IL CONFLITTO DEL NAGORNO-KARABAKH SOTTO LA LENTE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE

Di Giuseppe Paccione*

Erevan. Sono trascorsi quasi tre decenni dalla nascita della cosiddetta Repubblica del Nagorno-Karabakh. Da allora essa è esistita al di fuori del controllo politico e giuridico della Repubblica dell’Azerbaigian, lo Stato da cui desidera separarsi.

Armenia e Azerbaigian in guerra per il Nagorno Karabakh

Recentemente, la Repubblica del Nagorno-Karabakh ha acquisito un secondo nome ufficiale, quello di Repubblica di Artsakh, in risposta alla guerra del Pesce d’Aprile combattuta per quattro giorni nel 2016 [1].

Questa mossa serviva, inter alia, ad affermare l’identità armena dell’entità, essendo Artsakh il nome armeno della regione, cambio della denominazione avvenuto attraverso un referendum di modifica costituzionale che non è piaciuto alla comunità internazionale.

In effetti, la Repubblica del Nagorno-Karabakh ha costruito un ordine giuridico e politico, che pur godendo di legittimità domestica, attualmente non è stata riconosciuta da nessuno Stato compresa la stessa Armenia, sebbene tale riconoscimento sarebbe un casus belli per la Repubblica dell’Azerbaigian, anche le stesse organizzazioni internazionali non hanno riconosciuto tale Repubblica [2].

Dicitur che la Repubblica del Nagorno-Karabakh venga considerata una specie di socialdemocrazia con contorni di tipo militare, tanto è vero che si ritiene che gran parte della popolazione è a favore delle scelte politiche del loro Presidente, considerato un vero e proprio leader forte [3].

La militarizzazione è evidente, d’altronde, attraverso l’arruolamento militare obbligatorio di tutti i cittadini di sesso maschile, mentre il modello socialdemocratico viene adottato per prevenire l’esodo della popolazione locale.

A differenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, che hanno ottenuto un numero limitato di riconoscimenti da parte di altri Stati, come dalla Federazione di Russia, dal Nicaragua e dal Venezuela, nessun altro Stato ha riconosciuto l’indipendenza della Repubblica del Nagorno-Karabakh, persino l’Armenia, come ho già scritto sopra, con cui l’enclave del Nagorno-Karabakh ha cercato la riunificazione all’inizio del conflitto.

La percezione del conflitto nella psiche della popolazione locale e degli armeni di tutto il mondo è profondamente radicata in un senso di giustizia storica che prevale su qualsiasi nozione positiva di giustizia [4], anche se la Repubblica del Nagorno-Karabakh fonda le sue rivendicazioni di entità statale sul diritto all’autodeterminazione, ai sensi del diritto internazionale, in base al quale tale diritto riveste l’aspetto esterno secondo il quale il popolo ha il diritto di stabilire il proprio assetto politico ed economico sul piano internazionale e l’aspetto interno costituito dallo status politico, economico e sociale.

Soldati armeni

Due aspetti che posti assieme costituiscono il contenuto stesso del diritto ad autodeterminarsi [5].

Questo principio, inoltre, ha un’importanza molto significativa nelle relazioni fra le nazioni, in base al quale ogni Stato ha il diritto di decidere del suo statuto politico nella totale libertà e senza che si manifestino interferenze di altri soggetti di diritto internazionale e di perseguire senza vincolo di alcuna altra entità statale il proprio sviluppo economico, sociale e culturale [6].

In poche parole, l’autodeterminazione esterna consiste in un principio che afferisce al diritto di essere un’entità statale [7], che può avvenire attraverso la secessione, quale esistenza di un vero e proprio diritto [8], cioè a dire uno dei modi in cui si può ottenere l’autodeterminazione esterna al di fuori dei confini dello Stato preesistente [9].

Persino la stessa Corte Internazionale di Giustizia nel suo recente parere sulle Isole Chagos ha delineato che il principio di autodeterminazione ha carattere erga omnes e, quindi, rientrante nella sfera dello jus cogens e che tutti gli Stati hanno un interesse giuridico mediante la cooperazione con le Nazioni Unite […] per garantire il suo rispetto [10].

Mentre l’autodeterminazione interna afferisce all’esercizio dei diritti derivanti all’interno dei confini dello Stato [11].

A prescindere il contesto dei popoli sottoposti a dominio coloniale, su cui le Nazioni Unite sono state promotrice per la loro indipendenza [12], il diritto di un popolo al reclamo di autodeterminarsi per divenire uno Stato indipendente è stato riconosciuto nell’ambito di ordinamenti costituzionali di vari Stati sorti, ad esempio, con lo smembramento della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia negli anni novanta del secolo XX e che ha dato la possibilità di divenire membri dell’ONU [13].

Va tenuto, in aggiunta, presente che l’autodeterminazione esterna è limitata dal principio dell’integrità territoriale [14].

A causa del mancato riconoscimento, la Repubblica del Nagorno-Karabakh viene considerata una comunità sotto assedio, che non riesce a trovare uno sbocco, a livello politico e diplomatico, per entrare a fare parte della comunità internazionale come nuova entità statuale. Mentre, a livello economico, è supportata dalla vicina Armenia.

Tuttavia, non va trascurato il fattore militare, in base ad un memorandum di intesa sulla cooperazione militare tra il governo armeno e quello del Nagorno-Karabakh, in cui è stato sancito l’obbligo di coscrizione militare per gli armeni che vivono nella Repubblica del Nagorno-Karabakh [15].

Un momento dei combattimenti tra armeni e azeri

Di conseguenza, non si può non tenere in considerazione delle perplessità sull’indipendenza o sull’efficacia della Repubblica del Nagorno-Karabakh, dato che quest’ultima possa essere considerata una regione della Repubblica armena [16].

Al di là della costruzione giuridica e del riconoscimento dello Stato, esiste una realtà sociale e politica oggettiva in campo che consente di rintracciare caratteristiche simili a quelle dello Stato, accompagnato dal suo ordinamento giuridico.

Qualcuno ha posto in rilievo che l’isolamento della Repubblica del Nagorno-Karabakh ha portato all’autosufficienza radicata [17].

Ciò vale anche per il proprio sistema ordinamentale politico e giuridico che, pur seguendo in larga misura il modello armeno, vige, a prescindere dalle istituzioni e dai processi politici dello Stato armeno confinante, ma pone in risalto che l’entità nella sua sfera domestica misura fino all’effettiva statualità [18].

Il quadro giuridico internazionale del conflitto nella regione del Nagorno-Karabakh

La guerra del Nagorno-Karabakh, residuo delle divisioni di confine dopo la fine dell’URSS e il crollo dei suoi capisaldi comunisti [19], è un conflitto di genere etno-territoriale. È esplosa sullo status della provincia (область) autonoma in Azerbaigian, in gran parte popolata da armeni, nel tentativo di correggere una percepita ingiustizia storica risalente ai primi anni dell’Unione Sovietica [20].

Armenia manda carri armati di rinforzo al confine – Credi Tweeter

Dopo la caduta dell’Impero russo e la breve Repubblica transcaucasica, sul suo territorio sono emerse tre repubbliche: l’Armenia, la Georgia e l’Azerbaigian.

La Georgia e l’Azerbaigian dichiararono la loro indipendenza il 26 e 27 maggio 1918, senza nemmeno considerare la demarcazione delle frontiere con l’Armenia.

All’epoca l’Armenia stava combattendo contro la Turchia che avanzava nell’Armenia orientale, e né la Georgia, né l’Azerbaigian ritenevano che gli armeni avessero qualche possibilità contro la Turchia.

L’indipendenza dell’Armenia fu proclamata il 29 maggio 1918 a Tiflis [21].

Ne seguì una guerra tra l’Armenia e l’Azerbaigian che rivendicava i territori del Nakhichevan e del Nagorno-Karabakh, prevalentemente armeno.

Dopo che sia l’Azerbaigian che l’Armenia furono sovietizzati, i territori contesi furono inizialmente incorporati entro i confini dell’Armenia [22].

Nel 1923, tuttavia, il Nagorno-Karabakh insieme al Nakhichevan vennero riconosciute come appartenenti all’Azerbaigian [23].

Mentre i tentativi di non lasciare la questione nel dimenticatoio si sono rivelati inutili, gli slogan della glasnost, intesa trasparenza delle decisioni e delle informazioni elevata a sistema, e della perestroika, nel senso di ricostruzione o riforma radicale [24], di Gorbaciov hanno spinto a rivedere la situazione. I

l federalismo gorbacheviano fu inteso come un supporto alle rivendicazioni secessioniste in Unione Sovietica, anche nel Nagorno-Karabakh [25].

All’inizio del 1988, sono scoppiate proteste di massa nel Nagorno Karabakh e in Armenia per chiedere la riunificazione con l’Armenia, seguite da una petizione inviate a Gorbaciov e alle autorità centrali sovietiche per chiedere un cambiamento dello status [26].

Nel febbraio 1988, il Comitato regionale della NKAO (Nagorno-Karabakh Autonomous Oblast) ha votato per chiedere il trasferimento del Nagorno Karabakh in Armenia.

Lo stesso Comitato regionale della NKAO votò per chiedere l’annessione del Nagorno-Karabakh nella Repubblica armena, ma che venne respinto dal Soviet Supremo dell’Azerbaigian nel medesimo anno.

Dalla fine degli anni ottanta ai primi anni novanta del XX secolo, a causa di continue minacce contro la comunità armena, sono scoppiate violenze in diverse parti del Nagorno-Karabakh e dell’Azerbaigian, tra cui le sommosse (погром) degli armeni a Baku nel gennaio 1990, che hanno provocato l’intervento delle Forze militari sovietiche [27].

Le ricadute politiche sono continuate anche l’anno successivo, in cui, dopo che l’Azerbaigian aveva dichiarato la sua indipendenza dall’Unione Sovietica nell’agosto del 1991, la leadership della NKAO proclamava la nascita della Repubblica del Nagorno-Karabakh, e le attività militari su larga scala si sono intensificate dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, avvenuta a seguito degli accordi di Minsk e di Alma Ata [28].

Un referendum si è tenuto in Nagorno-Karabakh nel dicembre 1991, dove il 99,9% degli elettori ha approvato la secessione dall’Azerbaigian, anche se il referendum è stato boicottato dalla popolazione azera.

A questo seguì la proclamazione della propria indipendenza immediatamente dopo che l’Azerbaigian si era costituito in Stato indipendente nel 1992 [29].

Le violenze si sono trasformate in operazioni militari su larga scala, nel momento in cui le forze militari azerbaigiane occuparono più della metà del Nagorno-Karabakh.

La reazione degli armeni dopo un paio di anni non si è fatta attendere, reagendo con la cacciata degli azeri, riconquistando la maggior parte del Nagorno-Karabakh e sei regioni circostanti l’Azerbaigian nel 1994.

Con il Protocollo di Bishkek, che aveva preceduto l’accordo del «cessate il fuoco!» fra Armenia e Azerbaigian, venne determinato il fermo alle ostilità, a seguito della mediazione russa, nel 1994. Da allora, i colloqui di pace sono stati facilitati da un organo ad hoc dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), il Gruppo di Minsk, co-presieduto da Russia, Stati Uniti e Francia [30].

Una riunione del Gruppo di Minsk

Nonostante le sue origini nel movimento irredentista, la Repubblica del Nagorno-Karabakh è sempre intenzionata a raggiungere il proprio obiettivo di autodeterminarsi attraverso lo strumento del riconoscimento come un vero e proprio Stato indipendente e soggetto di diritto internazionale. Punto questo sul quale le autorità stesse ormai sono intenzionate come priorità assoluta ad ottenere al più presto il riconoscimento pieno della propria indipendenza [31].

