Incontro Trump-Putin: l’obiettivo finale di Washington è quello di coinvolgere Mosca e Nuova Delhi nel contenimento di Pechino

Di Fabrizio Scarinci

WASHINGTON. Da diversi giorni gli occhi del mondo sono puntati sulla bese militare di Elmendorf, situata a pochi km dalla città di Anchorage, in Alaska, dove, domani, il Presidente statunitense Donald Trump incontrerà il suo omologo russo Vladimir Putin.

Il Presidente statunitense Donald Trumpne suo omologo russo Vladimir Putin

Al centro dell’attenzione generale c’è, ovviamente, la possibilità che si inizi, quantomeno, a delineare una road map per la conclusione della guerra in Ucraina, anche se, a mano a mano che ci si avvicina al momento dell’incontro, appare sempre più improbabile (salvo sorprese, ovviamente) che da esso possano scaturire dei passi davvero decisivi in tal senso.

Non a caso, nella mattinata di ieri la stessa Casa Bianca ha definito il vertice come un semplice “faccia a faccia esplorativo”; una definizione a cui fanno eco le parole del segretario di Stato Marco Rubio sul fatto che, a causa dell’importanza attribuita a questa guerra da Vladimir Putin, raggiungere un compromesso in tempi brevi potrebbe risultare un’impresa piuttosto ardua.

Del resto, come si è ampiamente avuto modo di osservare, da mesi il Cremlino non fa altro che prendere tempo allo scopo di sfruttare la propria attuale situazione di vantaggio militare sul campo ed ottenere un bottino più “sostanzioso” sul piano territoriale.

Un modus operandi che ha, col tempo, messo a dura prova la pazienza della Casa Bianca, inducendo Donald Trump a lanciare, lo scorso 29 luglio, un ultimatum all’indirizzo del Cremlino riguardo al fatto che, se entro dieci giorni i russi non avessero intavolato delle trattative con gli ucraini, gli USA avrebbero colpito il loro sistema economico attraverso pesantissime “sanzioni secondarie”: ovvero dazi particolarmente elevati nei confronti di tutti quei Paesi (Cina e India su tutti, ma, se è per questo anche Turchia) intenti ad acquistare petrolio dalla Russia allo scopo di rivenderlo all’estero e permettere, di fatto, a Mosca di aggirare le sanzioni occidentali.

Naturalmente, questo deciso cambio di passo non ha mancato di provocare effetti “indesiderati”, come il forte innalzamento della tensione avutosi con il Cremlino (a tal proposito, ricordiamo tutti le spavalde dichiarazioni dell’ex Presidente Dimitri Medvedev sul fatto che le pressioni statunitensi non stessero facendo altro che avvicinare la guerra nucleare, nonché la conseguente mossa di Trump di riposizionare due SSBN in aree particolarmente idonee al lancio dei missili) e una vera e propria crisi diplomatica con l’India, storico partner di Mosca, oggi in forte ascesa sia sul piano economico che su quello militare, che gli USA hanno, a più riprese, cercato di avvicinare al loro sistema di alleanze.

Alla fine, però, il Capo della Casa Bianca è comunque riuscito a far sì che la Russia (che, ovviamente, non vuole uno scontro nucleare totale, esattamente come gli USA) si rendesse conto dei rischi connessi alle appena menzionate sanzioni secondarie e accettasse l’ipotesi del vertice.

Certo, tutto lascia pensare che anche questa non sia altro che l’ennesima mossa del Cremlino per continuare a prendere tempo in Ucraina, ma, d’altra parte, è importante sottolineare come, per Trump, tale dossier rappresenti solo una delle numerose tematiche da affrontare con il suo omologo russo.

Al centro della strategia USA c’è, infatti, il contenimento della Cina, che, secondo le “leggi” non scritte della strategia dovrebbe costituire un imperativo non solo per Washington, che rischia di perdere il suo primato a livello globale, ma anche (e soprattutto) per Mosca e Nuova Delhi, che con Pechino condividono non solo la partnership all’interno del BRICS ma anche porzioni non irrisorie di confini terrestri potenzialmente contendibili.

Proprio su questo Trump sembrerebbe voler scommettere, confidando anche sulla paura che deve aver instillato nella classe politica russa il recente rapporto dell’FSB secondo cui, nonostante l’attuale supporto in Ucraina e la sempre più stretta partnership in ambito economico, la Cina costituirebbe, per il Paese, una vera e propria minaccia esistenziale, nonché (per quanto riguarda l’India) sulla storica inimicizia tra Nuova Delhi e Pechino.

Negli anni 2010, il tentativo americano di riavvicinare la Russia in funzione anti-cinese è stato perseguito con scarsa convinzione, in parte per via della paura che Mosca e il cosiddetto asse franco-tedesco potessero approfondire le proprie relazioni e saldare i loro interessi economico-energetici nell’ambito di uno schema alternativo a quello euroatlantico (del resto, la stessa politica statunitense di favorire l’ingresso nella NATO dei Paesi dell’Europa Orientale era scaturita proprio dalla volontà di tenere, in certo qual modo, separate Russia e Germania), in parte per via delle stesse velleità “revanchiste” di Mosca. Velleità scaturite anche da una crescente sensazione di insicurezza che, come ben sappiamo, sarebbero poi sfociate nell’attuale conflitto ucraino.

Nondimeno, i tempi potrebbero ora essere più maturi, almeno per riprendere il discorso.

In tale contesto, dello schema trumpiano potrebbero far parte anche quegli eventuali investimenti americani sulla rimessa in funzione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 di cui si è più volte vociferato nei mesi scorsi, che potrebbero ridare a Mosca la capacità di esportare gas nel vecchio continente e, insieme alla presenza di forze statunitensi nel cosiddetto “Trimarium”, consentirebbero agli USA di entrare in maniera più “intima” nell’ambito di un’eventuale ricostruzione della relazione economico-strategica tra Russia ed Europa (attori che, comunque, appaiono, oggi, più ai ferri corti che mai).

Quanto all’India, invece, il “corteggiamento” statunitense è notoriamente andato avanti per almeno un ventennio, culminando, nel 2020, con la firma del BECA (Basic Exchange and Cooperation Agreement).

Ovviamente, però, in risposta al forte aumento dei dazi annunciato dalla Casa Bianca, Nuova Delhi ha fatto sapere a Washington di non essere più interessata ai caccia multiruolo F-35 che Trump le aveva offerto a metà febbraio, riorientandosi sui Sukhoi Su-57 Felon di fabbricazione russa.

Malgrado questo, però anche in ragione dell’esigenza indiana di bilanciare il suo ingombrante vicino cinese, è comunque lecito immaginare che Nuova Delhi intenda comunque continuare ad espandere, almeno in prospettiva, la cooperazione stabilita con gli USA nel corso degli ultimi anni. Tanto più qualora si avviare un percorso di distenzione tra russi e americani.

In buona sostanza, dunque, è come se negli ultimi giorni, al di là di ciò che accade in Ucraina, Washington abbia deciso di suonare la sveglia a Mosca e Nuova Delhi riguardo alla necessità di fare scudo contro Pechino.

E, al di là di tutto ciò che si possa dire o scrivere sul vertice di domani, il principale argomento che Trump tratterà con Putin sarà, senz’altro, questo.

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