Iraq, USA e Israele: il caso di Elizabeth Tsurkov e il gioco delle pressioni geopolitiche

Di Giuseppe Gagliano

BAGhDAD. La vicenda della presunta agente del Mossad, Elizabeth Tsurkov, e le minacce americane all’Iraq per ottenerne il rilascio si inseriscono in un contesto geopolitico complesso, dove Washington tenta di rafforzare la sua influenza su Baghdad e, al tempo stesso, contenere l’espansione iraniana nella regione.

Elizabeth Tsurkov, presenta agente del Mossad

 

L’Amministrazione Trump ha adottato un approccio diretto e aggressivo: secondo quanto riportato da Al-Araby al-Jadeed, il Governo statunitense ha avvertito Baghdad che potrebbero esserci “gravi conseguenze” economiche e politiche se non verranno prese misure immediate per garantire il rilascio di Tsurkov.

Questo caso, però, non è solo una questione diplomatica, ma una dimostrazione del modo in cui gli Stati Uniti utilizzano la leva della pressione economica per influenzare gli equilibri regionali.

Il peso di Israele e l’ombra dell’Iran

Elizabeth Tsurkov, accademica russo-israeliana con un passato nell’Intelligence militare di Tel Aviv, è stata rapita a Baghdad nel marzo 2023. Israele ha immediatamente puntato il dito contro le milizie sciite legate a Teheran, in particolare Kataib Hezbollah, accusandole di essere responsabili della sua detenzione.

Tuttavia, finora nessun gruppo ha rivendicato il rapimento, lasciando intendere che il caso sia più complesso di quanto appaia.

L’Iraq, da parte sua, si trova in una posizione delicata: il primo ministro Mohammed Shia al-Sudani  è costretto a bilanciare la pressione americana con l’influenza iraniana, sempre più forte a Baghdad.

Il primo ministro iracheno Mohammed Shia al-Sudani

 

Il Governo iracheno ha dichiarato di stare lavorando attivamente per individuare Tsurkov, ma il mancato rilascio suggerisce che le milizie sciite abbiano il pieno controllo della situazione e stiano utilizzando la prigioniera come una carta di scambio strategica.

Trump e la strategia della “massima pressione”

L’Amministrazione Trump non si è limitata a minacciare l’Iraq per la questione Tsurkov, ma ha anche annunciato il blocco della deroga che permetteva a Baghdad di acquistare energia elettrica dall’Iran.

Questo significa che l’Iraq, il cui sistema energetico dipende per circa il 30% dalle importazioni iraniane, potrebbe trovarsi in gravi difficoltà nel garantire la fornitura elettrica alla propria popolazione, specialmente nei mesi estivi.

Questa mossa rientra nella strategia di “massima pressione” contro Teheran, che Trump ha rilanciato con il suo secondo mandato. Il messaggio è chiaro: Washington vuole costringere Baghdad a ridurre la sua dipendenza dall’Iran e ad allinearsi maggiormente con gli interessi occidentali e israeliani.

Tuttavia, questa politica potrebbe avere effetti collaterali significativi.

Il deterioramento delle relazioni tra Iraq e Iran rischia di destabilizzare ulteriormente la regione e spingere Baghdad a cercare alternative energetiche in Russia, Cina o nei Paesi del Golfo, aumentando la frammentazione del panorama geopolitico mediorientale.

Il triangolo geopolitico: Iraq tra Washington, Teheran e Tel Aviv

L’Iraq, da anni intrappolato tra le pressioni di Stati Uniti e Iran, si trova ancora una volta nel mezzo di una partita geopolitica più grande di lui. Da un lato, il Governo di Baghdad dipende dall’appoggio americano per la stabilità economica e per il supporto militare contro le cellule residue dell’ISIS.

La bandiera nera dell’ISIS

Dall’altro, le milizie sciite filo-iraniane esercitano un’influenza crescente sulle decisioni politiche interne.

L’escalation di pressioni da parte di Washington potrebbe avere conseguenze inattese.

Se il Governo iracheno decidesse di cedere alle richieste americane e facilitare il rilascio di Tsurkov, rischierebbe di perdere il sostegno delle fazioni sciite interne, aumentando la possibilità di nuove ondate di violenza. Se invece resistesse, si troverebbe a dover gestire una rappresaglia economica da parte degli USA, con effetti potenzialmente devastanti per la già fragile economia del Paese.

Un nuovo test per la diplomazia mediorientale

Il caso Tsurkov non è solo una questione di ostaggi, ma un indicatore chiave di come si stanno ridefinendo gli equilibri in Medio Oriente.

La postura aggressiva dell’Amministrazione Trump suggerisce che gli Stati Uniti non intendono arretrare nella loro pressione su Baghdad, ma questa strategia rischia di avere effetti destabilizzanti a lungo termine.

L’Iraq si trova di fronte a una scelta difficile: cedere alle pressioni americane, rischiando di innescare reazioni violente da parte delle milizie sciite, oppure resistere, affrontando conseguenze economiche e diplomatiche pesanti.

Nel frattempo, Teheran osserva attentamente, pronta a sfruttare ogni errore di Washington per rafforzare ulteriormente la propria influenza nella regione.

Ancora una volta, il Medio Oriente si conferma un terreno in cui ogni mossa ha conseguenze imprevedibili e dove la diplomazia è costretta a muoversi su un filo sottilissimo tra cooperazione e conflitto.

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