II Guerra Mondiale: l’attacco alla Grecia (1940) evidenzia alcune lacune di pianificazione e sottovalutazione dell’avversario

Di Emanuele Di Muro*

Roma. All’inizio della Seconda Guerra Mondiale, il teatro balcanico venne considerato dall’Italia come secondario, l’ordine era: stare sulla difensiva.

Soldati italiani sul fronte greco

Formalmente, la Jugoslavia e la Grecia avevano firmato dei trattati di reciproca amicizia con Roma, ma i rapporti diplomatici erano diventati tesi a seguito dell’annessione italiana dell’Albania nel 1939.

Le informazioni sulla Grecia arrivavano nei periodici bollettini del Servizio Informazioni Militari (SIM), che nel corso del 1940 riportavano un aumento delle attività greche verso la frontiera albanese: i greci si stavano preparando a sostenere uno sforzo difensivo, per poi eventualmente, effettuare una controffensiva dalla Macedonia.

Nel Paese ellenico circolavano notizie su un’azione italiana che nemmeno le rassicurazioni diplomatiche potevano fugare.

La pianificazione italiana dell’attacco alla Grecia venne mantenuto a livello politico – strategico, senza un reale confronto con il comando operativo sul terreno, il Comando Truppe Albania che rimase di fatto fuori dal processo decisionale.

L’attacco alla Grecia iniziò il 28 ottobre 1940, per celebrare l’anniversario della marcia su Roma: la guerra alla Grecia doveva manifestare le qualità belliche degli italiani; a questo aspetto politico si aggiungeva la volontà strategica di cercare di limitare la presenza britannica nel Mediterraneo orientale, occupando la Grecia per eliminare la possibilità di utilizzo di basi navali nell’area.

Dopo circa 13 giorni dall’inizio, 28 ottobre 1940,  l’offensiva italiana contro il paese  venne arrestata senza aver raggiunto nessuno degli obiettivi prefissati ad inizio campagna.

Da metà dicembre fino al marzo 1941, l’iniziativa offensiva passò in mano greca con il chiaro intento di ricacciare gli italiani verso l’Albania conquistando in successione Elbasan, Berat e Valona.

I greci erano riusciti a mobilitare tutte le loro forze e si trovavano in superiorità numerica rispetto agli italiani che avevano problemi logistici legati alla scarsa capacità dei porti albanesi di smistare il materiale sbarcato.

Queste difficoltà erano acuite dalla scarsa capillarità della rete viaria rivolta alla Grecia, in quanto tutta la pianificazione operativa dall’occupazione dell’Albania era rivolta alla Jugoslavia.

A seguito dell’arresto dell’avanzata vennero decisi degli avvicendamenti al comando del Gruppo Armate Italiane in Albania, il Generale Visconti Prasca fu sostituito dal Generale Soddu, ma l’andamento della campagna non cambiò.

Le misure difensive per bloccare l’avanzata greca non furono efficaci, tanto che le truppe elleniche penetrarono in  territorio albanese.

L’otto gennaio 1941 i greci sferrarono un’offensiva in forze tesa a raggiungere Berat e chiudere gli italiani nella valle della Vojussa.

Alle 7:30 dell’otto gennaio, dopo un intenso fuoco di preparazione, il II corpo ellenico attaccò lungo la dorsale del Monte Topajanit, determinando il ripiegamento della Divisione “Julia” verso Mali Paroline in una sacca a nord di Klisura.

Lo schema di contromanovra a Klisura

L’unità alpina era ormai logora  e ridotta ad un migliaio di uomini.

Secondo gli ordini del Generale Emilio Bancale, comandante dell’VIII Corpo d’Armata, la Divisione “Julia” doveva essere rimpiazzata con la più fresca “Lupi di Toscana”[1], che era appena giunta in linea.

Mentre la “Lupi” si avvicinava marciando (dall’8 al 9 percorse circa 44 chilometri a piedi, senza automezzi) i greci continuavano la pressione sulla “Julia” arrivando ad intercettare la rotabile Suka-Klisura.

All’alba del 10, dopo nemmeno un giorno di riposo dalla marcia forzata, partiva il contrattacco della “Lupi di Toscana”, sferrato dal 77° Reggimento.

Tale azione non fermò i greci, ma consentì all’11^ Armata di attestare una nuova fronte difensiva da Mali Tabajan alla Rotabile di fondovalle circa 2 km a nord-ovest di Klisura, che era stata presa da forze greche.

L’azione controffensiva della Divisione “Lupi di Toscana” fu ammirevole, anche se poi, dopo pochi giorni sbandò a causa delle difficoltà logistiche che non riuscirono a garantire cibo, munizioni ed equipaggiamento.

L’offensiva greca di gennaio portò alla conquista di Berat, facendo così arretrare la linea italiana sulla direttrice di Tepeleni.

Nel mese di febbraio 1941 a partire dal 13, i greci dettero il via ad una nuova offensiva volta alla conquista di Tepeleni, per poter aprire così la strada verso Valona.

La manovra ellenica fu concepita su due direttrici: aggiramento da nord e sfondamento a sud.

L’attacco iniziò alle 7:45 per mezzo di un incessante bombardamento aereo e di artiglieria sulle trincee e postazioni italiane.

Questo primo attacco, nonostante la potenza di fuoco che accompagnò gli sbalzi della fanteria greca, non ottenne l’obiettivo prefissato presso il crinale dello Shendeli.

