Di Giuseppe Gagliano*
NUOVA DEHLI. Il conflitto armato tra India e Pakistan del maggio scorso, noto come “Operazione Sindoor”, è stato breve ma estremamente pericoloso.
In soli quattro giorni, due potenze nucleari hanno rischiato di precipitare in una spirale fuori controllo.
Tutto è iniziato con un attacco terroristico a Pahalgam, nel Kashmir indiano, che ha provocato numerose vittime civili.

L’India ha risposto con attacchi missilistici su presunti campi terroristici in territorio pakistano e nel Kashmir amministrato da Islamabad, scatenando una serie di scontri aerei, scambi di artiglieria e raid con droni e missili.
Un conflitto calibrato ma ad altissimo rischio
Il bilancio è stato pesante: centinaia tra civili e soldati uccisi, jet abbattuti da entrambe le parti e gravi danni a infrastrutture militari.
Eppure non si è arrivati a un’escalation nucleare.
L’India ha colpito obiettivi mirati soprattutto campi terroristici, evitando installazioni strategiche pakistane, una scelta interpretata da molti analisti come un tentativo di contenere il conflitto ed evitare la reazione atomica di Islamabad.
Il Pakistan ha risposto con contrattacchi missilistici e operazioni aeree, ma ha mantenuto un livello di confronto “controllato”.

Dietro questo equilibrio precario si è mossa la diplomazia internazionale, con gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita che hanno mediato un cessate il fuoco raggiunto il 10 maggio.
La partita silenziosa dello spazio e dell’intelligence
Il conflitto ha svelato in modo crudo la crescente centralità dell’intelligence geospaziale nello scenario asiatico.
Durante i combattimenti, Islamabad ha potuto contare sull’appoggio di Cina, che ha fornito intelligence satellitare in tempo reale, consentendo all’Aeronautica pakistana di intercettare e rispondere con rapidità ai raid indiani.
L’India, invece, ha dovuto fare i conti con un serio contraccolpo: la perdita del satellite Risat-1B ha ridotto temporaneamente la sua capacità di sorveglianza radar, rallentando i tempi di reazione.
Questa asimmetria informativa ha permesso al Pakistan di adottare una “disciplina strategica”, evitando mosse eccessive ma infliggendo colpi mirati.
La Cina ha così consolidato il proprio ruolo di alleato strategico di Islamabad.
Il dopo-conflitto: corsa allo spazio e nuove alleanze
A pochi mesi dal cessate il fuoco, la corsa tecnologica non si è fermata.
Il Pakistan ha accelerato i programmi satellitari con il lancio dei PakTES-1A e 1B e l’espansione del sistema PRSS, aumentando le proprie capacità GEOINT.
In parallelo ha investito in piattaforme C4ISR integrate, sempre in cooperazione con Pechino, per contrastare i sistemi indiani sostenuti dagli Stati Uniti.
L’India, dal canto suo, ha avviato una corsa per colmare il gap tecnologico e ridurre la vulnerabilità nello spazio e nel dominio cibernetico.
L’obiettivo è ricostruire rapidamente l’architettura satellitare perduta, puntando a una deterrenza tecnologica contro due fronti: Pakistan e Cina.
Un nuovo asse Islamabad-Riad
Un ulteriore elemento destabilizzante è arrivato a settembre scorsi, con la firma di un patto di difesa tra Pakistan e Arabia Saudita.

L’accordo prevede scambi di intelligence e trasferimenti tecnologici, compresi strumenti GEOINT, rafforzando la capacità pakistana di deterrenza strategica.
È una mossa che ridisegna la geografia della sicurezza in Asia meridionale, affiancando l’asse sino-pakistano a una nuova sponda mediorientale.
La guerra che nessuno può vincere
A livello strategico, la crisi di maggio ha mostrato che un conflitto limitato tra India e Pakistan resta possibile e gestibile, ma anche estremamente fragile.
I deterrenti nucleari hanno funzionato da argine, ma la crescente centralità di Spazio, cyber e intelligence trasforma ogni crisi in un banco di prova ad alto rischio. La guerra convenzionale non è più solo questione di carri armati e caccia: è una guerra di sensori, satelliti e informazioni.
Conclusione: pace fragile, tensioni persistenti
Oggi la Linea di Controllo resta tesa.
Gli analisti prevedono nuove crisi limitate nei prossimi mesi, anche se una guerra totale appare improbabile nel breve periodo grazie alle pressioni internazionali e al peso delle armi nucleari.
Ma questa pace armata è instabile: ogni errore, ogni sabotaggio, ogni attacco terroristico può innescare un nuovo ciclo di violenza.
L’Operazione Sindoor ha dimostrato che nel subcontinente indiano la guerra del futuro si combatterà meno sul campo e più nelle orbite, nelle reti e nei centri di comando.
*Presidente Centro Studi Cestudec
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