Jihadismo in Europa: alcune ricorrenti criticità analitiche

Di Giuseppe Santomartino*

ROMA (nostro servizio particolare). I recentissimi attentati di Solingen (Germania) e Nimes (Francia) hanno riproposto drammaticamente il tema della minaccia jihadista in Europa, ma gran parte delle analisi e dei commenti che leggiamo in queste ore confermano, purtroppo, la persistenza di alcuni equivoci e criticità analitiche sul fenomeno. Lo scopo di queste brevi note è fornire un contributo chiarificatore in materia.

Identità e postura politico-strategica dell’IS (ex-ISIS)

Molte fonti riferiscono di una rivendicazione dell’attentato da parte dell’“ISIS”. Ora, va ricordato che l’ISIS non esiste più. L’ISIS, nel giugno 2014, cambiò il proprio nome in Islamic State – IS (in arabo Dawla Islamiyya), abolendo quindi le limitazioni geografiche insite nell’IS finale.

La questione è tutt’ altro che formale, poiché quel cambio nome, non a caso in coincidenza della proclamazione del Califfato-Stato Islamico, evidenzia l’enorme salto di qualità nella postura politico-strategica dell’ex-ISIS, che passava così da “semplice” gruppo jihadista con valenza locale a Califfato Universale con valenza globale e quindi internazionale.

Luoghi di provenienza di molti dei gruppi militati aderenti all’IS

In termini “operativi” il cambio di nome avviò una fase di azioni al di fuori del Medio Oriente (es. Bataclan e quest’ultimo attentato a Solingen) e la formazione di vari Wilayat (province affiliate all’IS) dal Sinai al Sahel (diventato “il nuovo epicentro del Jihad Globale”), per arrivare al Mozambico e all’ Asia Centrale dove opera l’IS-K.

L’IS è quindi proiettato su una dimensione globale e riconosciuto quale “the deadliest terrorist group globally” (Global Terrorism Index – GTI- 2024).

Di conseguenza, continuare a ricondurre tali attentati all’“ISIS” costituisce non solo un’imprecisione dal punto di vista storico e onomastico, ma anche un’oggettiva “underestimation” della postura politico-strategica dell’IS, che va ben al di là del “semplice” epifenomeno terroristico per assurgere a Global Player e Pseudo-State in chiave, ovviamente, islamico-radicale.

Una postura, peraltro, solo parzialmente intaccata dalle perdite territoriali in Medio Oriente, abbondantemente bilanciate dalle espansioni dei citati Wilayat in Africa ed Asia Centrale.

Il livello di minaccia jihadista in Europa. Un eccessivo ottimismo?  

L’analisi di tale minaccia è stata sinora condizionata da un approccio forse troppo basato sulla triste “contabilità” di attentati e vittime registrati in Europa che hanno visto un effettivo calo a fronte di oltre 3000 attentati worldwide nel 2023 in gran parte in Africa, cosa che ha, forse, generato un certo ottimismo e l’errata percezione che ormai il fenomeno fosse di fatto in via di estinzione nel nostro continente.

A riguardo occorre, però, sia ricordare autorevoli analisi secondo cui il fenomeno del Jihadismo persisterà “non per anni ma per decenni”, sia riprendere alcuni passaggi del già citato GTI-2024, secondo cui:  “Although terrorism has fallen in the West, there are still concerns about a possible resurgence in 2024. ….there are some indications that the October 7th attack in Israel might lead to an increase in terrorism in Europe…”.

Comparazione tra il numero delle vittime provocate dal terrorismo negli anni 2000 e quello delle vittime provocate nel decennio successivo

Background ed inquadramento ideologico, dottrinale ed operativo del fenomeno

La trattazione del Jihadismo tende in generale a privilegiare il suo profilo epifenomenico associato al “terrorismo”, sottostimando il suo vero “Motore Primo” e del suo forte potere identitario e mobilitante: l’ideologia.

Il tema è molto complesso per essere trattato in maniera esaustiva in questa sede.

Tuttavia si possono comunque ricordare gli elementi più rilevanti per capire meglio le basi ideologiche e dottrinali delle azioni jihadiste:

  • la lotta attraverso il jihad contro Apostati, Cristiani, Ebrei e i governi di paesi musulmani che non applicano la Shari’ah, in modo da enfatizzare lo stress sulle relative organizzazioni di sicurezza (basti pensare ai crescenti oneri di sicurezza adottati dal 2001 fino alle recenti Olimpiadi),
  • il concetto del “Jihad Individuale” (Jihad al-Irhab al-Fardi), da cui le modalità che noi banalizziamo con la dizione “Lupi Solitari”, associato al principio dei Low Cost Attacks (da cui attentati con furgoni o uso di semplici coltelli),
  • la strategia del “Nizam Laa Tanzim” (Non-Organizzazione, assenza di vincoli e legami organizzativi fra i singoli militanti e cellule allo scopo di minimizzare le possibilità di analisi da parte dell’Intelligence e conseguenti “dubbi”, visti anche in questi giorni, sulle rivendicazioni).

La crescente sinergia “mobilitante” fra questione palestinese e fenomeno jihadista

Tale sinergia è nota da anni ma ha assunto una piega molto rilevante con gli specifici proclami dell’ IS (ex-ISIS) a seguito della strage del  7 ottobre.

Non a caso la rivendicazione dell’attentato a Solingen termina con la frase “vendetta per i Musulmani in Palestina ed in ogni altro luogo”.

Il tema meriterebbe una lunga analisi ma va almeno ricordato come la questione palestinese, nata un secolo fa su motivazioni prettamente territoriali, sia stata poi sempre più “islamizzata” a partire dagli anni Ottanta (sia con la creazione del Jihad Islamico Palestinese, sia con Hamas) e che uno degli artefici di tale islamizzazione è stato quell’Abdullah ‘Azzam, palestinese, considerato il vero ideologo di al-Qa’ida, nonché l’ ideologo del “Transnational Jihad” e del Shahida (martirio).

Abdullah Yusuf Azzam, considerato, tra le altre cose, l’ideologo di Al Qaeda

In conclusione, si può affermare che la lotta al Jihadismo (che, va ricordato, riguarda una minima parte dell’Islam) deve necessariamente passare per due elementi:

  • una più qualificata consapevolezza epistemologica, e quindi analitica, verso il fenomeno, al di là del profilo meramente terroristico;
  • la risoluzione dei fenomeni catalizzatori, fra cui la questione palestinese e le condizioni socio-politiche delle aree maggiormente a rischio (Sahel, M.O. ed Asia Centrale).

Diversamente il Jihadismo non potrà che espandersi con paradigmi che sarà difficile anche solo “leggere”, prima che contrastare, con un crescente ed inevitabile interessamento dell’Europa.

**Generale di Divisione dell’Esercito (Aus). Dottore in Scienze Politiche a indirizzo Islamico presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli

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