La strategia di sicurezza nazionale dell’Armenia conferma anche il suo sostegno ad una soluzione che affermerebbe la realtà irreversibile dell’esistenza della Repubblica del Nagorno-Karabakh, senza fare alcun riferimento ad una prospettiva di unificazione [32].

Vi sono dei mutamenti razionali come il consolidamento della Repubblica del Nagorno-Karabakh, oltre la questione etnica del tutto condivisa [33].

L’entità è quasi monoetnica, con la questione del gran numero di sfollati interni azerbaigiani, sfollati e per lo più emarginati in Azerbaigian, oggetto dei negoziati all’interno del Gruppo di Minsk, istituito in seno al CSCE (oggi OSCE), non appena Armenia e Azerbaigian sono divenuti membri dell’attuale Organizzazione per la sicurezza e cooperazione in Europa nel 1992 [34].

Mentre la posizione dell’OSCE nei confronti della Repubblica del Nagorno-Karabakh sarà discussa in seguito, ci menziona che le diverse proposte presentate all’Armenia e all’Azerbaigian, comprese le soluzioni che dovevano essere cautamente adottate fase per fase, non hanno dato finora alcun risultato [35].

Il primo spiraglio di disgelo tra i due Paesi dopo anni di negoziati, che non avevano portato a esiti positivi, si è avuto nel 2018, quando in Armenia, a seguito della rivoluzione di velluto, vi è stato il rovesciamento del governo cosiddetto Karabakh clan e l’ingresso di un nuovo esecutivo più morbido [36].

Si sperava, in particolar modo Stati Uniti, Russia e Francia, co-presidenti del Gruppo Minsk [37], che, con i nuovi governi armeno e azerbaigiano, si arrivasse alla soluzione della controversia sulla questione del Nagorno-Karabakh, favorendo una svolta importante [38].

Secondo il governo della Repubblica del Nagorno-Karabakh, solo attraverso l’istituto del riconoscimento, accompagnato dalla presenza di un apparato di governo che esercita la sua sovranità con effettività e indipendenza [39], è possibile risolvere la controversia ed avere un impatto positivo.

Il problema conseguente sta nella ragione che ancora oggi nessuno Stato, quale membro della famiglia umana e attivo nella vita sociale internazionale, si è espresso nel riconoscere la Repubblica del Nagorno-Karabakh quale soggetto di diritto internazionale, ritrovandosi nell’alveo del non riconoscimento da parte della comunità internazionale o società internazionale qualificabile come fenomeno di élite.

Soltanto tre entità statali l’hanno riconosciuto come Stato sovrano e indipendente, ci si riferisce alle Repubbliche dell’Ossezia del Sud, dell’Abkhazia e della Transnistria [40], a loro volta non riconosciute dalla comunità internazionale, ad eccezione della Federazione Russa che procedette al riconoscimento delle prime due Repubbliche come pure il Nicaragua, il Venezuela, Nauru e Tuvalu e persino la Siria [41].

Per quanto concerne la Transnistria va subito detto che non ha alcun riconoscimento da Stati, considerata entità priva di effettività, anche se ha stipulato qualche Memorandum con la Moldova [42].

Si cita spesso la Convenzione sui diritti e doveri degli Stati, adottata a Montevideo nel dicembre 1933, dove viene espressa la figura dello Stato come soggetto di diritto internazionale che per essere tale deve possedere alcuni criteri come una popolazione permanente, un territorio definitivo, un governo e l’essere in grado di entrare in relazione con altri Stati [43] e ottenere ed essere dotato di personalità giuridica ai sensi del diritto internazionale [44]; da ciò si deve desumere se la Repubblica del Nagorno-Karabakh possa rientrare nelle caratteristiche della Convenzione di Montevideo. Con una popolazione di centomila e oltre abitanti, il governo controlla il territorio dell’ex NKAO e sette regioni che la circondano.

I suoi rapporti con la Repubblica armena, con altre entità che non hanno ancora avuto il riconoscimento sul piano internazionale e con le rappresentanze diplomatiche in alcuni Stati stanno a significare del suo essere in grado di allacciare rapporti interstatali.

Oltre all’Armenia, sono state istituite rappresentanze permanenti in Russia, Stati Uniti, Canada, Francia, Germania e Australia, costituendo, quindi, una rete di missioni diplomatiche [45].

Delle perplessità potrebbero essere poste in risalto sulla questione che la Repubblica del Nagorno-Karabakh possa rendere soddisfacenti tali caratteristiche, sebbene il problema del delineamento territoriale non ha ancora raggiunto una soluzione definitiva.

Nel caso in cui venga accolto il fatto che la Repubblica del Nagorno-Karabakh sia in grado effettivamente, avverbio quest’ultimo che costituisce la pietra angolare del sistema della soggettività internazionale [46], di possedere il controllo di un territorio definito, a prescindere dall’ambito della decolonizzazione dove sorsero nuove entità statali a partire dagli anni sessanta del secolo scorso [47], viene gettata un’ombra sulle origini della Repubblica del Nagorno-Karabakh nel contesto di un violento conflitto bellico.

A tal proposito, poiché da parte dei giudici della Corte Internazionale di Giustizia è mancato una netta propensione attorno al criterio dell’autodeterminazione nell’ambito post-coloniale [48], la stessa Corte, nel parere consultivo sulla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, ha ponderato il fatto che una nuova creazione di uno Stato sarebbe illegale se fosse una conseguenza dell’«uso illecito della forza o di altre gravi violazioni delle norme di diritto internazionale generale, in particolare quelli di carattere perentorio o imperativo [cioè di jus cogens[49], includerebbe il divieto dell’impiego dell’azione coercitiva armata [50].

L’utilizzo dello strumento militare può anche impedire il riconoscimento della situazione sul campo tanto da reputarlo come legittimo, nel senso che, come enuncia l’articolo 41 paragrafo 2, del Progetto di articoli sulla responsabilità dello Stato della commissione del diritto internazionale del 2001, «nessuno Stato riconoscerà come legittima una situazione creata attraverso una violazione grave sensi dell’articolo 40, né presterà aiuto o assistenza nel mantenere tale situazione».

Si tratta, in poche parole, del vincolo di non riconoscere come legittima una situazione costituita mercé una violazione grave, evitando di prestare aiuto o supporto al mantenimento di tale situazione [51].

La secessione riparatoria o come di rimedio, quale diritto di un popolo etnicamente distinto dal resto della popolazione a secedere dalla madrepatria a seguito di gravi violazioni dei diritti umani [52], ugualmente, non offre alla Repubblica del Nagorno-Karabakh un mero percorso verso la statualità per una serie di ragioni [53].

Innanzitutto, il principio stesso della secessione riparatoria non ha contorni chiari nel diritto internazionale[54].

Quindi, se uno Stato esclude o perseguita una parte della sua popolazione, allora quest’ultima potrebbe legittimamente secedere per formare una nuova realtà di governo.

La secessione riparatoriadetermina una elevata soglia per quei gruppi minoritari che reclamano il diritto alla secessione, a seguito delle violazioni dei diritti umani perpetrati dallo Stato in maniera discriminatoria nei riguardi di un’etnia minoritaria deve essere grave e massiccio [55].

Di conseguenza, il criterio per riconoscere questo diritto non è la mera esistenza di un popolo in termini culturali, ma l’esistenza di gravi e massicce violazioni dei diritti umani di tale popolo.

Inoltre, la secessione riparatoria potrebbe essere una soluzione eccezionale di ultima istanza che può essere invocata solo dopo che tutti i rimedi realistici ed efficaci per la soluzione pacifica siano stati esauriti [56].

In secondo luogo, per fare affidamento sul criterio della secessione riparatoria dovrebbe esserci soltanto eccezionalmente nel momento in cui i diritti dei membri del popolo oppresso vengono violati in modo grave e massiccio [57].

Inoltre, il riconoscimento internazionale del nuovo status di una nuova entità statale – anch’esso un campo di diritto internazionale viziata dall’incertezza – assumerebbe un carattere costitutivo anziché dichiarativo corroborato da una serie di complessità, nel senso che il genere costitutivo del riconoscimento statale è giustapposta a quella dichiarativo.

Sembra che la maggior parte degli studiosi preferisca la lettura dichiarativa.

Tuttavia, anche all’interno della lettura dichiarativa del riconoscimento statale, il non riconoscimento collettivo avrebbe un effetto costitutivo [58].

La posizione delle Organizzazioni internazionali sulla Repubblica del Nagorno-Karabakh

È ben noto che spetta solo ai soggetti di diritto internazionale come gli Stati usare lo strumento del riconoscimento nei riguardi di uno Stato, anche se talvolta gli Stati stessi possano agire attraverso l’Organizzazione internazionale (si prenda ad esempio quando si è trattato di riconoscere la nascita del Sud-Sudan dove tutti e ventisette Stati membri dell’UE hanno riconosciuto la sua indipendenza) [59],  tuttavia non va non tenuto presente che anche le stesse Organizzazioni internazionali, quali soggetti delle relazioni internazionali e con personalità giuridica [60], sono considerate nel loro insieme un indicatore fondamentale nei confronti di una nuova entità statale.

Una delle più importanti Organizzazioni internazionali [a carattere regionale] è costituto dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa [61], nata sulle ceneri della Conferenza sulla Sicurezza e sulla Cooperazione in Europa [62], con il compito di rafforzare la sicurezza e la stabilità tra tutti gli Stati membri [63], che è attrice in relazione al conflitto del Nagorno-Karabakh già dal 1992.

Il Gruppo dell’OSCE di Minsk, costituente la sola piattaforma centrale per la mediazione formale nel conflitto nella regione, con il compito di incoraggiare la ricerca di una risoluzione pacifica e negoziata tra le Parti in conflitto, venne istituito nel 1995, con lo scopo di applicare il cosiddette  «cessate il fuoco!» e lavorare con gli strumenti diplomatici per raggiungere un accordo politico sulla questione del Nagorno-Karabakh [64].

È vero che questo Gruppo istituito alla fine degli anni novanta del secolo scorso ha riscontrato delle difficoltà durante i negoziati, quale sforzo intellettuale per un progressivo reciproco avvicinamento tra le Parti contrapposte, senza ottenere alcun passo in avanti già agli inizi del XXI secolo [65].

Le ragioni sono state tante come la posizione rigida dei due Stati impegnati nel negoziato per trovare una soluzione pacifica, la scarsa buona fede o assenza di fiducia reciproca, durante i negoziati e la conciliazione pacifica dirette a promuovere l’esito positivo della controversia internazionale [66], sia tra lo Stato armeno e lo Stato azerbaigiano, sia tra la Francia, la Russia e gli Stati Uniti co-presidenti del Gruppo Minsk.

Nel 2009, Mosca adottava motu proprio di avviare dei negoziati al difuori del Gruppo Minsk, presentando una Dichiarazione agli armeni e agli azerbaigiani inerente alla soluzione del conflitto nella regione del Nagorno-Karabakh.

Nel documento si sottolineava l’esigenza di impegnarsi a trovare una soluzione politica al conflitto nel rispetto delle norme e dei principi sanciti dal diritto internazionale [67].

Mosca è stata anche mediatrice nel 2016, durante il conflitto bellico durato quattro giorni tra le forze militari dell’Azerbaigian e dell’Armenia, primo scontro armato di medie proporzioni, violando «cessate il fuoco!» deciso nel 1994, dopo un crescendo numero di tensioni tra le Parti culminato nell’estate del 2011 [68].

