Di Valeria Fraquelli
Roma. In questa interessante intervista Maria Stefania Cataleta, avvocato accreditato alla Corte Penale internazionale e docente di Diritto internazionale Penale presso l’Università Niccolò Cusano analizza la situazione afgana dal punto di vista del rispetto dei diritti umani.
Avvocato, quanto sta accadendo in Afghanistan, ripropone, a distanza di oltre 20 anni, la questione della tutela dei diritti umani nel Paese. Nel 1996 i Talebani, una volta preso il potere, applicarono una giustizia di “sangue”. Cosa ha fatto, nel passato, il Tribunale penale internazionale per condannare questi atti criminali?
Quello afghano è uno scenario complesso, storicamente al centro di rivendicazioni esterne per il suo controllo, queste pressioni hanno fortemente contribuito a destabilizzare il Paese e tutta la già compromessa area mediorientale.
Basti pensare che già tra il XIX e il XX Secolo l’Afghanistan era conteso tra impero britannico, da un lato, e quello russo, dall’altro, in ciò che è conosciuto come “The Great Game”, poi sfociato nel cosiddetto “cimitero degli imperi”.

Il territorio afgano è sempre stato conteso da varie potenze
Oggi, la storia si ripete, la ritirata dell’Occidente è solo l’ultima di una sequela di sconfitte storiche, che tuttavia non scoraggia alcuni Paesi dal considerare ancora l’Afghanistan come un obiettivo strategico, vedi le mire non soltanto di Cina e Russia, ma anche di Turchia e Iran.
Sul piano internazionale, contro le gravi violazioni dei diritti umani è stata istituita, nel 1998, la Corte penale internazionale (CPI), con sede a L’Aja.
Purtroppo, però, i gravi crimini commessi dai talebani nel 1996 non poterono essere oggetto di inchieste poiché, a quel tempo, la CPI non esisteva ancora ed oggi non potrebbe giudicare i crimini commessi a quel tempo, poiché la sua competenza non è retroattiva.
E oggi che i talebani hanno riconquistato il potere, commettendo una serie di efferati delitti contro la popolazione civile, a livello di comunità internazionale cosa si sta facendo per riportare la legalità?
Il ritiro rocambolesco degli USA dal Paese dopo vent’anni di occupazione sta producendo serie conseguenze sotto il profilo umanitario, per via delle immani conseguenze sulle popolazione civile, catapultata sotto un nuovo dominio particolarmente sanguinario. Con gli USA, il Paese era stato sottoposto ad una sperimentazione, ovvero l’avvio di un processo democratico attuato parallelamente ad un’occupazione militare.
Oggi, gli USA hanno ridimensionato le ragioni dell’occupazione, limitandola alla sola lotta al terrorismo, ma in realtà molto è stato fatto dalle forze occidentali per favorire un’evoluzione della società afghana e la ricostruzione di una nazione al collasso.
Purtroppo, nonostante le buone intenzioni, gli sforzi profusi e gli ingenti fondi destinati, questo esperimento è fallito, poiché ha dimostrato che i processi democratici non possono essere imposti militarmente dall’esterno, in quanto la democratizzazione di una società deve seguire un iter graduale, che la popolazione deve percorrere il più possibile autonomamente, attraverso una fase di maturazione.
Questo è anche dimostrato dal frequente fallimento delle missioni di peace-keeping e State-building delle Nazioni Unite, percepite spesso come estranee dalle popolazioni dei Paesi in cui si tenta di ristabilire la pace o che si cerca di ricostruire.

Una riunione alle Nazioni Unite
Di fronte alle brutali rappresaglie dei talebani contro i loro nemici interni, la comunità internazionale può agire o attraverso lo strumento diplomatico, in quanto l’isolamento non conviene ai talebani, che hanno tutto il vantaggio ad intrattenere rapporti commerciali con altri Paesi, ovvero attraverso lo strumento giudiziario, attraverso inchieste internazionali.
Parlando di inchieste, un ruolo importante può essere giocato dalla Corte penale internazionale nel vigilare circa il rispetto dei diritti umani, affinché non si consumino gravi abusi, come quelli oggi che vengono denunciati.
A questo proposito, l’Afghanistan ha ratificato nel 2003 la sua adesione allo Statuto della Corte penale internazionale e ciò vuol dire che i crimini internazionali che sono stati commessi a partire da quella data da cittadini afghani o sul territorio afghano possono essere perseguiti e puniti oggi da questa Corte.
Occorre vedere come si comporteranno i talebani rispetto a questo trattato internazionale, che di fatto li subordina ad un organismo giurisdizionale internazionale, e sperare che non decidano di denunciare il trattato con cui riconoscono e accettano la giurisdizione della Corte penale internazionale. Denunciare lo Statuto della Corte penale internazionale significherebbe, per loro, garantirsi l’impunità rispetto ai loro crimini.

Talebani in uno dei distretti occupati – Credit Telegram
Un altro tema che all’opinione pubblica è stato riproposto è quello della tutela delle donne. A livello giuridico-internazionale cosa si sta facendo per garantire i loro diritti?
C’è una grande mobilitazione della comunità internazionale sul tema della tutela dei diritti delle donne afghane.

Donne afghane
L’Italia stessa, anche attraverso il G20 da essa presieduto, si sta mostrando molto sensibile verso questo problema e sta promuovendo e mettendo a punto piani di azione concreti per aiutare le tante donne e bambine che credono nei valori democratici e si battono per i diritti civili.
Bisogna sperare che il governo talebano permetta l’ingerenza di altri Paesi nelle sue politiche. Purtroppo, non c’è nulla di buono da aspettarsi dal governo afghano, se si considerano le ultime esternazioni sul ruolo e sui limiti imposti alle donne a poche settimane dal suo insediamento.

Talebani che bloccano donne e uomini che manifestano – Credit Telegram
Come la comunità internazionale potrà intervenire per garantire il rispetto dei diritti umani?
E’ ancora controversa la liceità dell’intervento umanitario in un Paese resosi responsabile di gravi violazioni dei diritti umani contro il proprio stesso popolo.
Del resto, l’azione militare statunitense ha mostrato tutti i suoi limiti e non è servita ad instaurare una nuova coscienza sociale rispettosa finanche degli standard minimi di rispetto dei diritti umani.
L’unica alternativa alla forza armata è la diplomazia.
Senza necessariamente riconoscere sul piano internazionale l’Afghanistan a guida talebana, sarà importante instaurare un proficuo dialogo da cui ricavare degli impegni concreti rispetto alla salvaguardia dei diritti umani.
I talebani non hanno alcun interesse ad essere isolati dalla comunità internazionale.
Quali sono i Paesi considerati oggi più rischio per la mancanza del rispetto dei diritti umani?
Le violazioni dei diritti umani sono trasversali e coprono tutti i continenti, sia pur con una intensità diversa.
Nell’area mediorientale, il fondamentalismo è fonte di gravi violazioni dei diritti umani, che infettano anche l’Occidente, dove penetrano in maniera esasperata certe ideologie.
In Asia, in America Latina e in Africa vi sono manifestazioni macroscopiche di queste violazioni, si pensi ai gravi abusi all’infanzia compiuti attraverso l’infibulazione e l’arruolamento di bambini negli eserciti e nelle milizie, fenomeno che colpisce moltissimi Paesi, come la Colombia, il Myanmar e la Repubblica Democratica del Congo.
Non dobbiamo, però, dimenticare che i diritti umani vengono calpestati non soltanto da chi applica la sharia, ma anche dalle grandi democrazie che ancora nel XXI Secolo applicano la pena di morte.
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