Irlanda: Tuam, la fossa comune che sfida la coscienza d’Europa

Di Cristina Di Silvio* 

DUBLINO. Tuam non è soltanto un luogo.

È uno squarcio nella coscienza d’Europa, un monito che si leva dal cuore di una piccola isola che per decenni ha tenuto nascosto il suo dolore sotto la superficie dell’erba alta e del silenzio.

L’orfanatrofio di Tuam (Irlanda)

Il 14 luglio scorso, l’Irlanda ha avviato la riesumazione dei resti di 796 bambini sepolti in una fossa comune all’interno dell’ex istituto religioso per madri e figli di Tuam, attivo dal 1925 al 1960 sotto la gestione delle Suore di Bon Secours.

È una delle più complesse operazioni forensi e memoriali mai intraprese nella storia dello Stato.

Ma non è solo una questione di archeologia giudiziaria: è un atto politico, sociale, culturale, che interroga la tenuta etica delle democrazie europee di fronte alle proprie ombre.

Il sito di Tuam, scoperto nel 2014 grazie al lavoro di una storica indipendente, divenne nel tempo un simbolo di ciò che accade quando uno Stato abdica alla sua responsabilità in favore di un potere sovrastatale: la Chiesa cattolica, in questo caso.

La relazione finale della Mother and Baby Homes Commission of Investigation, pubblicata nel 2021, documentò che nei 18 istituti esaminati morirono oltre 9 mila bambini, vittime di malnutrizione, malattie curabili e abbandono sistemico.

Per Tuam, la mortalità infantile raggiunse punte del 15% annuo: una cifra che supera quella registrata in molti campi profughi del dopoguerra.

Il dato non può essere liquidato come un’eccezione o una deviazione locale.

Era il frutto di un sistema istituzionalizzato, un meccanismo perfettamente integrato nella struttura della Repubblica irlandese del XX secolo, in cui il potere religioso e quello civile si fondevano in un’alleanza tossica.

La maternità al di fuori del matrimonio era considerata una colpa, una minaccia sociale, un’anomalia da cancellare con discrezione.

Le madri venivano internate, isolate, costrette al lavoro forzato e private dei loro figli.

Lo Stato, pur formalmente laico, finanziava questi istituti con fondi pubblici, delegando alle congregazioni religiose una funzione che avrebbe dovuto essere pubblica: la tutela della dignità umana.

In questo scenario, la normativa di riferimento esistente era ambigua, carente, spesso strutturata per non interferire con l’autorità ecclesiastica.

La mancanza di supervisione sistemica derivava anche dall’assenza, fino agli anni ’90, di una legge quadro sui diritti dell’infanzia realmente applicabile in ambito domestico.

È solo con il Children First Act 2015 che l’Irlanda inizia ad obbligare, per legge, tutti i professionisti a segnalare sospetti abusi o trascuratezza, introducendo un principio che, se fosse stato in vigore decenni prima, avrebbe potuto impedire molte morti.

L’articolo 42A della Costituzione, inserito solo nel 2015, riconosce per la prima volta i diritti costituzionali del bambino come soggetto autonomo.

Sono passaggi recenti, tardivi, eppure fondamentali.

Ecco perché la riesumazione a Tuam è qualcosa di più di un recupero di resti umani: è l’affermazione, sia pur tardiva, che la verità ha un valore giuridico e politico.

In parallelo, il Governo ha annunciato l’istituzione di un fondo di compensazione per le famiglie e di un memoriale nazionale.

Tuttavia, la legge istitutiva dell’exhumation process – il Institutional Burials Act 2022 – pur fornendo il quadro normativo necessario all’operazione, è stata criticata per la sua ambiguità rispetto alla natura del processo: si tratta di una procedura volta al riconoscimento individuale e alla giustizia riparativa o è, piuttosto, un’operazione di closure collettiva, finalizzata a chiudere una pagina scomoda del passato?

La domanda è tutt’altro che tecnica.

Perché se il trattamento dei resti e delle identità è gestito solo come gesto simbolico e non come atto di verità giudiziaria, si rischia di neutralizzare la portata politica del gesto.

In Europa, questa dinamica si ripete in forme diverse: dalle pensioni ai collaborazionisti in Francia, alle scuse tardive per il genocidio in Namibia da parte della Germania, fino alla recente legge canadese per la verità e riconciliazione con le comunità native dopo lo scandalo delle boarding schools.

In ognuno di questi casi, la memoria storica si scontra con le logiche della gestione politica.

Ma proprio per questo diventa una questione di sicurezza democratica.

La gestione della verità, oggi, è uno strumento di soft power interno: rafforza la fiducia pubblica, riafferma il primato dello Stato di diritto e ricostruisce il patto sociale.

L’Irlanda, membro attivo dell’UE, firmataria della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Stato neutrale ma profondamente integrato nella diplomazia multilaterale, si trova oggi ad affrontare un test cruciale: dimostrare che anche una democrazia nata da un passato confessionale può guardarsi allo specchio e scegliere di non distogliere lo sguardo.

Le leggi ci sono, ma da sole non bastano.

Serve una volontà politica capace di andare oltre l’amministrazione della memoria.

Perché ogni bambino riesumato da quella fossa di Tuam non è solo un atto di giustizia postuma: è una domanda lanciata al futuro.

È il punto in cui la storia incontra la geopolitica.

È il momento in cui un Paese decide se essere davvero una democrazia adulta.

E forse anche l’Europa, oggi più che mai fragile nella sua identità, dovrebbe guardare a Tuam non come a un’anomalia irlandese, ma come a uno specchio inquietante del potere che ha scelto il silenzio.

E domandarsi, con onestà: quanto abbiamo davvero imparato dal nostro passato?

*Esperta Relazioni internazionali, istituzioni e diritti umani (ONU)

 

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