Non sono mancate delle perplessità espresse da qualcuno sul funzionamento del Gruppo Minsk a causa della scarsa capacità di raggiungere il traguardo risolutivo della questione afferente allo status della zona del Nagorno-Karabakh, riducendosi a svolgere la mansione di cuscinetto alle continue violazioni del «cessate il fuoco!», giusto per schivare il rischio di un’escalation violenta [69].

L’attenzione da parte dell’OSCE è concentrata più nella fase dei negoziati con le Parti in causa per trovare una soluzione pacifica, senza aver coinvolto le autorità governative della Repubblica del Nagorno-Karabakh, che sono state sempre partecipe al negoziato sino al 1998.

Con il veto del governo azerbaigiano nel coinvolgere i rappresentanti del Nagorno-Karabakh, si è deciso di tenerli fuori dalle discussioni politiche-diplomatiche.

Pur essendo stati posti fuori gioco, i membri esecutivi della Repubblica del Nagorno-Karabakhcontinuano a ribadire che, a prescindere il raggiungimento di una soluzione alla controversia tra i due Paesi della regione caucasica, l’esito del negoziato dovrà necessariamente passare dalla volontà degli armeni del Karabakh.

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha posto in risalto il problema dell’assenza dei rappresentanti armeni del territorio di Karabakh, asserendo la necessità dei membri dell’esecutivo della Repubblica del Nagorno-Karabakh ad essere pienamente partecipi al tavolo delle trattative [70].

Gli incontri tra Pashinyan e Aliev nel marzo 2019 hanno avuto luogo, senza che la Repubblica del Nagorno-Karabakh avesse indicato il fallimento dell’Armenia di cambiare il modus operandi nei negoziati. Non ci sono rappresentanze permanenti dell’OSCE in campo [71].

Con il consenso di entrambe le Parti si sono svolte due missioni di accertamento dei fatti da parte degli osservatori dell’organizzazione internazionale che si occupa di sicurezza e cooperazione nel contesto europeo. Non sono mancati incontri tra gli osservatori OSCE e i leader della Repubblica del Nagorno-Karabakh, che non ha comportato il riconoscimento del governo del Nagorno-Karabakh. Ciò può essere desunto dal fatto che, nel 2006, nella regione si svolse un referendum costituzionale per la modifica del nome della repubblica in Artsakh e per cambiare il sistema di governo da semi presidenziale a presidenziale, che è stato considerato inutile dal Presidente di turno, il Ministro degli Affari Esteri belga Karel De Gucht, dell’OSCE e, pertanto, non riconosciuto. Posizione condivisa anche dallo stesso Gruppo di Minsk che ha sottolineato nero su bianco che l’entità nota come Repubblica del Nagorno-Karabakh non gode da parte della comunità internazionale del riconoscimento quale stato sovrano [72].

Pertanto, come è stato evidenziato, ad esempio, dal vice rappresentante francese, durante il vertice del Consiglio permanente dell’OSCE, che le elezioni sia parlamentari che presidenziali sono da comprendere nella misura in cui gli escamotages dei membri della Repubblica del Nagorno-Karabakh di «organizzare democraticamente la vita pubblica della propria popolazione attraverso libere elezioni» possano implicare in maniera schietta la loro non rilevanza, evidenziando la mancanza di qualsiasi riconoscimento come entità statale della Repubblica del Nagorno-Karabakh [73].

Anche recentemente i co-presidenti del Gruppo Minsk hanno preso atto delle elezioni generali che si sono svolte il 31 marzo del 2020 nella regione del Nagorno-Karabakh, riconoscendo il ruolo della popolazione nel decidere del proprio destino, facendo notare che il Nagorno-Karabakh non è riconosciuto come Stato indipendente e sovrano da nessuno dei paesi co-presidenti o da qualsiasi altro Paese.

Pertanto, il Gruppo Minsk non ha considerato fondamentale l’esito delle elezioni, in quanto incidono sullo status giuridico del Nagorno-Karabakh e sottolineato che i risultati non pregiudicano in alcun modo lo status finale del Nagorno-Karabakh o l’esito dei negoziati in corso per portare una soluzione duratura e pacifica al conflitto del Nagorno-Karabakh [74].

Il Gruppo di Minsk, comunque, non avrebbe accettato i risultati del referendum costituzionale, ad esempio, del 2017, in quanto influenzano lo status giuridico del Nagorno-Karabakh, che può avvenire solo ed esclusivamente per il tramite del processo dei negoziati [75].

Malgrado le critiche fortemente negative nei riguardi dell’OSCE, si può dire che il punto di vista di altre importanti organizzazioni internazionali, come ad esempio le stesse Nazioni Unite, è stato quello di offrire supporto e rinvio a queste ultime dal momento delle ostilità sino alla situazione attuale.

Ormai, sono da ben settantacinque anni che la più importante organizzazione internazionale, come le Nazioni Unite, è considerata l’istituzione centrale nella condotta delle relazioni internazionali, non solo, ma anche responsabile della sicurezza internazionale che implica un comune interesse quello del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, trascendendo gli interessi particolari degli Stati sovrani [76], attraverso la piena applicazione delle norme internazionali che deve essere efficace e che il loro mancato adempimento è nocivo [77].

Si è già visto come l’OSCE ha statuito che è ancora presto per parlare di riconoscimento del Nagorno-Karabakh sino a quando sono in corso i negoziati tra le Parti in controversia. Della stessa posizione sono le Nazioni Unite che non riconoscono la Repubblica del Nagorno-Karabakh.

La stessa Carta dell’ONU precisa che per diventare membro delle Nazioni Unite è necessario prima di tutto che il candidato deve essere un vero e proprio Stato, poi essere pacifico, accettare gli obblighi della Carta ed essere in grado di adempierli e disposti a farlo.

Tutto ciò, tuttavia, deve passare dal giudizio dell’Organizzazione, mercé sia dell’Assemblea Generale sia del Consiglio di Sicurezza che hanno con ciò pieno potere discrezionale [78].

Pertanto, la Repubblica del Nagorno-Karabakh o dell’Artsakh, non avendo l’investitura di un vero e proprio Stato, non può rientrare nel processo di divenire membro delle Nazioni Unite.

Chiaramente, va detto che i due organi principali delle Nazioni Unite hanno sempre avuto interesse e attenzione della situazione conflittuale bellica e dello status della regione ponendo al centro la crisi dell’area del Caucaso del Sud.

Difatti, il comportamento dell’ONU dinanzi alla questione del Nagorno-Karabakh è stato ritenuto come contro ogni forma secessionistica, insistente sul reperimento di una soluzione politica sul fondamento della sovranità e integrità del territorio dello Stato interessato in modo da rendere favorevole l’autodeterminazione interna, comportante il diritto per il popolo a vedersi rappresentato, tutelato e garantito nelle istituzioni interne dello Stato di cui fa parte [79].

Agli inizi degli anni novanta del secolo scorso, il Consiglio di Sicurezza, a seguito della grave crisi delle ostilità belliche e l’avanzamento delle truppe della Repubblica d’Armenia nel territorio che circonda la regione del Nagorno-Karabakh, adottava una serie di risoluzioni in cui si faceva appello dell’immediato «cessate il fuoco!» e della ripresa del dialogo [80].

Leggendo i preamboli delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, ictu oculi, ci si accorge dell’approccio antisecessionista nel senso del rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian, come pure dell’inviolabilità dei confini internazionali e la non ammissibilità dell’impiego dell’azione coercitiva armata con l’obiettivo di acquisire lembi territoriali [81].

Inoltre, sempre le risoluzioni, riportano i distinguo degli armeni della regione del Nagorno-Karabakh dall’Armenia, come pure di invitare a porre fine alle ostilità, come pure l’appello all’Armenia di evitare di influenzare sull’etnia armena presente nella regione de quo.

Va, inoltre, aggiunto che la dichiarazione di indipendenza della Repubblica del Nagorno-Karabakh del gennaio 1992 non è stata notificata in nessuna risoluzione.

Nello stesso tempo, le risoluzioni facevano riferimento agli sforzi all’interno della CSCE (poi divenuto OSCE) per trovare una soluzione al conflitto, supponendo che ciò includesse lo status della regione. Da allora il conflitto non ha attirato l’attenzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU [82].

Anche l’Assemblea Generale, come il Consiglio di Sicurezza, autorizzata ad invitare le Parti a chiarire le rispettive posizioni e sminuire le divergenze e raccomandare una giusta soluzione [83], ha seguito la drammatica situazione nei territori dell’Azerbaigian, attraverso la prima risoluzione, non vincolante, nel 2006, sulla situazione dei territori occupati dell’Azerbaigian [84].

Con la seconda Risoluzione, la bozza di essa è stata presentata dalla delegazione azerbaigiana, adottata dall’assise generale delle Nazioni Unite, può essere considerata molto rilevante, sebbene sembrava richiedere azioni su problematiche che erano oggetto di negoziati in seno al Gruppo di Minsk.

Nella Risoluzione de quo non manca il pieno supporto dell’Assemblea Generale al Gruppo OSCE di Minsk, non solo, ma considera che sia necessario garantire sia alla comunità armena, sia a quella azerbaigiana della regione dell’Alto-Karabakh della Repubblica dell’Azerbaigian condizioni di vita normale, sicure ed eguali, al fine di consentire a questa zona regionale di dotarsi di un concreto sistema democratico di autogoverno all’interno della Repubblica [85].

Quanto scritto potrebbe indicare che l’autodeterminazione interna, relativa all’assetto interno di ciascuno Stato [86], dovrebbe essere il primo tassello rispetto all’autodeterminazione esterna. Il progetto di risoluzione sulla situazione nei territori occupati dell’Azerbaigian è stato approvato con un voto registrato di 39 voti a favore e 7 contrari, con 100 astensioni [87].

Una nota importante, nel leggere la Risoluzione, è costituita dal voto contrario della Francia, della Russia e degli Stati Uniti che sono co-presidenti del Gruppo OSCE di Minsk.

La ragione del loro voto contrario si basa sul fatto che i co-presidenti avevano proposto congiuntamente alle due Parti una serie di principi fondamentali per la soluzione pacifica del conflitto, a margine del Consiglio ministeriale dell’OSCE di Madrid nel novembre 2007, non avendo ritenuto che l’Azerbaigian dovesse presentare unilateralmente il documento risolutivo ai membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite [88].

Il caso del Nagorno-Karabakh sotto la lente dell’UE e del Consiglio Europeo.

L’Unione Europea (UE), quale organizzazione internazionale a carattere regionale, con personalità giuridica, è anche un attore fondamentale sullo scacchiere internazionale, tanto che si diede, con il Trattato di Maastricht, la propria politica estera e di sicurezza comune, divenendo parte della vita sociale internazionale [89].

Come tale, l’UE segue con attenzione l’evolversi della situazione nella regione del Nagorno-Karabakh. La sua posizione è chiara per quanto riguarda la situazione territoriale.

Difatti, essa affermava con la Dichiarazione della Presidenza a nome dell’Unione europea sulle prossime elezioni presidenziali nel Nagorno-Karabakh che «l’Unione europea conferma il proprio sostegno all’integrità territoriale dell’Azerbaigian e ricorda che non riconosce l’indipendenza del Nagorno-Karabakh.

L’UE ha sempre sottolineato la necessità di giungere a un accordo politico duraturo riguardo al Nagorno-Karabakh, che sia accettabile tanto per l’Armenia quanto per l’Azerbaigian.

