Guardia di Finanza e Carabinieri: operazione “Ragnatela” a Bologna. Sgominato sodalizio criminale dedito alla commissione di reati finanziari e comuni aggravati dal metodo mafioso. Sequestrati beni per 2 milioni di euro

Di Aldo Noceti

Bologna. Associazione per delinquere, estorsione aggravata dal metodo mafioso, bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale e per operazioni dolose, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, emissione di fatture per operazioni inesistenti nonché spendita e introduzione nello Stato di monete falsificate; è questo l’allarmante quadro scoperto dai finanzieri e dai carabinieri dei Comandi Provinciali di Bologna durante l’operazione denominata “Ragnatela”, che si è conclusa oggi con l’esecuzione di due custodie cautelari in carcere oltre che con un sequestro preventivo di beni – diretto e “per equivalente” – ammontante a 2 milioni di euro.

Le indagini congiunte GDF e Carabinieri

La nuova e brillante operazione anticrimine è stata svolta congiuntamente tra i militari dell’Arma e quelli delle Fiamme Gialle, direttamente coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) del capoluogo emiliano.

L’operazione era stata avviata grazie allo spirito di osservazione dei carabinieri in servizio presso una piccola Stazione di provincia, i quali avevano notato sul territorio affidato alla loro vigilanza due soggetti di origine calabrese dagli atteggiamenti circospetti e la cui presenza in quella località non aveva apparenti spiegazioni.

Approfondendo la circostanza, si è così scoperto che i due facevano parte di una consorteria criminale che, già a fine 2015, era subentrata nella gestione di una società titolare di una casa di riposo, sita ad Alto Reno Terme (Bologna).

La struttura di ricovero, versante in grave stato di dissesto economico, era divenuta assai appetibile per qualcuno che aveva in animo di distrarne gli asset societari in cui erano ricompresi, oltre all’azienda stessa, l’immobile in cui aveva sede la casa di riposo e che ha un valore di 7,5 milioni di euro.

Nel disegno criminoso progettato dai principali indagati – realizzato anche grazie alla collaborazione di diverse “teste di legno” – c’era infatti la stipula di un finto contratto d’affitto tra la società appena rilevata ed una cooperativa appositamente costituita dagli stessi responsabili, con il chiaro scopo di rendere i suddetti beni di sconveniente acquisizione.

Nel frattempo la vecchia società (gravata da debiti per 4,4 milioni di euro dovuti principalmente all’Erario e ad Enti previdenziali e assistenziali), è stata condotta al fallimento nonché svuotata di ogni liquidità ancora giacente sui suoi conti correnti.

In tale quadro di situazione, come dimostrato dagli investigatori della GDF e dei CC, sono altresì emerse gravi azioni estorsive (attuate con metodi tipicamente mafiosi) commesse ai danni dei dipendenti della struttura, i quali sono stati costretti a dimettersi dopo reiterate minacce, intimidazioni e prevaricazioni di vario genere per poi essere riassunti nella nuova cooperativa, mentre per coloro i quali si fossero rifiutati di aderire al progetto dei nuovi datori di lavoro scattava pressoché immediato il licenziamento.

Secondo gli inquirenti, i meccanismi messi in moto dai sodali erano ormai collaudati e prevedevano assunzioni fittizie di personale, fatture per operazioni inesistenti generate per prestazioni mai effettuate, nonché utilizzo per fini personali di conti e carte di credito della società.

Complessivamente sono 23 le persone denunciate al termine delle indagini tra le quali figurano professionisti accusati di aver coadiuvato gli arrestati nel loro intento criminale, mentre l’Autorità Giudiziaria inquirente ha disposto diverse perquisizioni in Emilia Romagna, Lombardia, Campania e Calabria.

Tra i beni finiti sotto i sigilli del Tribunale felsineo è presente anche denaro contante per 120.000 euro, una società immobiliare, una rivendita di generi di monopolio, due autovetture e 9 orologi di particolare pregio.

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