Di Dario Gravina
Salerno. Sono ancora quelli della camorra, e stavolta anche della sacra corona unita, gli interessi criminali scoperti dalla Guardia di Finanza di Salerno e Taranto e dai Carabinieri di Salerno nell’ambito di una nuova maxi-operazione antimafia che, dalle prime ore di questa mattina, sta vedendo l’esecuzione di 45 misure cautelari personali (delle quali 26 in carcere, 11 ai domiciliari, 6 divieti di dimora e 2 misure interdittive), emesse dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Potenza e Lecce nei confronti di altrettanti soggetti indagati per associazione a delinquere con l’aggravante del metodo mafioso.
Ad essere stavolta implicati nella vicenda sono soggetti contigui al famigerato clan casertano dei “Casalesi” e quello tarantino dei “Cicala”, due pericolose consorterie della criminalità organizzata e che, in questa circostanza, avevano messo le mani sul ricco settore del commercio dei prodotti petroliferi, condotto però secondo molteplici modalità illecite come quella dell’evasione delle accise, della truffa aggravata ai danni dello Stato, dell’intestazione fittizia di beni e società, del riciclaggio e dell’autoriciclaggio nonché dei reati contro il patrimonio, cagionando in tal modo un danno economico per lo Stato stimabile in diverse decine di milioni di euro.
I territori nei quali i due clan hanno operato sono quello del Vallo di Diano in provincia di Salerno e del Tarantino, ed il modus operandi escogitato dai responsabili prevedeva la vendita di rilevanti quantità di carburante per uso agricolo che, come noto, sconta un’accisa inferiore rispetto a quella prevista per l’autotrazione di veicoli ad uso privato.
Più nel dettaglio, la frode prevedeva la fornitura di un elenco di nominativi le cui identità fiscali ed i libretti UMA (acronimo di Utenti Motori Agricoli), venivano clonati consentendo alle imprese coinvolte nel traffico di fatturare falsamente la vendita di gasolio agricolo ad ignari operatori del settore mentre, nella realtà, il carburante in questione veniva ceduto “in nero” ad altri imprenditori che poi lo immettevano nei normali circuiti di vendita rappresentati dalle c.d. “pompe bianche”, conseguendo in tal modo guadagni di circa il 50% in più per ogni litro venduto.

Controlli stradali
Anche il sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate veniva ingannato da tali vendite, in quanto lo stesso non era in grado di consegnare la fattura elettronica all’agricoltore utilizzato per la finta transazione, il quale così rimaneva completamente all’oscuro di tutto.
Efficacissimo era anche il sistema adottato dai criminali per il trasporto del carburante di contrabbando il quale, dopo aver lasciato i depositi fiscali scortato da una documentazione che lo attestava falsamente come “gasolio agricolo”, poteva comunque esser in qualsiasi momento controllato dalla Guardia di Finanza e dalle altre Forze di Polizia durante il tragitto verso la destinazione finale.
In questi casi il conducente dell’autobotte – tramite un congegno elettromagnetico ben occultato – poteva immediatamente azionare una pompa che immetteva colorante nel carico facendogli assumere la tipica tonalità verdognola che distingue il gasolio impiegato in agricoltura dagli altri, il che (unitamente alla falsa documentazione di accompagnamento) gli consentiva così di superare indenni le ispezioni.
In assenza di controlli, l’autobotte giungeva nei depositi commerciali riconducibili agli indagati dove simulava lo scarico del prodotto petrolifero con l’accortezza che questo avvenisse in favore di telecamere. Stesso accorgimento anche per il carico di gasolio per autotrazione (che anche in questo caso non avveniva), con ripartenza del mezzo per una nuova consegna scortata da documenti fiscali recanti la numerazione clonata del “Registro di carico e scarico” (che per in base alla normativa del settore attesta il trasporto del gasolio) e che – in caso di controllo – sarebbero stati tranquillamente registrati a posteriori.
Qualora durante il trasporto del gasolio di contrabbando non fosse invece intervenuto alcun controllo, il relativo documento di accompagnamento del carburante poteva essere strappato mentre l’operazione non veniva registrata, consentendo così la vendita fraudolenta del gasolio agricolo che, invece, finiva nei serbatoi di autovetture diesel private ad un prezzo doppio rispetto a quello previsto per le macchine di produzione agricola.
Tale “sistema” ha così permesso alle organizzazioni mafiose in questione di realizzare profitti quantificati in almeno 30 milioni di euro l’anno, un qualcosa che gli stessi inquirenti hanno definito di proporzioni gigantesche ed a cui mai si era arrivati in passato.
Oltre ad accertare le metodologie di cui sopra, l’attenzione degli investigatori delle fiamme gialle e dell’Arma si è concentrata anche nell’individuazione degli operatori commerciali che, nella medesima vicenda, si sono prestati come veri e propri terminali per il re-impiego di capitali illeciti provenienti dalle famiglie mafiose.
Proprio in tale ambito d’indagine sono così emerse palesi incongruità legale ad esponenziali incrementi di fatturato generati nel giro di pochi anni e coincidenti con gli investimenti occulti realizzati da parte di soggetti gravitanti nell’alveo affaristico gestito dai “Casalesi”, personaggi che, dopo essersi arricchiti con il traffico dei rifiuti tossici in Campania, si erano così infiltrati anche nel tessuto economico legale del Vallo di Diano.
I rilevantissimi capitali illeciti generati dal “patto scellerato” intercorso tra alcuni esponenti dell’imprenditoria della zona e le famiglie di camorra, ha consentito a quest’ultime di acquisire numerosi beni immobili e quote societarie, oltreché di affermarsi quali “player” di riferimento nel settore del commercio degli idrocarburi in Lucania alterando in maniera grave le dinamiche di libero mercato.
All’esito dell’operazione, che attualmente vede il coinvolgimento di oltre 100 indagati e che ha richiesto l’impiego di circa 410 militari della Guardia di Finanza e dei Carabinieri i quali, oltre alla provincia di Salerno, hanno operato anche in quelle di Napoli, Caserta, Avellino, Cosenza e Taranto, è stato altresì disposto il sequestro preventivo di 4 società petrolifere ed altri 8 complessi aziendali, unitamente a denaro contante, automobili, automezzi pesanti ed altri beni nelle disponibilità degli indagati per un valore stimato di circa 50.000.000 di euro.
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