L’UE non può considerare legittime le “elezioni presidenziali” previste per l’11 agosto 2002 nel Nagorno-Karabakh.

L’UE ritiene che tali elezioni non debbano avere alcuna incidenza sul processo di pace [90].

La politica dell’Unione, quindi, nei riguardi della Repubblica del Nagorno-Karabakh consiste nel non riconoscimento, accompagnato solo da un ruolo molto limitato, rispetto ad altre situazioni di conflitti dopo lo smembramento dell’URSS [91].

Anni prima che l’UE adottasse una posizione comune, con l’adozione di una serie di risoluzioni, circa la regione e il conflitto, il Parlamento europeo espresse un parere favorevole nei confronti della causa di autodeterminazione del gruppo armeno karabakhi in una serie di risoluzioni [92].

Le risoluzioni hanno fatto riferimento allo status storico di questa regione autonoma, alle divisioni arbitrarie del confine dell’allora Unione Sovietica che includevano degli inviti all’allora Segretario del Politburo sovietico Gorbaciov di ripristinare allo status quo ante l’autorità locale nella regione del Nagorno-Karabakh.

Una’ulteriore risoluzione sul sostegno al processo di pace nella regione del Caucaso, adottata nel 1999, menzionava nel preambolo che la regione autonoma del Nagorno-Karabakh ha dichiarato la propria indipendenza a seguito di analoghe dichiarazioni di indipendenza pronunciate da ex Repubbliche socialiste sovietiche dopo il crollo dell’URSS nel settembre 1991 [93].

Al tramonto del XX secolo, entrambi gli Stati, coinvolti nell’attuale controversia sulla questione del Nagorno-Karabakh, stabilirono relazioni bilaterali attraverso l’accordo di partenariato e cooperazione con le Comunità europee e i loro Stati membri e in nessuno di questi accordi è stato determinato la questione attorno al problema del Nagorno-Karabakh [94], ma soltanto l’obbligo da parte dei governi di Baku e Erevan di trovare una soluzione con mezzi pacifici o attraverso i buoni uffici di un terzo soggetto di diritto internazionale che avvicini le Parti, in modo da facilitare la soluzione negoziata della controversia [95].

Un ruolo molto importante per l’Unione viene sancito nel TUE (Trattato dell’Unione Europea) con la cosiddetta politica di vicinato (European Neighbourhood Policy), in base al quale essa è chiamata «a sviluppare con i Paesi limitrofi […] relazioni privilegiate al fine di creare uno spazio di prosperità e buon vicinato fondato sui valori dell’Unione […] e sulla cooperazione» [96].

Bisogna, inoltre, considerare che il pilastro della politica di vicinato comprende, oltre ai Paesi europei, anche quelli extraeuropei come l’Azerbaijan, l’Armenia e la Georgia, come viene enunciato nel documento di strategia della politica europea di prossimità [97].

I progetti d’azione dello strumento della politica di vicinato, reputati primi mezzi bilaterali di soft law, quali strumenti che scaturiscono da una concertazione negoziata fra i soggetti diritto internazionale, sono stati considerati scarsi in termini di impegno significativi sui processi democratici nell’entità esistente [98].

Si può quindi desumere che la posizione dell’UE mirava ad essere di supporto al quadro e al ruolo nel non parteggiare per nessuno dei contendenti senza impegnarsi con il governo della Repubblica del Nagorno-Karabakh. In qualche occasione, il Parlamento europeo, istituzione ed organo democratico che rappresenta i cittadini dell’Unione [99], assunse nel 2010, con una Risoluzione, una posizione molto dura soprattutto nei riguardi delle autorità armene, alle quali chiese energicamente di ritirare le proprie truppe da tutti i territori occupati dell’Azerbaigian.

Tale posizione cagionò non solo una dura protesta del governo armeno, ma anche una lacerazione con l’Armenia stessa [100].

Allo stesso modo, il partenariato orientale, che costituisce un’opportunità per gli armeni e gli azerbaigiani ed un’iniziativa regionale multilaterale all’interno della politica europea di vicinato, non ha aperto nuove prospettive di impegno con la Repubblica del Nagorno-Karabakh [101].

Per evitare che il governo della Repubblica del Nagorno-Karabakh restasse totalmente ai margini, è stato istituito da parte dell’UE l’ufficio del Rappresentante specialeper il Caucaso meridionale [102].

Quest’ufficio, dunque, è stato istituito per dare attuazione alla politica estera e di sicurezza comune e alla politica europea di sicurezza e difesa [103].

Negli anni, il mandato del Rappresentante speciale nella regione del Nagorno-Karabakh ha subito delle modifiche come, a titolo di esempio, quella di inserire il paradigma della condizione per far in modo che si sviluppi la risoluzione del conflitto [104], coinvolgendo, tra l’altro, il ruolo delle autorità della Repubblica del Nagorno-Karabakh [105].

La posizione dell’UE sul non riconoscimento è condizionata dal suo sostegno al quadro dei negoziati del Gruppo OSCE di Minsk.

I processi democratici sul territorio della Repubblica del Nagorno-Karabakh in modo coerente hanno attirato le critiche dell’UE.

Sebbene ciò possa essere contrastato con la politica dello standard prima dello status, adottato in relazione al Kosovo [106], la reazione dell’UE può essere spiegata con la sua volontà di evitare di legittimare le autorità locali per non influenzare i negoziati.

L’UE cerca di evidenziare che non riconosce il quadro giuridico e costituzionale che disciplina il processo elettorale della Repubblica del Nagorno-Karabakh.

Si potrebbe asserire che gli obiettivi dell’UE nelle relazioni internazionali, come quelli di portare interessi e valori di carattere generale, di portare la pace e la sicurezza, lo sviluppo sostenibile, la promozione della democrazia sino alla tutela dei diritti umani, sono circoscritti ai suoi rapporti con gli Stati [107].

Tali obiettivi si connettono unitamente ai principi e agli obiettivi su cui si fonda l’azione esterna dell’UE sulla scena internazionale [108]

Ancora oggi, leggendo nuovi trattati bilaterali sia con l’Armenia, sia con l’Azerbaigian, da una parte, e l’UE, dall’altra, si può constatare che la posizione resta sempre la stessa, senza che vi siano dei mutamenti afferenti alla questione della Repubblica del Nagorno-Karabakh.

A titolo di esempio, si può prendere l’accordo di partenariato globale e rafforzato tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica d’Armenia, dall’altra, firmato nel 2016, dove non si segnala alcun cambiamento [109].

Quanto scritto poc’anzi è riscontrabile nel paragrafo 11 dell’accordo bilaterale de quo, dove si nota la posizione dell’UE che resta invariata sulla risoluzione pacifica della controversia nel contesto dell’OSCE, sulla base dei principi di autodeterminazione e integrità del territorio [110].

Senza dimenticare anche la Repubblica dell’Azerbaigian, la quale si aspetta un supporto privo di ambiguità da parte dell’UE a favore della sua integrità territoriale nei negoziati per un nuovo accordo [111].

Sebbene non esistono, attualmente, frontiere di carattere commerciale tra la Repubblica armena e la Repubblica del Nagorno-Karabakh, il problema dei beni che hanno la loro provenienza dal Nagorno-Karabakh può essere considerato facendo, ad esempio, riferimento alle sentenze del Consiglio c. Front Polisario [112], del 2016, e Western Sahara Campaign UK c. Marocco [113], del 2018, emesse dai giudici della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Nella prima causa, si presume che l’applicazione territoriale degli accordi internazionali dell’UE sia compatibile con il diritto internazionale, nel senso che il principio di diritto internazionale applicabile a tutti i territori non autonomi e a tutti i popoli non ancora acceduti all’indipendenza, non solo, ma costituisce, inoltre, un diritto opponibile erga omnes nonché uno dei principi essenziali del diritto internazionale; nella seconda sentenza, invece, la Corte ha ritenuto che, in considerazione dello status separato e distinto riconosciuto al territorio del Sahara occidentale, in forza del principio di autodeterminazione, rispetto a quello di qualsiasi Stato, compreso il Regno del Marocco, i termini «territorio del Regno del Marocco» figuranti all’articolo 94 dell’accordo di associazione non possono […]essere interpretati in modo da includere il Sahara occidentale nell’ambito di applicazione territoriale di detto accordo.

Sebbene il raggiungimento dell’attuazione del diritto di autodeterminarsi, in questo caso, abbia dei contorni certi nel contesto del diritto internazionale generale [114], gli accordi tra l’Unione europea e il Regno del Marocco non avrebbero mai avuto concretezza sul lembo territoriale del Sahara occidentale per il mero fatto che il governo di Rabat considera il territorio del Sahara occidentale parte del Marocco [115].

Sulla base di questa tanto discussa e criticata presunzione di conformità degli accordi dell’Unione europea con il diritto internazionale generale, è possibile considerare che i rapporti commerciali tra l’UE e la Repubblica armena non possono essere applicati ai beni provenienti dal territorio del Nagorno-Karabakh, in quanto ciò violerebbe il diritto internazionale, in particolar modo il criterio dell’integrità territoriale.

Queste circostanze, nel contempo, possono essere distinte dal caso del Sahara occidentale, in cui il diritto a darsi un assetto politico, economico e sociale è stato già statuito in alcune risoluzioni adottate dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dalla giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia [116].

La stessa situazione può valere anche per la Repubblica azerbaigiana, in particolar modo nel campo delle relazioni commerciali con l’Unione, citando una decisione della Corte di Giustizia dell’UE sul caso concernente l’Accordo di associazione CE-Israele e Regime tariffario preferenziale concesso a favore dei prodotti originari di Israele. In essa, i giudici della Corte GUE, con sede a Lussemburgo, hanno asserito che «le autorità doganali dello Stato membro di importazione possono negare la concessione del beneficio del trattamento preferenziale […] quando le merci interessate siano originarie della Cisgiordania»[117], nel senso che i prodotti provenienti dalla Cisgiordania non rientrano nel beneficio del trattamento doganale preferenziale, concesso ai prodotti israeliani in base all’accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e lo Stato di Israele, dall’altra, firmato a Bruxelles il 20 novembre 1995.

Sebbene lo Stato azerbaigiano non esercita nessun genere di controllo sul territorio della Repubblica del Nagorno-Karabakh, qualsiasi nuovo Trattato bilaterale con l’Unione europea potrebbe determinare specifiche clausole di applicazione territoriale per precludere la sua applicazione sul suolo del Nagorno-Karabakh, analoghi ai Trattati di associazione con le repubbliche della Georgia e della Moldova[118].

Pertanto, oggi, la Repubblica del Nagorno-Karabakh non potrebbe beneficiare di alcun regime commerciale dei suoi prodotti attraverso l’Azerbaigian.

In considerazione delle potenzialità che l’UE può mettere in atto nel favorire i mutamenti sociali e politici, la sua mancanza di impegno non è vista in maniera positiva, dato il programma di democratizzazione della politica di vicinato e del partenariato orientale. L’unica cosa positiva attualmente in atto è il partenariato europeo per la risoluzione pacifica del conflitto sul Nagorno-Karabakh, quale misura della società civile per saldare sempre più la fiducia. Pertanto, questa Organizzazione regionale devo continuare a svolgere un ruolo maggiormente attivo, una volta che sia l’Armenia, sia l’Azerbaigian raggiungeranno la soluzione pacifica.

