ANCONA. Centocinquanta milioni di euro, è questa l’enorme valore nominale di fatture per operazioni inesistenti scoperta dalla Guardia di Finanza di Ancona al termine dell’operazione denominata “Fast & Clean”, che vede coinvolte una rete d’imprese gestite da un’organizzazione criminale che ha emesso l’incredibile mole di fatture nel periodo gennaio 2022 – febbraio 2023.
Secondo quanto accertato dagli investigatori della Guardia di Finanza anconetana, coordinati dalla Procura della Repubblica del capoluogo marchigiano, le false documentazioni commerciali e fiscali in parola sono state utilizzate da oltre 600 imprese sparse sul territorio italiano, determinando in tal modo un’evasione dell’IVA per 33 milioni di euro, un potenziale illecito risparmio sulle Imposte Dirette superiore a 28 milioni di euro ed un conseguente maxi-riciclaggio dei proventi illeciti in tal modo conseguiti.

Un’autopattuglia della Guardia di Finanza di Ancona
Al momento, secondo quanto emerso dalle indagini che hanno visto operare in prima fila i Finanzieri della Tenenza di Senigallia, sono diciotto le persone denunciate (tre italiani e 15 cinesi) per emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, infedele ed omessa dichiarazione, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e autoriciclaggio.
Soggetti tra i quali spicca uno dei dominus della vicenda (una donna anch’essa di origini cinesi) che si trova al momento agli arresti domiciliari su disposizione del GIP del Tribunale.
Il nome dell’operazione di oggi, l’ennesima che un Reparto della Guardia di Finanza conduce nel sempre troppo attivo sistema fraudolento delle false fatturazioni, trae il suo nome dalla velocità con la quale le illecite operazioni venivano portate a termine, garantendo altresì ai responsabili un’efficace ripulitura di denaro mediante operazioni commerciali in realtà mai avvenute.
Le modalità adottate nel suddetto meccanismo, infatti, assicuravano agli imprenditori coinvolti nella frode l’immediata disponibilità del profitto ottenuto dalla frode fiscale in questione.
La serratissima attività di Polizia Giudiziaria e Tributaria, messa in atto dalle Fiamme Gialle, ha peraltro consentito d’intercettare e bloccare le somme di denaro in transito sui conti bancari prima che venissero trasferite in territorio estero, ed in questo senso fondamentali si sono rivelati i provvedimenti di sequestro preventivo d’urgenza emessi dalla Procura della Repubblica di Ancona con la contestuale convalida del Giudice per le indagini preliminari.
Nel corso dell’operazione, sono stati inoltre eseguite dieci perquisizioni, che hanno permesso ai militari di rinvenire e porre sotto sequestro ingenti somme di denaro contante, preziosi, orologi ed altri beni di pregio.
In attuazione dei provvedimenti cautelari emessi dal GIP competente, si aggiunge poi l’esecuzione di un decreto di sequestro preventivo “per equivalente” (per un importo da 33 milioni di euro) che ha riguardato conti correnti bancari, autovetture di lusso, uno stabilimento tessile, denaro contante e orologi di elevato valore, gioielli ed altri costosi beni, oltre a nove unità immobiliari e 15 imprese per le quali è stata ordinata la cancellazione al fine di evitare ogni possibile prosecuzione degli illeciti.
L’importante operazione è nata a seguito di un comune controllo ai fini fiscali, ed a quelli antiriciclaggio, curato dai Finanzieri senigalliesi nei confronti di un imprenditore cinese attivo nel distretto industriale di Corinaldo (Ancona).
Un controllo ispettivo scaturito da un’attività di analisi informativa emersa dalle banche-dati in uso al Corpo, a cui si aggiunge un saldo know how operativo maturato nell’ambito delle imprese “apri e chiudi”, presenti nell’anconetano e spesso gestite da imprenditori cinesi.
Proprio nell’opificio i Finanzieri hanno accertato come, attraverso la simulazione di costi fittizi, il responsabile avesse utilizzato numerose fatture per operazioni inesistenti emesse queste da imprese riconducibili a soggetti della stessa nazionalità.
La circostanza non si è, peraltro, rivelata un caso isolato, atteso che il ruolo dell’impresa corinaldese era quello di costituire il terminale di un “sistema” fraudolento attentamente ramificato e molto ben strutturato, in grado di garantire ai propri “associati” molteplici benefici sotto forma di evasione delle imposte, riciclaggio di denaro trasferito, oltre che la restituzione dei costi d’impresa falsamente sostenuti.

Parte dei beni e del denaro contante sequestrati dalla Guardia di Finanza di Ancona
Sono stati i flussi finanziari prodotti dall’opificio in questione a rivelare la presenza d’un reticolo d’imprese-fantasma impiegate come veri e propri generatori di fatture false. Imprese esistenti solo su carta ed intestate ai classici prestanome, che per di più si celavano all’ombra di più note aziende da cui astutamente adottavano parte del loro nome come anche l’ubicazione della sede.
Un richiamo a parte lo meritano poi anche le modalità attraverso le quali il denaro frodato al Fisco veniva retrocesso a fronte del pagamento delle false fatturazioni, che prevedeva una società-fantasma in veste di emettitrice della falsa documentazione e l’indicazione del destinatario con tanto di conto corrente italiano sul quale far pervenire il bonifico.
Una volta giunto l’accredito, il gestore della finta società passava dunque ad eseguire un bonifico di pari importo su un conto corrente di una banca cinese, giustificando l’operazione a titolo di pagamento di corrispettivo per operazioni d’importazione di prodotti in realtà mai importati, il tutto – come anticipato sopra – per un importo complessivo di somme trasferite in territorio estero ammontante a circa 150 milioni di euro.
La fenomenologia illecita accertata nel corso della descritta operazione rientrerebbe nel “underground bank”, ovvero un sistema banca occulta e ben inserita nell’economia illegale, che grazie ad un’ottima struttura organizzativa è in grado di trasferire (come anche di riciclare) somme miliardarie, con in più la possibilità di impiegare enormi provviste di denaro contante non-tracciato.
Giova in ogni caso ricordare come i provvedimenti fin qui adottati dall’Autorità Giudiziaria inquirente intervengano nella fase delle indagini preliminari, il che attualmente non pregiudica la presunzione d’innocenza degli indagati ai quali non può ancora essere ascritta una responsabilità penale, atteso che questa potrà essere dichiarata soltanto ad intervenuta sentenza definitiva di condanna.
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