Immigrazione, Gentiloni per il blocco navale. Parigi si sfila. Centri a Djerba, in Tunisia?

Di Marco Pugliese

Roma. Partiamo da un dato: 50 mila arrivi in tre mesi, l’Italia non se li può permettere. In seno ai Palazzi italiani lo hanno compreso tutti, anche il tiepido Sergio Mattarella. Marco Minniti, ministro dell’Interno, molto attivo sul fronte Libia, ha proposto al premier Paolo Gentiloni una soluzione estrema: blocco navale.

Come? Intanto accordandosi con Al Serraj, perché le nostre navi militari opererebbero in acque libiche. La Guardia costiera libica è addestrata dagli italiani e, quindi, la sinergia sarebbe massima. Poi ci sarebbe una fase di terra, arresto degli scafisti e controllo militare dei porti. A queste andrebbe ad aggiungersi la creazione di centri in loco, ove dar la possibilità a chi ha diritto d’asilo d’approdare in piena sicurezza in Europa.

Per questa fase si pensa anche alla Tunisia, le strutture turistiche di Djerba potrebbero essere una soluzione. Tunisi deve prendersi le proprie responsabilità e dare una mano alla comunità internazionale che lavora quotidianamente per mantenere stabile il Paese.

In queste strutture potranno operare (in piena sicurezza militare) le organizzazioni non governative. Le Ong infatti, per Minniti, vanno bloccate nei porti o in alternativa monitorate da militari a bordo. L’altro tema sono i confini della Libia a Sud ed Ovest ove i militari italiani, in cooperazione con quelli libici potrebbero bloccare i flussi in entrata via terra.

Le Forze speciali italiane poi, in loco, dovrebbero individuare luoghi di detenzione dei migranti, rotte segrete e contrastare infiltrazioni dello Stato Islamico.

In termini numerici l’operazione conterebbe circa 20 mila militari, compresi i reparti speciali ( Task Force Interforze Libia).

Una certezza: l’Italia dovrà far da sola. In Europa nessuno è disposto a mettere mezzi e, nel prossimo incontro di Tallin, si discuterà riguardo aiuti economici a Roma, non sufficienti a placare i disagi sociali.

All’Italia l’immigrazione caotica costa 3,2 miliardi d’euro più i 9 spesi annualmente per l’accoglienza. Se il nostro Paese tenta di blindarsi, Parigi non guarda, anzi il Presidente francese Emmanuel Macron in queste ore ha respinto 400 migranti a Ventimiglia e sottolineato che accetterà (quando non lo ha specificato) solo chi avrà i requisiti.

Tradotto: l’Italia dovrà accollarsi tutti gli altri. Questa è stata la scintilla che ha portato il premier Paolo Gentiloni a minacciare il blocco. Il ricollocamento europeo non funziona ed i regolamenti vanno cambiati causa emergenza. Il Governo pare virare nella sua politica. La batosta elettorale alle amministrative pesa, sviluppatasi anche sul fronte migratorio.

Dal 2015 viene ricordato all’Italia d’ uscire dalla stallo del Mediterraneo. Ci provò perfino il Presidente Usa, Barack Obama tramite il suo segretario di Stato, John Kerry, a Renzi vennero offerti uomini e mezzi NATO ed il comando della missione. L’allora premier non se la senti di rischiare mettendo piede in Libia, convinto forse che i flussi andassero scemando.

In realtà, negli ultimi due anni, la situazione è precipitata ed in Italia ormai anche i più moderati hanno compreso che qualcosa bisogna fare. Il quadro è complesso ed ogni tipo d’intervento è rischioso ma ciò che stabilizza la società della penisola lo è ancora di più.

La popolazione italiana appare stanca ed arrabbiata. Infatti, in molti sondaggi, l’intervento in Libia trova parere favorevole. Costi in termini di risorse? Elevati, ma forse meno di ciò che l’Italia spende ora. Mettere piede a Tripoli eviterebbe ingerenze francesi e russe in tema di idrocarburi, altro problema all’orizzonte.

A scadenza ci sono le concessioni d’estrazione. Il nostro Paese si ritroverebbe sul terreno e potrebbe far pesare i propri investimenti in loco, infrastrutture create prima del 2011. La Libia potrebbe contare su un Paese amico, che attuerebbe una sorta di piano Marshall per portare Tripoli in equilibrio. In queste ore però, questi obiettivi sembrano lontanissimi.

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