Anche un altro organismo internazionale a carattere regionale, che sta seguendo la crisi del Nagorno-Karabakh, è costituito dal Consiglio d’Europa, da non confondersi con il Consiglio europeo dell’UE, istituito nel 1949, composto dall’Assemblea Consultiva di cui fanno parte i parlamenti degli Stati membri, dal Comitato dei Ministri degli Affari esteri dei Paesi membri e dal Segretario Generale. Inizialmente, si pensava a un progetto che avesse come scopo quello di costituire la struttura unificante del continente europeo, come ebbe modo di dire il Primo ministro della Regno Unito Winston Churchill «we must build a kind of United States of Europe[119].

Prima che l’Armenia e l’Azerbaigian aderissero divenendo membri del Consiglio d’Europa nel 2001, impegnandosi a risolvere la controversia del Nagorno-Karabakh con strumenti pacifici, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa ha organizzato varie audizioni dal 1992, in cui sono stati partecipi i parlamentari armeni e azeri ed anche una delegazione del Nagorno-Karabakh, oltre ad una rappresentanza azera presente nella regione de quo, con la raccomandazione di instaurare un dialogo politico tra Armenia, Azerbaigian e Nagorno Karabakh [120].

Altri documenti, nel contempo, dell’Assemblea hanno distinto i cittadini armeni ubicati nel Nagorno-Karabakh nell’accogliere con favore la posizione influente dell’Armenia su quest’ultimo [121].

In aggiunta, sempre l’Assemblea ha fatto appello all’Azerbaigian di impegnarsi con le rappresentanze politiche dell’una e dell’altra comunità stanziate nel territorio del Nagorno-Karabakh e che l’assenza di esse non favorisce un processo negoziale forte [122].

In poche parole, si può dire che l’impegno da parte dell’Assemblea è molto attivo per la ricerca di una soluzione per l’autonomia entro i confini determinati dagli Stati.

A causa dell’impatto che il conflitto ha avuto sulla vita dei comuni cittadini, allora e anche oggi, dove i più elementari diritti umani venivano e vengono tuttora violati con un nuovo conflitto in atto tra i due Stati, non si poteva non tenere in ponderazione che il contenzioso sulle violazioni dei diritti della persona giungesse a un certo punto sul banco dei giudici delle Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, quest’ultima istituita nel 1959, formata da un numero di giudici pari a quello degli Stati membri del Consiglio d’Europa e, molto importante, deputata alla garanzia dei diritti dell’individuo e delle libertà fondamentali [123], dato che Armenia e Azerbaigian sono Stati membri.

In realtà, ai giudici di Strasburgo è già noto il comportamento che spesso hanno gli Stati di condotte poste da gruppi separatisti o parastatali, come questione non nuova.

Movimenti separatisti che sono presenti sul suolo di uno Stato che ha ratificato la Convenzione EDU, divenendone parte, ha posto i membri della Corte EDU a dover esaminare gli aspetti giuridici connessi allo status di tali gruppi e al loro relazionarsi con Stati terzi.

Violazioni sistematiche dei diritti della persona sono accompagnate anche dalle violazioni del diritto di proprietà, su cui la Corte EDU li ha delineati in due sentenze pubblicate nel 2015, il caso Chiragov et alias c. Armenia e il caso Sargsyan et alias c. Azerbaijan nella regione del Nagorno-Karabakh.

Diritto di proprietà che è tutelato dal Protocollo addizionale n.1 alla Convenzione EDU [124], in base al quale «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale»[125].

I cosiddetti casi interstatali per procura [126], leggendo la sentenza Chiragov et alias c. Armenia, in cui i giudici della Corte EDU di Strasburgo hanno stabilito che la Repubblica armena, attraverso la sua presenza militare e la fornitura di materiale bellico, è stata coinvolta nel conflitto del Nagorno- Karabakh, non solo, ma la stessa sentenza ha anche ribadito che l’Armenia ha avuto una decisiva e significativa influenza, ribadendo il diritto degli sfollati a poter far ritorno alle proprie abitazioni o luoghi residenziali abituali [127].

Nella sentenza della Corte EDU Sargsyan c. Azerbaijan, i giudici hanno evidenziato la questione della perdita di accesso alla proprietà in un territorio sotto il controllo azerbaigiano [128].

Va precisato che entrambe le sentenze sono state trattate dalla Corte EDU simultaneamente per la ragione che il nesso territoriale era il medesimo.

I giudici di Strasburgo hanno riscontrato, come si può evincere dal contenuto della sentenza Chiragov, che le autorità armene e quelle della Repubblica del Nagorno-Karabakh erano state fortemente integrate in tutte le questioni di fondamentali rilievi e che il governo della repubblica nagornokarabakhense a seguito del supporto di tipo militare, politico, finanziario e via discorrendo da parte delle autorità governative armene, tanto da esercitare un vero e concreto controllo incorniciato nel quadro dell’effettività sulla regione del Nagorno-Karabakh e nei territori limitrofi [129].

Su questa motivazione, la Corte di Strasburgo statuiva la giurisdizione armena sulla questione de quo, attirandosi le critiche della dottrina a seguito della confusione tra il tema afferente alla giurisdizione e la questione inerente alla responsabilità [130].

Sebbene il supporto a livello economico e militare armeno a favore del Nagorno-Karabakh non è posto in dubbio, le conclusioni dei giudici europei attorno all’integrazione politica, come pure quella di tipo giudiziario, sono molte a causa delle insufficienti basi probatorie, che includeva il fatto che determinati soggetti che avevano incarichi di alto livello nella Repubblica del Nagorno-Karabakh, hanno ottenuto dalle autorità armene incarichi politici presso gli apparati governativi dell’Armenia [131].

Alcuno di questi, d’altronde, possa essere indicativo dell’integrazione della struttura governativa nel contesto del sistema visto dall’angolatura politica e giuridica tra lo Stato armeno e della Repubblica del Nagorno-Karabakh, per una serie di ragioni.

Nella prima, nel momento in cui i politici della repubblica non riconosciuta dalla comunità internazionale hanno optato per seguire la carriera politica nello Stato dell’Armenia, il governo armeno è consapevole che non ha un controllo tangibile sulla formazione del parlamento e del governo del Nagorno-Karabakh, ma può solo esprimere delle indicazioni informali dato, giacché la sua influenza è ritenuta molto limitata [132], a seguito di incomprensioni fra le autorità politiche armene e quelle del Nagorno-Karabakh.

Nella seconda attinente alle concessioni di passaporti armeni ai cittadini che abitano bella regione nagornokarabakhense, non s’intreccia con il diritto di esercitare l’appartenenza e partecipazione politica nella regione considerata.

Nella terza, modellare delle leggi sulla base del sistema legislativo dello Stato armeno non significa una assenza di proprietà sul processo di formazione legislativa.

Piuttosto, in circostanze di isolamento internazionale, il sistema giuridico armeno è considerato l’unico sbocco che offre un esempio, visto che molte leggi degli Stati sorti dallo smembramento territoriale dell’ex Unione Sovietica erano esse stesse un prodotto di codici da seguire, come è accaduto, ad esempio con la Repubblica d’Irlanda che storicamente ha seguito e si è basata sulle leggi della Gran Bretagna come modelli da tenere in considerazione.

*Esperto in Diritto internazionale

NOTE

1] The Armenian Weekly, 21 febbraio 2017.

[2] N. RONZITTI, Il Conflitto del Nagorno-Karabakh e il diritto internazionale, Giappichelli, Torino, 2014, p.20 ss.; M. MANCINI, Statualità e non riconoscimento nel diritto internazionale, Giappichelli, Torino, 2020, p.139.

[3] J. O’LOUGHLIN, V. KOLOSSOV, G. TOAL, Inside the Post-Soviet de Facto States: a Comparison of Attitudes in Abkhazia, Nagorny Karabakh, South Ossetia, and Transnistria, in Eurasian Geography and Economics, 2014, p.423 ss.

[4] B. HARZL, The Law and Politics of Engaging De Facto States: Injecting New Ideas for an Enhanced EU Role, in Centre for Transatlantic Relations, 2018, p.1 ss.

[5] G. B. STARUSCHENKO, Le pricipe de l’autodetermination des peuples et des nations dans la politique éntrangère de l’état soviétique, Moscou 1964, p.146; G. PALMISANO, Nazioni Unite e autodeterminazione interna. Il principio alla luce degli strumenti rilevanti dell’ONU, Giuffrè, Milano, 1997, p.11 ss.

[6] U. VILLANI, Autodeterminazione dei popoli e tutela delle minoranze nel sistema delle Nazioni Unite, in Minoranze, laicità, fattore religioso. Studi di diritto internazionale e di diritto ecclesiastico comparato, R. COPPOLA, L. TROCCOLI (a cura di), Cacucci, Bari, 1997, p.87 ss.

[7] J. CRAWFORD, The Creation of States in International Law, Oxford University Press, Oxford, 2007, p.107 ss.

[8] A. TANCREDI, La secessione nel diritto internazionale, Cedam, 2001, p.13 ss.

[9] A. GIOIA, Diritto Internazionale, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019, p.132 ss.

[10] C. FOCARELLI, Diritto Internazionale, Wolters Kluwer Cedam, Milano, 2019, p.66 ss.; S. ALLEN, Self-determination, the Chagos Advisory Opinion and the Chagossians, in International & Comparative Law Quarterly, 2020, p.203 ss.

[11] A. SCAFFIDI, Il diritto all’autodeterminazione dei popoli. La dimensione interna, Key Editore, Milano, 2018, p.20.

[12] B. CONFORTI, C. FOCARELLI, Le Nazioni Unite, Wolters Kluwer Cedam, Milano, 2020, p.450 ss.

[13] E. GRECO, La gestione delle crisi in Europa dopo la guerra fredda: il caso jugoslavo, in Jugoslavia e Balcani: una bomba in Europa, R. SPANÒ(a cura di), Franco Angeli, Roma, 1992, p.55 ss.; R. McCORQUODALE, Self-Determination: A Human Rights Approach, in International and Comparative Law Quarterly, 1994, p.857 ss.; S. MARCHISIO, L’ONU. Il diritto delle Nazioni Unite, Il Mulino, Bologna, 2000, p.111.

[14] In tema si veda in Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, Milano, vol. V, 2012, p.117 ss.

[15] D. MALYSHEVA, The conflict in Nagorno-Karabakh: its impact on security in the Caspian region, in Stockholm International Peace Research Institute YearBook, 2001, p.257 ss.

[16] H. KRÜGER, Nagorno-Karabakh, in C. WALTER, A. Von UNGERN-STERNBERG, K. ABUSHOV (eds.), Self-Determination and Secession in International Law (OUP, Oxford, 2014), 230 ss.; D. LYNCH, Separatist States and Post-Soviet Conflicts, in International Affairs, 2002, p.831 ss.

[17] M. GRONO, Isolation of Post-Soviet Conflict Regions Narrows the Road to Peace, in International Crisis Group, del 23 November 2006.

[18] E. RINGMAR, On the Ontological Status of the State, in European Journal of International Law, 2017, p.409 ss.

[19] G. RULLI, URSS un impero in frantumi, Edizioni Fratelli Laterza, Bari, 1991, p. 17 ss.; E. DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali. Dalla fine della guerra fredda a oggi, Editori Laterza, Bari-Roma, 2016, p.101ss.

[20] S. ROMANO, La pace perduta. Guerre e crisi nel terzo dopoguerra dalla caduta del Muro al crollo delle Twin Towers, TEA Editrice, Milano, 2001, p.103 ss.

[21] C. J. WALKER, Armenia: The Survival of a Nation, Croom Helm, London, 1980, p.246 ss.

[22] G. LIBARIDIAN, The Karabakh File, Cambridge, MA, Zoryan Institute, 1988, p.34 ss.

[23] N. RONZITTI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2014, p.6 ss.

