Di Alessandro Margottini
VERONA. Riduzione in schiavitù, a tanto erano stati costretti per poter lavorare 33 cittadini indiani sottomessi da due loro connazionali ai quali i finanzieri del Comando provinciale di Verona – Compagnia di Legnago, hanno peraltro sequestrato beni per circa 475 mila .euro.

Le indagini sui due, coordinate dalla Procura della Repubblica scaligera, hanno fatto emergere una realtà fatta di promesse per un futuro migliore in Italia, che gli sarebbe stato in qualche modo “garantito” dietro il pagamento di un corrispettivo di 17.000 euro, somma con la quale ottenere l’ingresso in territorio nazionale oltre ad un impiego stagionale nel settore dall’agricoltura.
Non pochi soldi dunque, che questi immigrati si trovavano pressoché costretti a reperire impegnando beni di famiglia oppure andandosi direttamente a indebitare con i citati “caporali”.
Una volta arrivati in Italia, infatti, quanto loro promesso andava inesorabilmente a cozzare contro turni di lavoro giornalieri da 10 – 12 ore nonché di 7 giorni su 7, mentre la spettante retribuzione (di appena 4 euro l’ora) veniva trattenuta dagli stessi approfittatori fino ad estinzione del debito, ma non è tutto, in alcuni casi gli stessi “caporali” hanno promesso il rilascio di un permesso di lavoro definitivo in cambio di ulteriori 13 mila euro; permesso ma che però non sarebbe mai stato concesso.
Perfettamente consci dei loro metodi illeciti, i due indiani si premunivano inoltre di sottrarre ai lavoratori i loro passaporti, con il divieto assoluto di uscire dai fatiscenti alloggi in cui erano costretti a restare nelle poche ore di riposo concessegli, per di più sotto minaccia (peraltro più volte attuata) di ritorsioni fisiche in caso di ribellione.
Per arrivare a scoprire questa inquietante quanto inaccettabile situazione, gli uomini della GDF veronese hanno dovuto compiere numerosi appostamenti, documentando in tal modo agli inquirenti come i malcapitati, già alle prime luci dell’alba, venissero fatti salire su camion telonati nonché ammassati e nascosti tra le cassette di ortaggi presenti a bordo, e con tale “sistema” di trasporto condotti tra campagne e serre della bassa veronese.
Le contestuali attività di perquisizione portate a termine dalle Fiamme Gialle, hanno in particolare interessato tre alloggi di proprietà dei suddetti “caporali” e che gli stessi utilizzavano per farci dimorare i braccianti; stabili che peraltro si presentavano fortemente degradati oltre che in totale violazione delle norme igienico-sanitarie.
I 33 cittadini indiani individuati dai finanzieri – tutti privati del proprio documento di identità – dopo essere stati identificati hanno dunque deciso di denunciare le situazioni di sfruttamento, maltrattamento e segregazione alle quali erano stati ridotti.
Al fine di tutelare gli stessi braccianti da possibili ritorsioni, si è poi provveduto a coinvolgere l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ed i servizi sociali della Regione Veneto, i quali hanno prontamente fornito la loro assistenza finalizzata alla ricollocazione dei lavoratori in questione in ambienti protetti, anche per un futuro avviamento in percorsi lavorativi oltreché d’inclusione sociale.
Sono state inoltre avviate – in accordo con l’Autorità Giudiziaria – le pertinenti procedure previste Decreto legislativo 286/1998 (Testo unico sull’immigrazione) finalizzate al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, mentre i passaporti precedentemente sottratti dai due “caporali” sono stati restituiti ai legittimi titolari.
I circa 475 mila euro oggetto del sequestro di cui sopra (disposto con decreto d’urgenza) sono relativi alle disponibilità dei due indagati, entrambi titolari di ditte individuali operanti nel settore dell’agricoltura ma senza dipendenti formalmente assunti, che sono peraltro risultati essere “evasori totali”.
Le indagini della GDF scaligera stanno comunque proseguendo in diverse direzioni al fine di scoprire aziende della zona che abbiano sfruttato a bassissimo costo la manodopera fornita dai “caporali” in questione, circostanze che potrebbero altresì condurre ad eventuali responsabilità in materia di lavoro.
Resta in ogni caso inteso che la responsabilità penale dei due (al momento indagati per il reato di “riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù” nonché per quello di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”) non potrà essere dichiarata fino ad eventuale pronunciamento di sentenza definitiva di condanna, sussistendo – fino a quel momento – la presunzione d’innocenza costituzionalmente garantita.
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