II Guerra Mondiale: 25 aprile 1945, il contributo volutamente dimenticato dei militari alla Liberazione. In 87.376 caddero tra l’8 settembre 1943 e l’8 maggio 1945

Di Antonio Li Gobbi

ROMA (nostro servizio particolare). Ogni 25 aprile sembra che la Resistenza e la Liberazione nazionale siano state ottenute grazie solo a formazioni partigiane comuniste che strizzavano l’occhio a Stalin.

Questa narrazione distorta viene portata avanti sia da alcuni esponenti della sinistra post-comunista ( per appropriarsi di un’eredità che era anche comunista ma che non era soltanto di una parte politica)  sia da nostalgici della RSI, per screditare la Resistenza e la Guerra di Liberazione agli occhi dei cittadini di orientamento politico moderato.

Così non è stato! Intanto, senza l’Italian Campaign alleata (voluta essenzialmente da Winston Churchill ) e senza il massiccio intervento militare anglo-americano non ci saremmo liberati della Germania nazista e del fascismo.

Churchill, Roosevelt e Stalin durante la Conferenza di Yalta

Intendiamoci, inglesi, americani, canadesi, indiani, truppe coloniali francesi, polacchi, Brigata ebraica e  i tanti altri che da luglio 1943 ai primi di maggio 1945 hanno contribuito con il loro sangue a liberarci dal giogo tedesco non lo hanno fatto per disinteressato altruismo nei nostri confronti, ma perché l’Italian Campaign era funzionale alla sconfitta della Germania.

Un considerevole contributo all’Italian Campaign fu fornito anche dalle Forze Armate regolari italiane cobelligeranti con gli anglo-americani.

Ci fu poi la guerra partigiana, il numero dei cui aderenti era, soprattutto all’inizio, decisamente contenuto e che ha avuto, militarmente, un effetto abbastanza limitato sull’andamento delle operazioni generali. Ma che è stata  sicuramente la forma di lotta più difficile e pericolosa e forse quella di maggior valenza spirituale.

Poi ci furono le moltissime forme di resistenza disarmata (degli internati militari, degli scioperi  operai, della società civile).

Militari italiani internati

Oggi, purtroppo, sembra che si voglia se non negare almeno ignorare il ruolo determinante che hanno avuto i Soldati italiani in quei venti mesi di lotta per liberare l’Italia, chi combattendo nelle rinate Forze Armate  a fianco degli Alleati, chi nelle formazioni partigiane di ogni colore, chi, infine,  offrendo una orgogliosa resistenza disarmata nei campi di concentramento

Intendiamoci, l’8 settembre del 1943, le nostre Forze Armate non erano sicuramente in condizioni ottimali!

Erano state impegnate per tre anni (con armamenti ed equipaggiamenti non sempre adeguati alla situazione) in campagne dispersive, condotte senza una chiara visione strategica degli obiettivi nazionali. Inoltre, dalla fine del 1942 i nostri reparti erano, di fatto, in ritirata nei due fronti principali (quello africano e quello russo).

Considerando anche la gestione politica molto discutibile del periodo 25 luglio-8 settembre e l’assoluta impreparazione con cui si affrontò l’armistizio, ci si poteva aspettare che le nostre Forze Armate si sciogliessero come neve al sole di fronte alla macchina da guerra nazista. Così non è stato!

Galli Della Loggia ha definito l’8 settembre la “morte della Patria”.

Non concordo.

Non è stata la morte della Patria: è stata la fine di uno Stato, di un’organizzazione statuale, la perdita di credibilità dell’intera classe dirigente, sia quella fascista sia quella monarchica. Però l’8 settembre è stato soprattutto l’inizio della riscossa del popolo italiano e della “guerra di liberazione” dall’occupazione tedesca.

Una guerra che non esiterei a definire 5^ Guerra d’Indipendenza nazionale.

Riscossa che ha assunto una molteplicità di forme, in tutte le quali gli uomini “con le stellette” hanno avuto un ruolo importante e trainante, anche se troppo spesso sottostimato e, a volte, addirittura ignorato.

