Di Chiara Cavalieri *
IL CAIRO. L’intelligence egiziana ha confermato ancora una volta la sua posizione centrale nella gestione dei dossier di sicurezza in Medio Oriente.
Le operazioni condotte due giorni fa nelle carceri israeliane di Ketziot, nel deserto del Negev, e di Ofer, in Cisgiordania, per la liberazione di prigionieri palestinesi in cambio della restituzione di ostaggi israeliani detenuti a Gaza, hanno visto una presenza diretta e coordinata di delegazioni egiziane, incaricate di supervisionare e garantire l’intero processo.

Secondo fonti ufficiali, agenti della General Intelligence Service hanno operato in stretta cooperazione con la per verificare le identità dei detenuti, controllare i protocolli di sicurezza e assicurare che le fasi dello scambio si svolgessero secondo i termini stabiliti.
Altri membri della delegazione erano presenti nella Striscia di Gaza per monitorare, in tempo reale, la liberazione degli ostaggi israeliani e coordinarne il trasferimento verso Israele.

Questa operazione ha dimostrato, ancora una volta, la capacità dell’intelligence egiziana di agire come intermediario tecnico e politico in situazioni ad altissima sensibilità.
Tutti i passaggi dello scambio sono avvenuti sotto la supervisione del Cairo, che ha mantenuto canali aperti e riservati con entrambe le parti, Hamas e Israele.
Per comprendere il peso attuale di questo ruolo, è necessario guardare alla storia recente.
Nel 2011, sotto la guida dell’ex capo dell’Intelligence Omar Suleiman, l’Egitto aveva gestito l’operazione che portò alla liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit, prigioniero a Gaza dal 2006.
In quella circostanza, la mediazione egiziana fu decisiva per raggiungere un accordo che consentì il rilascio di Shalit in cambio di oltre 1.000 prigionieri palestinesi.

Anche allora, delegazioni dei Servizi egiziani erano presenti nelle carceri israeliane per verificare le identità dei prigionieri da liberare e, contemporaneamente, nella Striscia di Gaza per seguire da vicino la consegna dell’ostaggio israeliano.
L’operazione, conclusa con successo, consolidò il ruolo di Suleiman come mediatore affidabile e fece dell’Egitto l’interlocutore privilegiato per entrambe le parti.
Oggi, la stessa architettura operativa è stata riattivata.
Alla guida dell’Intelligence egiziana si trova Hassan Rashad, che insieme al Generale Sameh Nabil ha diretto e coordinato le delegazioni operative presenti nei luoghi chiave dello scambio: Ketziot, Ofer e la Striscia di Gaza.

La missione egiziana ha avuto carattere strettamente tecnico e politico allo stesso tempo: oltre alle verifiche logistiche e di sicurezza, il Cairo ha mantenuto contatti riservati con entrambe le parti per gestire eventuali criticità, assicurando la tenuta dell’accordo fino alla conclusione dello scambio. Questo ha permesso di evitare incidenti e garantire che l’operazione avvenisse nei tempi stabiliti e senza interruzioni.
In questo contesto emerge anche la figura di Ahmed Abdel Khaleq, attuale responsabile del dossier palestinese all’interno dei servizi egiziani. Abdel Khaleq è considerato una delle figure centrali della diplomazia di sicurezza egiziana: la sua esperienza nasce sul campo, con anni trascorsi a Gaza e un lungo lavoro di costruzione di canali con le fazioni palestinesi.

Ahmed Abdel Khaleq è la figura forse più operativa.
Maggiore Generale e vice di Rashad, Abdel Khaleq è il responsabile del “dossier palestinese” da anni.
La sua esperienza sul campo è vastissima.
E’ stato consigliere all’Ambasciata egiziana a Gaza, ha partecipato allo scambio Shalit nel 2011 e a tutti i successivi round negoziali.
La sua profonda conoscenza delle mappe di potere a Gaza e le sue relazioni consolidate con tutte le fazioni palestinesi lo rendono un mediatore insostituibile e “l’architetto pratico” delle mediazioni egiziane.
Questa tradizione operativa ha radici storiche profonde
Negli anni Settanta e Ottanta, i Servizi di Intelligence egiziani giocarono un ruolo cruciale nei contatti riservati con Tel Aviv e Washington che precedettero gli Accordi di Camp David.

Da allora, l’Intelligence egiziana è divenuta non solo uno strumento di sicurezza nazionale, ma anche uno strumento diplomatico: capace di muoversi in contesti dove la diplomazia ufficiale non può agire con la stessa rapidità e flessibilità.
Omar Suleiman raccolse questa eredità e la consolidò durante la Seconda Intifada e nei conflitti di Gaza del primo decennio degli anni 2000. Hassan Rashad l’ha riportata oggi al centro della scena, in un contesto mutato ma in cui l’Egitto resta un mediatore imprescindibile.
Ahmed Abdel Khaleq rappresenta la nuova generazione, che utilizza la stessa architettura strategica in un ambiente più frammentato e instabile, ma non per questo meno centrale.
L’Egitto, grazie al suo apparato di intelligence, continua così a essere il principale garante regionale nei momenti più critici del conflitto israelo-palestinese.
La capacità di mantenere contatti riservati con entrambe le parti, di garantire il rispetto dei termini degli accordi e di gestire operazioni delicate come quella di Ketziot e Ofer, rafforza il ruolo strategico del Cairo.
Da Hassan Rashad a Omar Suleiman, fino ad Ahmed Abdel Khaleq, questa continuità storica ha permesso all’Egitto di restare al centro di uno dei dossier più complessi e sensibili della politica mediorientale.
*Presidente Associazione Eridanus
Vice presidente Unione dei Consoli Onorari Stranieri in Italia (UCOI) – Vice presidente Unione dei Consoli Onorari Italiani nel Mondo (UCOIM)
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