Di Giuseppe Gagliano
PECHINO. Dopo mesi di indiscrezioni e corteggiamenti incrociati, è arrivata l’ufficialità: il Gruppo 42 di Abu Dhabi ha annunciato la fine di ogni collaborazione con le aziende cinesi e l’avvio di un nuovo asse di sviluppo con gli Stati Uniti.

A prima vista potrebbe sembrare solo un ordinario cambio di rotta di un grande conglomerato hi-tech, ma dietro la scelta si profilano spinte geopolitiche ben più complesse, che coinvolgono gli equilibri di potere tra Washington D.C. Pechino e le potenze del Golfo.
La stretta di mano americana e l’ombra cinese
Per anni, il Gruppo 42 è stato percepito come uno dei ponti più solidi tra il Medio Oriente e la Cina in materia di intelligenza artificiale, big data e infrastrutture tecnologiche.
Le collaborazioni avviate con partner cinesi – e sostenute da una parte del mondo finanziario arabo in cerca di diversificazione – avevano prospettato un futuro fatto di piattaforme digitali integrate, soluzioni di riconoscimento facciale avanzate e servizi cloud dedicati a Ministeri e imprese dell’area MENA (Middle East and North Africa).

Poi, però, lo scenario internazionale è cambiato.
L’amministrazione statunitense ha iniziato a premere sull’alleato mediorientale, instillando il sospetto che la vicinanza alle tecnologie cinesi potesse compromettere la sicurezza dei dati e la tenuta strategica della regione.
La “guerra fredda” tecnologica tra USA e Cina ha dunque trovato nuove sponde, e la pressione su quei gruppi industriali del Golfo capaci di muovere capitali e innovazione, come appunto Gruppo 42, è salita di tono.
Gli accordi (e le rinunce) imposti da Washington D.C.
L’altro elemento chiave è la condizione imposta da Washington D.C.: per stringere l’accordo e garantire al Gruppo 42 libero accesso al know-how e al mercato statunitensi, era necessario tagliare ogni collaborazione sia con società cinesi sia con alcune aziende considerate “sensibili” nel contesto geopolitico dell’area.
È in questo quadro che si inserisce la notizia di un vero e proprio veto americano sulla partecipazione del Gruppo 42 a qualunque progetto di intelligenza artificiale con EDGE Group, il gigante della Difesa con base negli Emirati Arabi Uniti.
A quanto trapela dalle fonti interne, gli americani avrebbero richiesto precise garanzie sulla gestione e la conservazione dei dati, temendo un possibile travaso di informazioni militari e strategiche a Paesi “non allineati”.
La contropartita promessa? Collaborazioni con centri di ricerca statunitensi, partnership con big tech americane e un potenziamento dell’accesso ai fondi di investimento legati alle più innovative start-up dell’IA.

Il ruolo degli Emirati Arabi e il dilemma del Golfo
La mossa del Gruppo 42 si inserisce in una partita ben più ampia, che vede gli Emirati Arabi Uniti impegnati a mantenere un delicato equilibrio tra i loro storici partner occidentali e la Cina, divenuta negli ultimi anni una presenza sempre più ingombrante e determinante sui mercati.
Non va dimenticato che Pechino è un attore fondamentale nello scacchiere energetico e infrastrutturale mediorientale. Ed è proprio su questi dossier – porti, rotte commerciali, tecnologie strategiche – che gli Stati Uniti alzano la guardia, nel tentativo di arginare l’espansione dell’influenza cinese.
Il Gruppo 42, simbolo di quella voglia di modernizzazione tecnologica che anima da tempo gli Emirati, si è trovato davanti a un aut-aut. E la scelta finale, sebbene dolorosa, è caduta sulla sponda americana.
Il futuro incerto dell’IA nel Golfo
Restano però incognite non da poco sul futuro delle iniziative di intelligenza artificiale nel Golfo.
Da un lato, l’impegno degli Stati Uniti – e in generale dell’Occidente – a potenziare la ricerca e l’innovazione in loco potrebbe garantire al Gruppo 42 un salto di qualità e un migliore accesso ai mercati più avanzati.
Dall’altro, si crea un vuoto nei rapporti con la Cina, che negli ultimi anni aveva investito cifre importanti in progetti di sviluppo tecnologico e formativi. Un vuoto che potrebbe ripercuotersi su molte altre aziende mediorientali, preoccupate di dover prendere posizione in una partita che mette in competizione diretta i colossi mondiali dell’hi-tech.
La posta in gioco: sovranità tecnologica e controllo dei dati
Per capire la vera portata di questo dietrofront, bisogna guardare al cuore della questione: i dati.

Nel mondo dell’intelligenza artificiale, è la gestione e l’elaborazione dei dati a segnare il confine tra potenza e dipendenza, tra controllo e vulnerabilità.
Gli Stati Uniti si mostrano sempre più decisi a non concedere spazi in cui i concorrenti cinesi possano rafforzare il proprio know-how. D’altra parte, Pechino non intende indietreggiare di un millimetro sulla propria espansione tecnologica.
Al Gruppo 42 – e a tutti gli attori regionali che si muovono tra i due giganti – non resta che imboccare un sentiero stretto, barcamenandosi tra la volontà di mantenere l’accesso alle principali reti di ricerca internazionali e la necessità di non pregiudicarsi i rapporti con i mercati asiatici.
Un gioco di equilibri che, come si è visto, Washington D.C. è determinata a governare in modo sempre più invasivo.
Conclusioni
La decisione del Gruppo 42 di interrompere i rapporti con tutte le aziende cinesi e di cedere al diktat di Washington rappresenta un segnale chiaro dell’evoluzione degli equilibri mondiali.
Il Golfo – e in particolare gli Emirati – sembrano destinati a diventare un campo di prova fondamentale per la battaglia tecnologica globale: gli investimenti, i progetti e i protocolli di sicurezza che si definiranno nei prossimi mesi potrebbero fungere da modello (o da monito) per l’intera area MENA.
Per ora, il Gruppo 42 ha scelto di puntare tutto sull’asse con gli Stati Uniti, con la speranza di trasformare la rinuncia alle partnership cinesi in una moneta di scambio sufficiente a guadagnarsi un posto al tavolo privilegiato dell’innovazione hi-tech occidentale.
Solo il tempo dirà se questa mossa sarà stata una lungimirante strategia di lungo periodo o soltanto l’ennesimo capitolo di una guerra di influenza, che rischia di lasciare dietro di sé più macerie che benefici.
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