8 aprile 1945: la liberazione di Piacenza da parte dei partigiani comandati dal Tenente dei Carabinieri Fausto Cossau

Possiamo dire che l’evento simbolo dell’avvio di questa riscossa sia avvenuto a Roma, dove nei giorni 9 e 10 settembre 1943, d’iniziativa e senza ordini, ufficiali e soldati di tutte le armi dell’Esercito Italiano hanno ingaggiato contro i tedeschi una lotta impari, che sapevano essere senza speranza, e per questo ancor più eroica. A loro si sono uniti uomini e donne di tutti i ceti sociali e di tutti i credi politici, a dimostrazione che in quella situazione di caos e di generale perdita di punti di riferimento, le Forze Armate, nonostante la crisi della politica e nonostante tre anni di guerra disastrosa, erano ancora ritenute, da buona parte dei cittadini italiani, le uniche rappresentanti della Nazione e dell’unità nazionale. Non si trattò certamente di un evento bellico memorabile dal punto di vista militare, ma è stato un magnifico esempio di coesione del Popolo con il “suo” Esercito.

 

Un momento della battaglia di Porta San Paolo, a Roma, il 10 settembre 1943

Non si trattò solo di Roma! Eventi simili, anche se di minor portata, sono avvenuti in tutto il Paese così come nei territori esteri ove i nostri soldati erano dislocati.

Non starò a citare tutti i numerosi esempi, ma sappiamo che i reparti abbandonati da una politica miope in isole sperdute dell’Egeo o nei Balcani, spesso hanno resistito o hanno tentato di resistere contro i tedeschi, nonostante fossero in grave soggezione di forze.

Conosciamo i fatti di Cefalonia, grazie soprattutto all’attenzione che ha rivolto all’evento il Presidente Carlo Azeglio Ciampi, ma non c’è stata solo Cefalonia! Fatti analoghi si verificarono in altre isole greche (Corfù, Rodi, Lero), così come in Corsica, e nei Balcani.

Il Generale Antonio Gandin

La sensibilità al riguardo del Presidente Ciampi è anche dovuta alla sua storia personale: era anche lui un giovane Tenente dell’Esercito quel tragico 8 settembre 1943.

Circa 640 mila soldati (sorpresi dall’8 settembre) furono catturati dai tedeschi, in Italia o all’estero, e internati in campi di concentramento.

Non godevano dello “status” di “prigionieri di guerra” (cui le Convenzioni di Ginevra riconoscevano alcuni diritti), in quanto non considerati “belligeranti”, non avendo il governo italiano ancora dichiarato guerra alla Germania.

Furono sottoposti a trattamenti spesso disumani, cui avrebbero agevolmente potuto sottrarsi aderendo alla RSI.

La maggior parte di loro decise di resistere e di non aderire alla RSI, nonostante fossero consci che sarebbero probabilmente morti nei lager (sorte che toccò a oltre 40 mila di loro).

Nei Balcani, in Francia, nelle isole, migliaia di militari italiani sfuggirono alla cattura da parte dei Tedeschi e parteciparono ai locali movimenti di liberazione nazionali, unendosi ai partigiani locali. Particolarmente significativo fu il caso delle Divisioni “Taurinense” e “Venezia”, che si fusero nella Divisione “Garibaldi”, mantenendo in gran parte intatta la propria organizzazione gerarchica e ordinativa e combattendo a fianco dei partigiani jugoslavi fino alla fine della guerra.

La “resistenza” degli internati militari e quella dei reparti italiani all’estero era la “resistenza” di chi pur lontano dall’Italia e privo di qualsiasi informazione sulla situazione, sentiva che la Patria non era morta e, in prigionia o in territori lontani, continuava a combattere per essa.

Nel Mezzogiorno, dopo la dichiarazione di guerra alla Germania da parte del Governo Badoglio (ottobre 1943) e il tormentato riconoscimento all’Italia dello status di cobelligerante da parte alleata, le Forze Armate. italiane, ricostituite al Sud, parteciparono attivamente alle operazioni a fianco degli Alleati.

Il Generale Pietro Badoglio

Nonostante le resistenze politiche anglo-americane (tendenti a limitare il contributo italiano a sostegno logistico e lavoro nelle retrovie, al fine di non doverci riconoscere meriti di cobelligeranza), il primo nucleo di tali forze ebbe il battesimo del fuoco nella battaglia di Montelungo (dicembre 1943), dove s’immolò quasi al completo il 51° Battaglione allievi ufficiali dei Bersaglieri.

