Guerra Israele-Iran: bombe, silenzi e l’ombra lunga su un nuovo conflitto che insanguina il Medio Oriente

Di Giuseppe Gagliano*

TEL AVIV. Aerei israeliani solcano i cieli persiani e colpiscono, con precisione chirurgica e violenza strategica, il cuore del sistema militare e nucleare dell’Iran.

Un’immagine di un attacco israeliano in Iran

 

È un evento spartiacque. Non un semplice attacco aereo, ma un segnale inequivocabile: l’equilibrio di deterrenza tra Tel Aviv e Teheran è crollato.

Ed è crollato nel silenzio complice del mondo, mentre la regione più instabile del pianeta torna a bruciare.

Una rete di bersagli per cambiare la mappa del potere

La mattina del 13 giugno, decine di esplosioni scuotono Teheran e diverse altre località iraniane.

Non si tratta di raid simbolici: sono attacchi di portata strategica, destinati a decapitare la leadership militare dell’Iran e a disarticolare le sue capacità nucleari.

Tra le vittime: Hossein Salami, Comandante delle Guardie Rivoluzionarie; Mohammad Bagheri, capo di Stato Maggiore; Rashid e Tehranchi, Generali e scienziati; Fereydoun Abbasi, ex responsabile dell’energia atomica.

È una strage mirata. Un decapitamento sistemico.

Il messaggio di Israele è chiaro: la soglia del contenimento è stata superata.

Netanyahu lo conferma in diretta televisiva: l’Iran ha “uranio per nove bombe atomiche” ed è “giunto il momento di colpire al cuore il programma nucleare”.

Il capo del Governo israeliano, Netanyahu

L’obiettivo, dice, è paralizzare ogni capacità di costruzione e lancio.

Ma dietro l’urgenza tecnica si intravede una strategia più ambiziosa: Israele vuole riscrivere i rapporti di forza regionali, prevenire un’egemonia persiana e riportare gli Stati arabi sunniti sotto la propria influenza, nella logica di una nuova architettura anti-iraniana.

La reazione di Teheran e lo spettro dell’escalation

L’Iran, colpito nel suo orgoglio e nei suoi nervi vitali, promette vendetta.

Il Comandante dell’Esercito, Mousavi, parla di “punizione esemplare” contro Israele e Stati Uniti. Ali Shamkhani, consigliere di Khamenei, è in gravi condizioni.

Il Comandante dell’Esercito iraniano, Mousavi

La Guida Suprema tace, ma secondo fonti iraniane è stata prontamente informata.

È il preludio a una possibile controffensiva, già avviata con il lancio di oltre 100 droni verso Israele.

Ma le ritorsioni potrebbero assumere forme più sottili, e più pericolose: sabotaggi, cyberattacchi, destabilizzazione delle truppe americane in Iraq o Siria, riattivazione delle milizie sciite nei Teatri di crisi.

L’ambiguità americana e il disimpegno strategico

Washington prende le distanze: “nessun coinvolgimento”, dichiara il segretario di Stato Marco Rubio, ma ammette che l’attacco era noto e comunicato.

L’Amministrazione Trump, nel suo secondo mandato, conferma la linea dura contro Teheran, ma evita lo scontro diretto.

Gli Stati Uniti vogliono restare ai margini, proteggendo le proprie basi e lasciando a Israele il ruolo di gendarme regionale.

È un segnale duplice: da un lato, lascia mano libera a Tel Aviv; dall’altro, denuncia un ridimensionamento strategico della presenza USA in Medio Oriente, coerente con il pivot verso l’Asia.

Le implicazioni regionali: Arabia Saudita, Libano, Mediterraneo

Il raid israeliano rimescola le carte nella regione. Riad osserva con attenzione.

Il timore è che l’Iran, ferito, possa reagire colpendo gli impianti petroliferi sauditi, come nel 2019. Hezbollah, nel Sud del Libano, potrebbe aprire un nuovo fronte, trasformando il conflitto in una guerra asimmetrica multilivello.

Lo stesso Mediterraneo orientale, già congestionato da tensioni tra Grecia, Turchia, Egitto e Israele, rischia di diventare un’arena navale sensibile.

Aumentano le probabilità di scontri su scala navale e cyber, con effetti immediati anche sulle rotte energetiche e i flussi commerciali globali.

Israele sotto il coprifuoco: un Paese in allerta permanente

Israele si prepara al peggio: stato d’emergenza, spazio aereo chiuso, sospensione delle lezioni, cancellazione della parata del Pride a Tel Aviv.

Il Governo attiva il Comando del Fronte Interno.

È la consapevolezza di essere entrati in un nuovo capitolo del conflitto: non più raid a distanza o operazioni di intelligence, ma guerra aperta contro uno Stato nucleare (o potenzialmente tale). Una guerra che potrebbe non avere limiti geografici né temporali.

Il Medio Oriente torna a essere il centro del mondo

L’attacco israeliano all’Iran segna un punto di non ritorno.

Non solo per la violenza degli eventi, ma per il messaggio che trasmette: la deterrenza non funziona più. La logica del “non escalation” è saltata. La diplomazia, già compromessa dagli accordi abbandonati sul nucleare iraniano, non ha più voce.

La regione rischia una guerra totale, anche se a fuoco lento. E l’Europa, come sempre, assente. L’unico attore che decide, agisce e colpisce resta Israele. Ma la domanda è: a quale prezzo?

*Presidente Centro Studi Cestudec

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