GDF durante un’intercettazione telefonica

Tali esercizi – la cui esistenza era solo “formale” – nella realtà fungevano da veri e propri “centri di raccolta” di denaro proveniente da attività illecite, e che perciò doveva essere trasferito all’estero (prevalentemente in Cina) in maniera anonima oltre che non-tracciabile.

Un’intermediazione finanziaria occulta dunque, oltre che assolutamente illecita, la cui efficacia stava nella puntualità, discrezionalità e affidabilità garantite dai soggetti cinesi coinvolti.

Un metodo peraltro consolidato conosciuto come “Fei Ch’ien” (letteralmente “denaro volante”) che consiste nel virtuale trasferimento di denaro all’estero.

Sul piano pratico, infatti, il denaro affidato al broker cinese non lasciava fisicamente il Paese di partenza, poiché ad essere trasferito era soltanto il suo “valore nominale” in favore della controparte/broker presente nel Paese estero.

La successiva compensazione poteva dunque avvenire in diversi modi, come il ricorso ai corrieri di valuta, attraverso bonifici diretti (ma con importi frazionati per eludere la normativa anti-riciclaggio), nonché ricorrendo a trasferimenti di denaro giustificati da fittizie operazioni commerciali.

Secondo gli inquirenti al centro della della vicenda figura un 54enne cittadino cinese, a cui rispondono numerosi individui ognuno dei quali avente un ruolo nel citato traffico, il quale avrebbe offerto i propri “servizi” ad un’ampia e diversificata “clientela” nella quale rientrerebbero anche trafficanti di droga nonché emissari vicini ai clan di ‘ndrangheta.

Al termine delle descritte attività di investigazione sono stati sequestrati circa 10 milioni di euro (di cui otto presso l’aeroporto “Leonardo da Vinci” di Fiumicino) nei confronti di “money mule” incaricati di trasferire fisicamente il denaro fuori dal territorio unionale, nonché accertati conferimenti di denaro sporco (per oltre 4 milioni di euro) in favore della compagine cinese di riciclatori di stanza a Roma.

Le movimentazioni finanziarie complessivamente tracciate dagli investigatori superano i 50 milioni di euro, e si tratta di denaro diretto dal territorio nazionale verso la Repubblica Popolare Cinese.

Senz’altro di rilievo è inoltre il ruolo rivestito dai conferitori del denaro contante da riciclare, che per gli stessi inquirenti è da ascrivere a due distinte associazioni criminali dedite al narcotraffico, la prima delle quali si serviva di chat criptate per sfuggire alle sempre possibili intercettazioni di polizia ma i cui colloqui sono stati comunque svelati anche grazie alla collaborazione esistente tra la Direzione Distrettuale Antimafia di Roma ed Eurojust.

In altre parole gruppi criminali molto ben organizzati che, oltre a metodologie di comunicazione all’avanguardia, si avvalevano altresì autovetture equipaggiate di appositi vani segreti per occultare droga, armi e denaro, nonché di siti vigilati e difficilmente penetrabili nei quali avveniva il deposito e la lavorazione dello stupefacente prima della sua immissione sulle piazze di spaccio, per quantità di tutto rilievo come hanno dimostrato i paralleli sequestri portati a termine.

Va in ogni caso precisato come le predette misure cautelari siano state emesse nell’ambito delle indagini preliminari, pertanto – allo stato degli attuali riscontri probatori e in attesa di giudizio definitivo – a tutti gli indagati va ancora riconosciuta la presunzione di non colpevolezza.

Grande soddisfazione per l’operazione condotta dalla Guardia di Finanza, sotto il coordinamento della DDA capitolina, in varie province italiane è stata espressa dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi.

“Grazie all’azione capillare sul territorio – ha detto il ministro – agli incessanti controlli e alle meticolose indagini sono stati individuati i centri di raccolta che raccoglievano e trasferivano all’estero il denaro di provenienza illecita. La cooperazione tra le Forze di Polizia si rivela efficace anche di fronte ai più sofisticati metodi di riciclaggio e di intermediazione finanziaria illegale”.

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