[24] G. BOFFA, Dall’URSS alla Russia. Storia di una crisi non finita, Editore Laterza, Bari, 1995, p.186 ss.

[25] J. HUGHES, G. SASSE, Comparing Regional and Ethnic Conflicts in Post-Soviet Transition States, in Regional & Federal Studies, 2001, p.19 ss.

[26] P. LELLOUCHE, Il nuovo mondo. Dall’ordine di Yalta al disordine delle Nazioni, Il Mulino, Bologna, 1992, p.165 ss.; D. MILLER, L. TOURYAN, Armenia: Portraits of Survival and Hope, University of California Press, Berkeley, 2003, p.37 ss.

[27] T. DE WAAL, Black Garden: Armenia and Azerbaijan through Peace and War, in New York University Press, New York, 2003, p.89 ss.; F. ARDILLIER-CARRAS, Sud-Caucase: conflit du Karabagh et nettoyage ethnique, in Bulletin de l’Association de Géographes Français, 2006, p.409 ss.

[28] C. ZANGHÌ, Diritto delle Organizzazioni Internazionali, Giappichelli, Torino, 2013, p.135 ss.

[29] N. RONZITTI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2014, p.69 ss.

[30] Azerbaijan:Turning Over a New Leaf ?, in International Crisis Group, Europe Report n.156, 13 maggio 2004, p.6.

[31] Cfr. La posizione del Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh è reperibile e consultabile in http://www.nkr.am/en/international-recognition-of-karabakh.

[32] J. KUCERA, Pashinyan calls for unification between Armenia and Karabakh, in https://eurasianet.org/.

[33] E. POKALOVA, Conflict Resolution in Frozen Conflicts: Timing in Nagorno-Karabakh, in Journal of Balkan and Near Eastern Studies, 2015, p.68 ss.

[34] N. RONZITTI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2014, p.51ss.

[35] I ministri degli Stati Uniti, della Francia e della Russia hanno presentato una versione preliminare dei Principi fondamentali per un accordo con l’Armenia e l’Azerbaigian nel novembre 2007 a Madrid.

I Principi fondamentali riflettono un ragionevole compromesso basato sui principi dell’Atto finale di Helsinki di non uso della forza, integrità territoriale e parità di diritti e autodeterminazione dei popoli.

I Principi fondamentali chiedono, tra l’altro: 1) il ritorno dei territori che circondano il Nagorno-Karabakh al controllo dell’Azerbaigian; 2) uno status provvisorio per il Nagorno-Karabakh che fornisce garanzie per la sicurezza e l’autogoverno; 3) un corridoio che collega l’Armenia al Nagorno-Karabakh; 4) la futura determinazione dello status giuridico finale del Nagorno-Karabakh attraverso un’espressione giuridicamente vincolante di volontà; 5) il diritto di tutti gli sfollati interni e dei rifugiati di tornare nei loro ex luoghi di residenza; 6) garanzie di sicurezza internazionali che includerebbero un’operazione di mantenimento della pace. L’approvazione di questi principi fondamentali da parte dell’Armenia e dell’Azerbaigian consentirà la stesura di una soluzione globale per garantire un futuro di pace, stabilità e prosperità per l’Armenia e l’Azerbaigian e la regione in generale (Dichiarazione del Gruppo Minsk dell’OSCE in https://www.osce.org/mg/51152).

In tema si veda O. GEUKJIAN, Ethnicity, Nationalism and Conflict in the South Caucasus: Nagorno-Karabakh and the Legacy of Soviet Nationalities Policy, Routledge, London, 2012, p.34 ss.

[36] I. GURBANOV, Ice is Melting for Nagorno Karabakh, 14 gennaio 2019, reperibile e consultabile nella seguente: https://www.euractiv.com/section/azerbaijan/opinion/ice-is-melting-for-nagorno-karabakh/.

[37]  G. GOTEV, France, Russia and US ‘Working Closely Together’ on Nagorno- Karabakh, 20 febbraio 2019, reperibile e consultabile in https://www.euractiv.com/section/azerbaijan/news/france-russia-and-usa-working-closely-together-on-nagorno-karabakh/.

[38] J. KUCERA, First Formal Aliyev-Pashinyan Meeting Deemed a Success, 30 Marzo 2019, reperibile e consultabile in https://eurasianet.org/first-formal-aliyev-pashinyan-meeting-deemed-a-success.

[39] U. LEANZA, I. CARACCIOLO, Il Diritto internazionale: diritto per gli Stati e Diritto per gli individui, Giappichelli, Torino, 2012, p.34 ss.

[40] J. KER-LINDSAY, Engagement without Recognition: The Limits of Diplomatic Interaction with Contested States, in International Affairs, 2015, p.1 ss.; N. CASPERSEN, Collective Non-recognition of States, in G. VISOKA, J. DOYLE, E. NEWMAN (eds.), Routledge Handbook of State Recognition, Routldge, London, 2019, p.234 ss.

[41] M. MANCINI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2020, p.71 ss.

[42] A. TANCREDI, op. cit., Cedam, 2001, p.440 ss.; N. RONZITTI, Introduzione al Diritto Internazionale, Giappichelli, Torino, 2016, p.50; M. MANCINI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2020, p.148.

[43] S. MARCHISIO, Corso di Diritto Internazionale, Giappichelli, Torino, 2017, p.185 ss.; A. GIOIA, op. cit., Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019, p.131.

[44] G. ARANGIO-RUIZ, La persona internazionale dello Stato, Utet-Giuridica, Milano, 2014, p.29 ss.; J. VIDMAR, The Concept of the State and its Right of Existence, in Cambridge Journal of International and Comparative Law, 2015, p.547 ss.

[45] In tema è possibile reperire e consultare la seguente pagina web, dove vi è un elenco di sedi diplomatiche: http://www.karabakh.it/sito/home/index.php?option=com_content&view=article&id=82:istituzioni&Itemid=194.

[46] L’espressione effettività è uno dei requisiti, assieme a quello dell’indipendenza, che danno vita alla soggettività di diritto internazionale allo Stato. L’effettività, difatti, consiste nell’esistenza di un territorio entro il quale lo Stato esercita effettivamente il potere di governo. In tema F. M. PALOMBINO, Introduzione al diritto internazionale, Editori Laterza, Bari-Roma, 2019, p.6.

[47] B. CONFORTI, C. FOCARELLI, Le Nazioni Unite, Wolters Kluwer – Cedam, Milano, 2020, p.448 ss.

[48] In primo luogo, una dichiarazione di indipendenza non è di per sé disciplinata dal diritto internazionale, non è necessario valutarne la legalità, in quanto tale, al riguardo. Sono le conseguenze di questa dichiarazione e la pretesa di creare un nuovo stato che essa esprime ad essere legali.

Se tale rivendicazione soddisfa le condizioni prescritte dal diritto internazionale, in particolare in situazioni di decolonizzazione o nel caso di popoli soggetti a soggezione, dominazione e sfruttamento straniero, può incoraggiarla, ma, se è contrario al diritto internazionale, può disapprovarlo, persino dichiararlo illegale, come è stato il caso della Rhodesia meridionale e del Katanga negli anni Sessanta del secolo scorso. In secondo luogo, cercando di stabilire l’esistenza di un diritto, la Corte avrebbe potuto aiutare a chiarire la portata e il contenuto giuridico del diritto alla autodeterminazione nella sua concezione postcoloniale e la sua applicabilità al caso specifico del Kosovo.

In passato, la Corte si è adoperata per una migliore comprensione della portata del diritto all’autodeterminazione in situazioni di decolonizzazione o in casi di soggezione o occupazione straniera.

Avrebbe potuto cogliere anche l’opportunità che le viene offerta per definire la portata e il contenuto normativo del diritto all’autodeterminazione nell’era postcoloniale, e quindi contribuire, in particolare, a prevenire gli abusi di questo importante diritto da parte di gruppi che cercano di promuovere divisioni etniche e tribali all’interno degli stati esistenti(Opinione distinta del giudice Yusuf, in conformità al diritto internazionale della dichiarazione unilaterale di indipendenza nei confronti del Kosovo, Advisory Opinion, [2010] ICJ Rep. 403, para 5, p.620). in tema si veda H. HANNUM, The Advisory Opinion on Kosovo: An Opportunity Lost, or a Poisoned Chalice Refused?, in Leiden Journal of International Law, 2011, p.155 ss.; E. MILANO, Il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia sulla dichiarazione di indipendenza del Kosovo: quale istruzione per l’uso, in http://www.sidi-isil.org/wp-content/uploads/2010/02/Milano-su-Kosovo.pdf.

[49] Diversi partecipanti hanno invocato risoluzioni del Consiglio di sicurezza che condannano particolari dichiarazioni di indipendenza: si vedano, tra l’altro, le risoluzioni 216 (1965) e 217 (1965) del Consiglio di sicurezza, riguardanti la Rhodesia del Sud; Risoluzione 541 (1983) del Consiglio di sicurezza, sulla parte settentrionale di Cipro; e la risoluzione 787 (1992) del Consiglio di sicurezza, riguardante la Republika Srpska.

La Corte rileva, tuttavia, che in tutti questi casi il Consiglio di sicurezza stava prendendo una decisione in merito alla situazione concreta esistente al momento in cui tali dichiarazioni di indipendenza furono rese; l’illegalità allegata alle dichiarazioni di indipendenza derivava quindi non dal carattere unilaterale di tali dichiarazioni in quanto tali, ma dal fatto che esse erano, o sarebbero state, connesse all’uso illecito della forza o ad altre violazioni eclatanti delle norme di carattere internazionale generale. diritto, in particolare quelli di carattere perentorio (ius cogens). Nel contesto del Kosovo, il Consiglio di sicurezza non ha mai preso questa posizione. Il carattere eccezionale delle risoluzioni sopra elencate sembra alla Corte confermare che nessun divieto generale di dichiarazioni unilaterali di indipendenza può essere dedotto dalla prassi del Consiglio di Sicurezza. (Advisory Opinion, [2010] ICJ, para.81, p.437).

[50] J. A. GREEN, Questioning the Peremptory Status of the Prohibition of the Use of Force, in Michigan Journal of International Law, 2011, p.215 ss.

[51] S. MARCHISIO, op. cit., Giappichelli, Torino, 2017, p.67; J, CRAWFORD, Brownlie’s Principles of Public International Law, Oxford University Press, Oxford, 2019, p.134 ss.

[52] F. OKAGUA, La dottrina della secessione riparatoria nel diritto internazionale: capire il diritto delle minoranze etniche, Edizioni Sapienza, Roma, 2020, p. 23 ss.

[53] P. VAN Elsuwege, The Principle of Self-determination in Relations between the EU and its Neighbours: Between Realpolitik and Respect for International Law, in Zeitschrift Fur Offentliches Recht, 2018, p.747 ss.

[54] K. DEL MAR, The Myth of Remedial Secession, in Duncan French (ed.), Statehood and SelfDetermination: Reconciling Tradition and Modernity in International Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2013, p.79 ss.; M. CRAVEN, R. S. PARFITT, Statehood, Self-Determination and Recognition, in M. EVANS (ed.), International Law, Oxford University Press, Oxford, 2018, p.177 ss.

[55]

I. CISMAS, Secession in Theory and Practice: The Case of Kosovo and Beyond, in Goettingen Journal of International Law, 2010, p.531 ss.

 

[56] H. HANNUM, Rethinking Self-Determination, in Virginia Journal of International Law, 1993, p.46 ss.; J. DUGARD, D. RAIČ, The role of Recognition in the law and practice of secession, in M.G. KOHEN, (ed.), Secession. International Law Perspectives, Cambridge University Press, Cambridge, 2006, 109 ss.

