Di Alessandro Margottini
TREVISO. Sono trenta gli imprenditori denunciati alla Procura della Repubblica di Treviso per somministrazione fraudolenta di manodopera. Una complessa indagine condotta dai finanzieri del locale Comando Provinciale che ha interessato il Mercato Agro-Alimentare di Padova che ha consentito di portare alla luce un vasto giro di falsi contratti per l’appalto di servizi (importo complessivo pari a 18 milioni di euro), utilizzati per mascherare illeciti rapporti di lavoratori da impiegare in ambito ortofrutticolo.

Un’autopattuglia della Guardia di Finanza di Treviso
Una vicenda che coinvolge anche due società, entrambe segnalate per responsabilità amministrativa dipendente da reato, poiché le violazioni tributarie generate sono state commesse nel loro interesse oltre che a vantaggio dei rispettivi amministratori.
Le imprese che risultano coinvolte nella frode sono ventinove, attive nel settore della logistica con alle dipendenze circa 150 lavoratori e un fatturato medio annuo complessivo di 6 milioni di euro, alle quali si affiancano ventisette aziende committenti dislocate in diverse province venete, quasi tutte operanti nel mercato ortofrutticolo padovano.
Nella frode rivelata dalle investigazioni della GDF trevigiana era presente un ampio giro di fatture per operazioni inesistenti (per complessivi 8 milioni e mezzo di euro), intercorrente tra le due aziende appaltatrici e dalle quali è maturata un’indebita detrazione di IVA per quasi un milione e 400mila euro.
Alla scoperta della frode i finanzieri sono giunti a seguito di due distinte verifiche fiscali che avevano interessato le società citate, specializzate nella fornitura di manodopera.
Una delle due, più in particolare, era stata costituita al solo scopo di assumere – con contratti a tempo determinato – il personale dipendente giunto al limite massimo legalmente previsto in materia di rinnovi contrattuali.
In buona sostanza i responsabili di tale “sistema” aggiravano le tutele previste per il mondo del lavoro mediante un impiego distorto dell’appalto di servizi, che venivano stipulati con imprese le quali (solo formalmente) assumevano lavoratori assolvendo ai relativi obblighi fiscali e contributivi, mentre nella realtà dei fatti i rapporti tra committenti e società appaltatrici erano creati al solo scopo di “interporsi” tra i lavoratori e le aziende, alle cui dipendenze prestano effettivamente la propria attività lavorativa.
In sintesi si ricorreva a personale esterno alle imprese committenti consentendogli in tal modo di disporre liberamente di manodopera, ma senza i vincoli ed i costi fissi che derivano da un contratto a tempo indeterminato il che, oltre a penalizzare gli stessi lavoratori, ha creato negativi effetti sugli equilibri della libera concorrenza tra le imprese a svantaggio di quelle che lavorano nel rispetto delle regole.
Non è stato semplice per gli investigatori delle fiamme gialle ricostruire tale “filiera della manodopera”, ma i certosini esami condotti sulla copiosa documentazione informatica rinvenuta, oltre alle testimonianze acquisite da diversi lavoratori, gli hanno comunque permesso di delineare i reali contorni di tali rapporti di lavoro esistenti con varie imprese committenti.
Un quadro certamente illecito dunque, al quale va ad aggiungersi il suddetto giro di “fatture-fake” emesse dalle società trevigiane per un importo complessivo di 26 milioni e mezzo di euro.
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