Si trattava di “combattere” sia contro l’ex alleato tedesco, che non perdonava quello che considerava un tradimento, sia contro i preconcetti del nuovo-alleato anglo-americano, che voleva limitare il ruolo dei nostri combattenti per non riconoscere all’Italia vantaggi politici post-bellici.

Nei successivi sedici mesi, le “nuove” Forze Armate italiane arrivarono a contare più di mezzo milione [1] di uomini.

Non solo i 6 Gruppi di Combattimento (in pratica Divisioni, che gli Alleati non consentirono di chiamare così solo per motivi politici), ma anche reparti combattenti della Marina, dell’Aeronautica e le Divisioni Ausiliarie che furono essenziali per consentire alle armate alleate di risalire la Penisola.

L’importanza non solo militare ma anche politica di tale impegno fu evidenziato nel mirabile intervento di Alcide De Gasperi alla Conferenza di Parigi (10 agosto 1946).

Alcide De Gasperi parla alla Conferenza di Parigi

Al Nord, i militari sono stati spesso i primi a darsi alla guerriglia e sono spesso stati gli elementi catalizzatori che hanno tentato di dare un’organizzazione e una qualche unitarietà al movimento resistenziale che stava nascendo spontaneamente, ma disordinatamente.

Ciò perché alcuni reparti si sono dati alla macchia già subito dopo l’8 settembre, mantenendo spesso, almeno all’inizio, la propria organizzazione e con quadri che avevano già molta esperienza bellica.

Luigi Longo, vice comandante del Corpo Volontari della Libertà e futuro segretario del PCI, in proposito scrisse: “Vi erano soldati che fuggivano verso la montagna guidati dai loro ufficiali. Fuggivano per un’ansia di ribellione, ma con senso di disciplina e organizzazione. E fuggivano recandosi appresso la propria arma”.

A Roma, non possiamo dimenticare il contributo fornito durante il periodo dell’occupazione dal Fronte Militare Clandestino guidato dal Colonnello Montezemolo.

Ricordiamo che dei 335 trucidati alle forze Ardeatine, ben 69 erano uomini con le stellette.

Il Colonnello Montezemolo

È stato così dappertutto e troppo lungo sarebbe citare tutti gli eroi con le stellette della guerra partigiana! In tale contesto, vanno ricordate anche le centinaia di missioni di ufficiali e sottufficiali italiani paracadutati oltre le linee tedesche con compiti di collegamento con le formazioni partigiane, addestramento delle stesse e organizzazione di aviolancio di armi e munizioni a favore della “resistenza”.

Ben 87.376 militari italiani sono caduti per liberare l’Italia tra l’8 settembre 1943 e l’8 maggio 1945, alcuni all’estero, altri in Patria, chi in reparti regolari chi in formazioni partigiane, ma tutti, indistintamente, tenendo fede al proprio dovere.

Ben 365 militari sono stati decorati, quasi tutti alla memoria, di Medaglia d’Oro al Valor militare per le loro attività nella Guerra di liberazione (di questi 229 operavano nelle formazioni partigiane e 136 in reparti regolari).

In conclusione, sicuramente anche senza il sacrificio di tanti soldati e civili che hanno combattuto la guerra di liberazione, i tedeschi sarebbero stati ugualmente sconfitti. La differenza è che in quel caso noi, come popolo, “saremmo stati liberati” invece di essere stati parte attiva di questa riscossa nazionale, che ha portato a un’Italia repubblicana e democratica, che siede con onore tra le nazioni europee.

In tutte le molteplici fasi e sfaccettature di questo processo che è stato essenziale e fondante per la nostra Repubblica, gli “uomini con le stellette” hanno avuto, sia individualmente sia collettivamente, un ruolo fondamentale.

Ruolo che, lo ripeto, oggi  troppi vogliono far cadere nell’oblio per dare della Storia una versione addomesticata ai propri interessi di parte.

NOTA

[1] In particolare: 400 mila dell’Esercito, 80 mila della Marina, 35 mila dell’Aeronautica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Autore