[57] C. FOCARELLI, Trattato di Diritto Internazionale, Utet-Giuridica, Torino, 2015, p.123 ss.

[58] A. CASSESE, International Law, Oxford University Press, Oxford, 2004, 2° edizione p.73 ss.; S. TALMON, The Constitutive v. the Declaratory Theory of Recognition: Tertium Non Datur?, in British Yearbook of International Law, 2004, p.101 ss.

[59] V. POP, EU countries recognise South Sudan, 11 luglio 2011, in https://euobserver.com/foreign/32610.

[60] G. BISCOTTINI, Il diritto delle organizzazioni internazionali. La teoria dell’organizzazione, Cedam, Padova, 1981, p.4 ss.; P. PENNETTA, S. CAFARO, A. DI STASI, I. INGRAVALLO, G. MARTINO, C. NOVI, Diritto delle Organizzazioni Internazionali, Wolter Kluwer, Milano, 2018, p.111 ss.

[61] U. DRAETTA, Principi delle organizzazioni internazionali, Giuffrè, Milano, 1997, p.33.

[62] M. C. MAGLIETTA, La trattativa CSCE ed i principi dell’atto finale di Helsinky, in V. TORNETTA (a cura di) Verso l’Europa del 2000. Il processo CSCE da Helsinki a Vienna, Edizioni Fratelli Laterza, Bari, 1989, p.97 ss.

[63] U. LEANZA, I. CARACCIOLO, op. cit., Giappichelli, Torino, 2012, p.87.

[64] Cfr. il documento del Mandato dei copresidenti della conferenza sul Nagorno Karabakh sotto gli auspici dell’OSCE DOC. 525/95 del 23 marzo 2015, in https://www.osce.org/files/f/documents/f/f/70125.pdf.

[65] A. MARESCA, Dizionario giuridico diplomatico, Giuffrè, Milano, 1991, p.369; N. MYCHAJLYSZYN, The OSCE and Regional Conflicts in the Former Soviet Union, in Regional and Federal Studies, 2010, p.194 ss.; A. SHIRINYAN, Karabakh Discourses in Armenia Following the Velvet Revolution, in Caucasus Edition, Journal of Conflict Transformation, 2018, p.140 ss.

[66] U. VILLANI, La conciliazione nelle controversie internazionali, Jovene Editore, Napoli, 1989, p.101 ss.

[67] L. FULLER, Moscow Declaration’ A Victory For Armenia, 3 novembre 2008, reperibile e consultabile in https://www.rferl.org/a/Moscow_Declaration_A_Victory_For_Armenia/1337592.html.; C. GASPARYAN, Il 2 Novembre è stata firmata a Mosca una dichiarazione trilaterale riguardante il processo di pace in Nagorno Karabakh. C’è accordo per una soluzione pacifica del conflitto. Esclusi Turchia e Iran, in Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropea, 10 novembre 2008.

[68] M. LORUSSO, Nagorno-Karabakh, la guerra dei quattro giorni, 13 aprile 2016, reperibile e consultabile in https://www.affarinternazionali.it/2016/04/nagorno-karabakh-la-guerra-dei-quattro-giorni/; J. FARCY, Russia Senses Opportunity in Nagorno-Karabakh Conflict, 19 aprile 2016, in https://www.ft.com/content/3d485610-0572-11e6-9b51-0fb5e65703ce.

[69] B. COPPIETERS, Three Types of Forgetting: on Contested States in Europe, in Journal of Balkan and Near Eastern Studies, 2018, p.578 ss.

[70] L’Intervento del primo Ministro della Repubblica dell’Armenia Nikol Pashinyan può essere reperibile e consultabile nella seguente pagina: https://www.primeminister.am/en/Artsakh-visits/item/2019/03/11/Nikol-Pashinyan-visit-to-Stepanakert/.

[71] Rapporto della Missione conoscitiva dell’OSCE (FFM) nei territori occupati dell’Azerbaigian che circonda il Nagorno-Karabakh, avvenuta dal 30 gennaio al 5 febbraio del 2005,reperibile e consultabile nella seguente pagina riportata in http://www.partnership.am/res/General%20Publications_Eng/050317_osce_report1.pdf; si veda anche Rapporto della missione di valutazione sul campo dei copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE nei territori occupati dell’Azerbaigian che circonda il Nagorno-Karabakh, dell’11 dicembre 2006, disponibile in https://www.osce.org/files/f/documents/7/d/76209.pdf.

[72] «Tale referendum è contro-produttivo rispetto all’attuale processo di soluzione del conflitto, il quale – come è stato riconosciuto dalle parti – ha recentemente mostrato importanti progressi. Non accogliamo positivamente un’azione che potrebbe vanificare i progressi realizzatisi nell’attuale contingenza». Si veda in OSCE: preoccupazione a seguito della convocazione del referendum costituzionale per il Nagorno-Karabakh, 15 dicembre 2006, consultabile in https://unipd-centrodirittiumani.it/it/news/OSCE-preoccupazione-a-seguito-della-convocazione-del-referendum-costituzionale-per-il-Nagorno-Karabakh/669.

[73] Déclaration de M. Didier Gonzalez, représentant permanent adjoint, au Conseil Permanent n°811 du 27 mai 2010, in https://www.osce.org/files/f/documents/1/8/68325.pdf.

[74] Comunicato stampa dei Co-presidenti OSCE del Gruppo Minsk sulle elezioni presidenziali e parlamentari, disponibile, in https://www.osce.org/minsk-group/449410, marzo 2020.

[75] Cfr., Artsakh Votes for New Constitution, Officially Renames the Republic, in The Armenian Weekly, del 21 febbraio 2017, disponibile in https://armenianweekly.com/2017/02/21/artsakh-votes-for-new-constitution-officially-renames-the-republic/.

[76] M. HOWARD, The historical development of the UN’s role in international security, in United Nations, divided world, A. ROBERTS, B. KINGSBURRY (edits), Clarendon Press, Oxford, 1993, p.63 ss.

[77] Lettera Enciclica del Sommo Pontefice Francesco sulla Fraternità e l’Amicizia Sociale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2020, p.66.

[78] «1) Possono diventare Membri delle Nazioni Unite tutti gli altri Stati amanti della pace che accettino gli obblighi del presente Statuto e che, a giudizio dell’Organizzazione, siano capaci di adempiere tali obblighi e disposti a farlo. 2) L’ammissione quale Membro delle Nazioni Unite di uno Stato che adempia a tali condizioni è effettuata con decisione dell’Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza» (articolo 4 della Carta delle Nazioni Unite). In tema si veda S. MARCHISIO, L’ONU. Il diritto delle Nazioni Unite, Il Mulino, Bologna, 2000, p.96 ss.; J. P. COT, A. PELLET, M. FORTEAU, La Charte des Nations Unies. Commentaire article par article, Economica, Paris, vol. I, 2005, p.517 ss.; B. CONFORTI, C. FOCARELLI, op. cit., Wolters Kluwer Cedam, Milano, 2020, p.32 ss.

[79] A. SINAGRA, P. BARGIACCHI, Lezioni di diritto internazionale pubblico, Giuffrè, Milano, 2009, p.100.

[80] Il conflitto Armenia – Azerbaigian. la questione del Nagorno Karabakh (NK), breve analisi con le risoluzioni adottate nel 1993 dal Consiglio di Sicurezza allegate nel dossier n.31 pubblicato nel mese di ottobre 2020, in http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01178159.pdf.

[81] Ecco le risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza: Resolution 822 (1993), 30 aprile1993, S/RES/822 (1993); Resolution 853 (1993), 29 luglio 1993, S/RES/853 (1993); Resolution 874 (1993), 14 ottobre 1993, S/RES/874 (1993).

[82] R. AIELLO, Il conflitto Armenia-Azerbaigian: le pulizie etniche, gli interessi economici e geopolitici e una guerra che non è mai finita, 19 ottobre 2020, in https://www.valigiablu.it/nagorno-karabakh-conflitto-armenia-azerbaigian/.

[83] A. CASSESE, Diritto Internazionale. I lineamenti, Il Mulino, Bologna, 2003, p.333 ss.

[84] La risoluzione A/RES/60/285 del 15 settembre 2006 è disponibile in https://undocs.org/fr/A/RES/60/285.

[85] Si veda la Risoluzione A/RES/62/243 adottata dall’Assemblea Generale il 14 maggio 2008, il paragrafo 4, disponibile in https://undocs.org/fr/A/RES/62/243.

[86] T. TREVES, Diritto Internazionale. Problemi fondamentali, Giuffrè, Milano, 2005, p.169 ss.

[87] documento A/62/L.42.

[88] Cfr. il Verbatim, General Assembly adopts resolution reaffirming territorial integrity of azerbaijan, demanding withdrawal of all armenian forces, GA/10693 dell’Assemblea Generale, del 14 marzo 2008, disponibile in https://www.un.org/press/en/2008/ga10693.doc.htm.

[89] F. FABBRINI, Introduzione al Diritto dell’Unione Europea, Il Mulino, Bologna, 2018, p.285 ss.

[90] Dichiarazione della Presidenza a nome dell’Unione europea sulle prossime “elezioni presidenziali” nel Nagorno-Karabakh n.11463/02 (Presse 233) del 2 agosto 2002, disponibile e consultabile in https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/PESC_02_105.

[91] L. SIMÃO, The Problematic Role of EU Democracy Promotion in Armenia, in Communist and Post Communist Studies, 2012, 193 ss.

[92] European Parliament Resolution on the situation in Soviet Armenia [1988] Official Journal C 235; Resolution on the situation in Armenia [1990] Official Journal C 38/31; Resolution on the blockade of Armenia and the human rights situation there [1991] Official Journal C 106/121; Resolution on the situation in Armenia and Azerbaijan [1991] Official Journal C 158/243.

[93]

La Risoluzione del Parlamento europeo sul sostegno al processo di pace nella regione del Caucaso è disponibile in Gazzetta ufficiale n. C 175 del 21giugno 1999, p.251.

[94] Cfr. Accordo di partenariato e cooperazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da un lato, e la Repubblica di Armenia, dall’altro, in Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee L.239, del 9 settembre 1999; Accordo di partenariato e cooperazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da un lato, e la Repubblica di Azerbaijan, dall’altro, in Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, L.246 del 17 settembre 1999.

[95] N. GHAZARYAN, ENP and Southern Caucasus: Meeting Expectations?” in S. WOLFF, R. WHITMAN (eds.), The European Neighbourhood Policy in Perspective: Context, Implementation and Impact, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2010, p.223 ss.; A. TANZI, Introduzione al Diritto internazionale Contemporaneo, Wolters Kluwer Cedam, Milano, 2016, p.285 ss.

[96] R. ADAM, A. TIZZANO, Manuale di Diritto dell’Unione Europea, Giappichelli, Torino, 2020, p.829 ss.

[97] Cfr. Comunicazione della Commissione: politica europea di prossimità-documento di strategia, COM (2004) 373, 12 maggio 2004, p.10; R. SCHÜTZE, EU Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2015, p.910; D. GALLO, I valori degli accordi di associazione dell’Unione Europea, in I valori dell’Unione Europea e l’azione esterna, E. SCISO, R. BARATTA, C. MORVIDUCCI (a cura di), Giappichelli, Torino, 2016, p.145 ss.

[98] M. S. MESSINA, Compendio di Diritto Internazionale Pubblico, Primiceri Editore, Padova, 2016, p.131.