Gli attacchi furono sferrati violentemente, il IV e VIII C.A. resistettero, ma non riuscirono ad evitare che il nemico avanzasse.

Lo schieramento del IV e dell’VIII Corpo d’Amata (genato 1941)

L’incompleto successo greco, diede spazio al contrattacco italiano condotto dal I battaglione del 67° Reggimento della Divisione “Legnano”, così come ordinato dal Generale comandante la Divisione Amedeo De Cia (Ufficiale Generale, già distintosi in Libia e durante la Grande Guerra).

Il 15 i greci attaccarono in forze sul versante destro della Vojussa in direzione di Tepeleni.

Lo scontro fu violentissimo e si allargò a tutto il fronte, la penetrazione greca aveva raggiunto posizioni laterali del monte Shendeli.

Per tutta la giornata del 16 i greci esercitarono una forte pressione sull’intero fronte del saliente di Tepeleni.

Per i comandi ellenici era sufficiente allargare la breccia del giorno precedente e assicurarsi le basi di partenza per l’assalto finale a Tepeleni, ma il piano sfumò in una serie di scontri senza tregua da  quota a quota.

L’attacco a Punta Nord, sferrato con favore di nebbia, sembrò che potesse raggiungere il successo, ma la risposta italiana con il fuoco di arresto delle armi automatiche, lo sbarramento di artiglieria e i continui contrassalti lo respinsero.

Il comando greco pensò di spostare lo sforzo principale nel settore della valle di Zagoritas, area di responsabilità del IV Corpo d’Armata.

Il nuovo attacco fu pianificato sulla linea della Voiussa. Nella notte del 17 lungo la rotabile di Argirocastro vi fu un ininterrotto movimento di mezzi greci: stavano portando in linea le unità di seconda schiera per sferrare il potente attacco pianificato nel tentativo di sfondare il fronte italiano.

Il 18, malgrado le forti perdite, i greci insistevano nell’attacco in tre direzioni Shendeli, Pesclani e Golico, ma sempre con scarsi risultati tattici.

Il comando ellenico allora ridusse il fronte d’attacco solamente verso Golico, dove operavano le Divisioni “Ferrara”, “Julia” e “Legnano”. La battaglia aveva assunto le caratteristiche di un’operazione di logoramento, non lasciando aperti spiragli di raggiungere vantaggi tattici né tantomeno operativi a entrambi gli schieramenti.

Il 19 gran parte delle azioni fu condizionata dal cattivo tempo.

Questa battaglia si concluse con l’arresto degli attaccanti.

La pausa operativa fece passare di nuovo le truppe italiane all’attacco, ma tale azione fu fortemente condizionata dagli eventi politici che annunciavano l’imminente arrivo nei Balcani delle truppe tedesche a seguito del cambio istituzionale nel regno di Jugoslavia.

La campagna di Grecia evidenzia alcune lacune di pianificazione e sottovalutazione dell’avversario.

I comandanti di Armata e Corpo d’Armata si trovarono senza il supporto operativo e dei servizi, i comandi di Divisione, come il caso descritto della “Lupi di Toscana”, furono costretti ad impiegare le unità alla spicciolata, man mano che sbarcavano nei porti di Valona e Durazzo.

Alle problematiche di carattere logistico, si aggiunsero limitazioni all’efficienza delle unità impiegate, entrate in linea troppo in fretta e senza un adeguato addestramento, acuito dalla smobilitazione del personale già addestrato, – i primi richiami, avvennero solo nel novembre 1940 “soltanto dopo aver utilizzato completamente tutte le aliquote di personale che non erano mai state richiamate per l’emergenza 1939-1940″.

Questa errata valutazione scaturì anche dal limitato coinvolgimento del Servizio Informazioni Militari (SIM) nel processo di pianificazione, come venne evidenziato nella relazione finale delle attività in Grecia e Albania nel 1945.

La relazione, benché post eventum, sottolinea l’importanza dell’analisi informativa dell’ambiente operativo durante tutte le fasi di pianificazione di una campagna militare, a cui va aggiunta l’analisi di fattibilità logistica, necessaria per qualsiasi preparazione operativa.

Tutto ciò inserito in uno scambio di informazioni tra i vari livelli di pianificazione, al fine di rendere più aderente agli obiettivi della campagna il processo di pianificazione e condotta.

 

FONTI:

M. Montanari, L’Esercito italiano nella campagna di Grecia, 2^ed., Roma, SME, 1991

O. Bovio, Storia dell’Esercito italiano, 2^ed.,  Roma, SME, 2010

Diario storico Comando Supremo 1940; 4) Relazioni SIM custodite presso l’Archivio Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito.

[1] Nel giugno 1940 la Divisione fu impiegata in Francia come riserva della 1^Armata. Dopo la smobilitazione, avvenuta a fine ottobre, venne precettata per l’impiego sul fronte greco nel mese di dicembre. Giunta al fronte venne inviata in linea solamente con i suoi due reggimenti di fanteria, avendo dovuto lasciare indietro le unità di supporto e i rifornimenti a causa delle difficoltà sulle linee di comunicazione. Dal punto di vista addestrativo il comando divisione si trovò a dover approntare personale di leva in quanto quello esperto che aveva combattuto sul fronte occidentale venne smobilitato.

*Maggiore, in servizio presso l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Autore