Di Haneef Hatmar
Kabul. Non tardano a farsi sentire gli effetti della presa di posizione del Presidente americano Donald Trump sul Pakistan. A farne le spese, in maniera diretta ed immediata, le migliaia di profughi afghani che attualmente si trovano in Pakistan e, in maniera mediaticamente più “forte”, gli ospiti dell’hotel Continental di Kabul ed i cittadini di Herat, vittime di attentati sanguinari.

Militari afghani nell’area dell’attentato all’Hotel Continental di Kabul
Era facile prevedere che alle dichiarazioni di Trump, chiare e precise, avrebbero fatto seguito giorni difficili. Come si ricorderà, il Presidente Usa aveva comunicato la decisione di sospendere gli aiuti da 1,3 miliardi di dollari annuali che fino ad oggi sono stati dati al Paese asiatico.
“In 15 anni 33 bilioni di dollari sono stati concessi stupidamente al Pakistan e loro non ci hanno dato altro, in cambio, che bugie”, recitava un tweet di Trump. Da lì, si era riaperta a livello internazionale la discussione sul ruolo della rete Haqqani e sui suoi legami con i talebani in Afghanistan.
Con gli occhi del mondo puntati addosso, il Pakistan ha pensato bene di prendersela con l’anello da sempre più debole della catena che lo lega al Paese confinante: i profughi afghani che vivono a Peshawar e dintorni, fuggiti in alcuni casi dal loro Paese fin dall’invasione sovietica, in altri nei periodi successivi per sfuggire alla guerra e alle persecuzioni proprio dei “taliban”.
Considerati da sempre una semplice arma di ricatto ogni volta che la situazione internazionale lo richiede, anche questa volta i rifugiati sono stati usati a tale scopo. Il Governo pakistano ha rinnovato l’ultimatum (già dato in precedenti occasioni) alle famiglie di lasciare il Paese, tornando in Afghanistan.

Bambini afghano in una scuola per rifugiati in Pakistan
Il termine ultimo è il prossimo 29 gennaio. Migliaia di persone, da un momento all’altro, dovrebbero tornare in un territorio in cui le condizioni di sicurezza sono altamente deteriorate e dove avevano già abbandonato i propri beni per fuggire via. Per sottolineare quanto sia disposto a giocare duro, il Pakistan ha chiuso ad ogni forma di scambio commerciale il Turham border, valico al confine con l’Afghanistan utilizzato per spostamenti di merci e uomini.
Ed, a quanto pare, per mettere ancora un’altra linea sotto la voce “guerra di ricatti”, si sarebbe avvalso nuovamente della rete Haqqani per compiere lo sconquasso di queste ore all’Hotel Continental. Il ministro degli interni afghano, insieme al Presidente Ghani, si è dichiarato infatti apertamente convinto che dietro l’attentato ci sia la famigerata rete terroristica, appoggiata dagli amici di sempre, i talebani afghani.
Ufficialmente, sono stati questi ultimi a rivendicare l’attacco, mettendo la loro firma su un’azione concepita da più “menti”. Non è un caso se, subito dopo l’esplosione al Continental, i vertici pakistani si siano affrettati a dichiarare che, se Trump revocherà quanto detto nei giorni passati e tornerà amico del loro Paese, ma soprattutto se fornirà di nuovo finanziamenti e benefit, i profughi afghani potranno rimanere dove sono. Dalla Casa Bianca però è stato più volte ribadito.
Se il Pakistan non darà prove concrete degli sforzi che intende compiere per spezzare i legami tra Haqqani e talebani e se questi ultimi, in Afghanistan, non daranno segni di voler dialogare col Governo Ghani e di voler costruire la pace, saranno tempi duri per tutti.
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