[99] U. VILLANI, Istituzioni di Diritto dell’Unione Europea, Cacucci Editore, Bari, 2020, p.147 ss.

[100] Risoluzione del Parlamento europeo del 20 maggio 2010 sull’esigenza di una strategia UE per il Caucaso meridionale, (2009/2216(INI)), 2011/C161 E/20, p.139.

[101] S. PANEBIANCO, L’Unione Europea potenza divisa nel Mediterraneo, Egea, Milano, 2012, p.50 ss.

[102] Azione comune 2003/496/PESC del consiglio del 7 luglio 2003 relativa alla nomina di un Rappresentante speciale dell’UE per il Caucaso meridionale, p.74 ss.; Azione comune 2003/872/PESC del Consiglio, dell’8 dicembre 2003, che proroga e modifica il mandato del rappresentante speciale dell’Unione europea per il Caucaso meridionale, p.44ss.

[103] M. RECANATI, I Rappresentanti Speciali dell’Unione Europea, in La Politica Estera dell’Unione Europea, A. LANG, P. MARIANI (a cura di), Giappichelli, Torino, 2014, p.51 ss.

[104] Azione Comune 2006/121/PESC del Consiglio del 20 febbraio 2006 che nomina il rappresentante speciale dell’Unione europea per il Caucaso meridionale, in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, p. 14 ss.

[105] B. HARZL, op. cit., in Centre for Transatlantic Relations, 2018, p.46 ss.

 

[106] N. TOCCI, The European Union as a Normative Foreign Policy Actor, in Centre for European Policy Studies, 2008, p.16 ss.

[107] «Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite» (Articolo 3, paragrafo 5, del TUE). In tema, U. VILLANI, op. cit., Cacucci Editore, Bari, 2020, p.31 ss.

[108] «L’azione dell’Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l’allargamento e che essa si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, Stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, principi di uguaglianza e di solidarietà e rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale» (articolo 21, paragrafo 1, del TUE). A. L. VALVO, Istituzioni di Diritto dell’Unione Europea, Giappichelli, Torino, 2019, p.73 ss.

[109] Decisione (UE) 2017/104 del Consiglio del 20 novembre 2017 relativa alla firma, a nome dell’Unione, e all’applicazione provvisoria dell’accordo di partenariato globale e rafforzato tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica d’Armenia, dall’altra, in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L.23/1 del 26 gennaio 2018.

[110] «Riconoscendo l’importanza dell’impegno della Repubblica d’Armenia alla risoluzione pacifica e duratura del conflitto del Nagorno-Karabakh e la necessità di raggiungere tale risoluzione al più presto, nel quadro dei negoziati guidati dai copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE; riconoscendo altresì la necessità di raggiungere tale risoluzione nel rispetto degli obiettivi e dei principi sanciti dalla Carta dell’ONU e dall’Atto finale di Helsinki dell’OSCE, in particolare quelli relativi al non ricorso alla minaccia o all’uso della forza, all’integrità territoriale degli Stati, e alla parità dei diritti e all’autodeterminazione dei popoli, ribaditi in tutte le dichiarazioni rilasciate nel contesto della copresidenza del gruppo di Minsk dell’OSCE fin dal 16o Consiglio ministeriale dell’OSCE del 2008; sottolineando anche l’impegno dichiarato dell’Unione europea al sostegno di tale processo di risoluzione dei conflitti».

[111] «[Ne]gli accordi tra Italia e Azerbaigian sono economicamente significativi, è la loro dimensione politica che potrebbe portare al più grande salto qualitativo nelle relazioni. La dichiarazione congiunta afferma il sostegno delle parti alla risoluzione pacifica del conflitto del Nagorno-Karabakh basato sui principi di sovranità, integrità territoriale e inviolabilità dei confini nazionali, vale a parte i pilastri del diritto internazionale su cui l’Azerbaigian ha tradizionalmente basato le sue rivendicazioni contro l’Armenia. Ciò segna un significativo allontanamento dalla politica di equidistanza di Roma, se non dall’abrogazione de facto, dell’equidistanza di Roma tra l’Azerbaigian e l’Armenia. La portata politica generale della dichiarazione non è influenzata dal suo riferimento generale ai principi fondamentali dell’atto finale di Helsinki» C. FRAPPI, Italy’s New Approach to Azerbaijan and the Nagorno-Karabakh conflict, in European Council on Foreign Relations Commentary, 16 April 2020.

[112] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza della Corte, 21 dicembre 2016, Consiglio dell’Unione europea c. Front Populaire pour la Libération de la Saguia-El-Hamra et du Rio de Oro, causa C-104/16 P. per un commento della sentenza, vedi: J. ODERMAT, Council of the European Union v. Front populaire pour la Libération de la Saguia-El-Hamra et du Ruo de Oro (Front Polisario), in American Journal of International Law, 2017, p.731 ss.; E. CANNIZZARO, In defence of Front Polisario: the ECJ as a global jus cogens maker, in Common Market Law Review, 2018, p.569 ss.; U. VILLANI, La Cour de Justice de l’Union européenne et le droit à l’autodétermination du peuple sahraoui, in Liber Amicorum in onore di Antonio Tizzano: de la Cour CECA à la Cour de l’Union: le long parcours de la justice européenne, Giappichelli, Torino, 2018, p.1007 ss.; A. WHELAN, Council v. Polisario Case, in Max Planck Encyclopedia of Public International Law, 2019.

[113] CJEU C-266/16 Western Sahara Campaign UK, ECLI:EU:C:2018:118. 114 Para. 88, 92, Front Pol.

[114] Cfr. UN General Assembly Resolution 2229 (XXI), 20 dicembre 1966; The Western Sahara Advisory Opinion, in ICJ Reports, 16 ottobre 1975; UN Security Council Resolution 380 (1975), 6 novembre 1975; UN General Assembly Resolution 34/37, 21 novembre 1979.

[115] E. KASSOTI, The Legality under International Law of the EU’s Trade Agreements Covering Occupied Territories: A Comparative Study of Palestine and Western Sahara, in Centre for the Law of EU External Relations, 2017/3, p. 51 ss.

[116] Si veda nota 113.

[117] Causa C-386/08: Sentenza della Corte (Quarta Sezione) 25 febbraio 2010 (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Finanzgericht Hamburg — Germania) — Firma Brita GmbH/Hauptzollamt Hamburg-Hafen (Accordo di associazione CE-Israele — Ambito di applicazione territoriale — Accordo di associazione CE-OLP — Diniego di applicazione ai prodotti originari della Cisgiordania del regime tariffario preferenziale concesso a favore dei prodotti originari di Israele — Dubbi quanto all’origine dei prodotti, in Gazzetta Ufficiale UE C 100 del 17.4.2010, p. 4 ss.

[118]  Cfr. Accordo di Associazione tra l’Unione Europea E la Comunità Europea dell’Energia Atomica e i loro Stati Membri, da una parte, e la Repubblica di Moldova, dall’altra, in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, L. 260/4, 30 agosto 2014.

[119] A. SINAGRA, P. BARGIACCHI, op. cit., Giuffrè, Milano, 2009, p.490; N. RONZITTI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2016, p.322 ss.

[120] Raccomandazione dell’Assemblea n. 1251 sul conflitto nel Nagorno Karabakh del 1994, consultabile in https://pace.coe.int/pdf/719bcd01d357f0b62f2abffb76074d159299107b3326667a8259ffe25682ae848428feba12/recommendation%201251.pdf.

[121] Cfr. Risoluzione 1304, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=1705.

[122] Risoluzione n.1416, disponibile e consultabile in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-FR.asp?fileid=17289&lang=FR, del 25 gennaio 2005.

[123] V. STARACE, La Convenzione Europea ei Diritti dell’Uomo e l’ordinamento italiano, Levante Editore, Bari, 1992, p.21 ss.; A. DI STASI, Introduzione alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, Wolters Kluwer, Milano, 2016, p.53 ss.; M. CASTELLANETA, I ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: diritti azionabili e modalità di presentazione, Cacucci, Bari, 2018, p.15 ss.

[124]G. LANDI, Alla prova dei fatti. Tendenze interpretative e standard della prova per l’attribuzione allo Stato di condotte individuali nella recente giurisprudenza delle corti internazionali, in La responsabilità degli Stati e delle Organizzazioni internazionali: nuove fattispecie e problemi di attribuzione e di accertamento, A. SPAGNOLO, S. SALUZZO (a cura di), Ledizioni, Milano, 2017, p.343 ss.

[125] Articolo 1 del Primo Protocollo addizionale della CEDU.

[126] M. MILANOVIC, The Nagorno-Karabakh Cases, in European journal international law, del 23 giugno 2015, in https://www.ejiltalk.org/the-nagorno-karabakh-cases/;

[127] Case of Chiragov and others v. Armenia sentenza n.13216/05, 16 giugno 2015;

[128] Case of Sargsyan v. Azerbaijan sentenza n.40167/06, 16 giugno 2015.

[129] «La Corte considera in primo luogo che la situazione relativa al Nagorno-Karabakh e ai territori circostanti non è quella degli agenti dello Stato armeno che esercitano autorità e controllo su individui all’estero, come alternativamente sostenuto dai ricorrenti. Invece, la questione da determinare sui fatti del caso è se l’Armenia abbia esercitato e continui ad esercitare un controllo effettivo sui territori citati e, di conseguenza, possa essere ritenuta responsabile delle presunte violazioni» (paragrafo 169 della sentenza Chiragov and others v. Armenia n.13216/05, p.64).

«[…] l’Armenia, fin dai primi giorni del conflitto del Nagorno-Karabakh, ha avuto un’influenza significativa e decisiva sulla “NKR”, che le due entità sono altamente integrate in, praticamente, tutte le questioni importanti e che questa situazione persiste fino ad oggi.

In altre parole, l ‘”NKR” e la sua amministrazione sopravvivono in virtù del sostegno militare, politico, finanziario e di altro tipo fornito dall’Armenia che, di conseguenza, esercita un controllo effettivo sul Nagorno-Karabakh e sui territori circostanti, compreso il distretto di Lachin» (paragrafo 186 della sentenza Chiragov and others v. Armenia n.13216/05, p.68).

[130] M. MILANOVIC, T. PAPIC, The Applicability of the ECHR in Contested Territories, in International & Comparative Law Quarterly, 2018, p.779 ss.; ID. Jurisdiction and Responsibility: Trends in the Jurisprudence of the Strasbourg Court, in A. VAN AAKEN, I. MOTOC (eds.), The ECHR and General International Law, Oxford University Press, Oxford, 2018, p.54 ss.

[131] «L’integrazione delle due entità è ulteriormente evidenziata dal numero dei politici che hanno assunto le più alte cariche in Armenia dopo precedentemente detiene posizioni simili nel NKR […]» (paragrafo 181 della sentenza Chiragov and others v. Armenia n.13216/05, p.67).

«Il governo ha affermato che l ‘NKR ha la sua legislazione e i propri organi politici e giudiziari indipendenti. Tuttavia, la sua dipendenza politica dall’Armenia è evidente non solo dall’interscambio di politici di spicco, ma anche dal fatto che i suoi residenti acquisiscono passaporti armeni per viaggiare all’estero in quanto la “NKR” non è riconosciuta da alcuno Stato o organizzazione internazionale […]» (paragrafo 182 della sentenza Chiragov and others v. Armenia n.13216/05, p.67).

[132] F. SMOLNIK, Political Rule and Violent Conflict: Elections as ‘Institutional Mutation’ in NagornoKarabakh, in Communist and Post-Communist Studies, 2012, p.153 ss.

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