Israele: avviato un programma pilota per la migrazione dei palestinesi di Gaza in Indonesia

TEL AVIV. Un recente rapporto del canale televisivo israeliano Channel 12 ha rivelato che un centinaio di residenti della Striscia di Gaza hanno lasciato il territorio per lavorare in Indonesia.

Secondo l’emittente, il trasferimento è avvenuto martedì scorso e riguarda principalmente il settore edile.

Questa iniziativa è parte di un “esperimento preliminare” sotto la supervisione del Coordinatore delle Attività del Governo israeliano nei territori occupati, il Maggiore Generale Ghassan Alian.

L’obiettivo dichiarato è quello di facilitare la migrazione volontaria della popolazione palestinese verso paesi terzi, come parte di un piano più ampio.

Il rapporto sottolinea che chiunque lasci la Striscia di Gaza per lavorare all’estero ha il diritto di tornarvi, in conformità con il diritto internazionale.

Tuttavia, l’obiettivo principale del progetto sembra essere l’insediamento a lungo termine all’estero, il che dipenderà dalle politiche adottate dal Governo indonesiano.

Il ruolo dell’Indonesia e le implicazioni geopolitiche

Nonostante l’assenza di relazioni diplomatiche ufficiali tra Israele e Indonesia, il progetto pilota sarebbe stato preceduto da consultazioni con il Governo di Giacarta.

Questo ha richiesto l’istituzione di un canale di comunicazione tra le due parti per garantire il successo dell’operazione.

Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz

Se il progetto dimostrerà la sua efficacia, l’Autorità per l’Immigrazione, creata dal Ministro della Difesa israeliano Israel Katz, assumerà la supervisione dell’iniziativa.

L’Agenzia, che opererà sotto l’egida del Ministero della Difesa israeliano in collaborazione con organismi di sicurezza come il COGAT, faciliterà il trasferimento sicuro e regolato dei palestinesi di Gaza verso Paesi terzi.

Indonesia e Palestina: decenni di cooperazione e supporto

L’Indonesia ha sempre dimostrato un forte sostegno alla causa palestinese, manifestando la sua solidarietà attraverso azioni sia simboliche che concrete. Il Paese del Sud-Est asiatico è stato tra i primi a riconoscere l’indipendenza della Palestina, ufficializzando le relazioni diplomatiche con la firma del Joint Communiqué Opening of Diplomatic Relations nel 1989.

Oltre agli incontri tra i diversi capi di Stato dei due Paesi, la solidarietà indonesiana è stata evidenziata da gesti politici significativi.

Ad esempio, agli Asian Games del 1962 in Indonesia, l’allora Presidente Sukarno si rifiutò di concedere il visto agli atleti israeliani.

Nel 2023, il Paese fu sollevato dal ruolo di organizzatore della World Cup Under-20 a seguito delle obiezioni sollevate da importanti figure politiche riguardo alla partecipazione di Israele.

Sul conflitto in atto, l’Indonesia si è apertamente schierata in supporto della Palestina, criticando duramente la risposta del Governo Netanyahu all’attacco del 7 ottobre.

La solidarietà si basa anche su un forte legame religioso: in entrambi i Paesi, infatti, l’identità e la dimensione religiosa rivestono un ruolo significativo nella politica.

Questo sentimento è ampiamente condiviso dalla popolazione indonesiana, come dimostrano le numerose manifestazioni di protesta contro Israele che si sono tenute nelle principali città del Paese dopo il 7 ottobre.

Una bandiera israeliana e una indonesiana


L’Indonesia enfatizza il diritto all’autodeterminazione della Palestina e critica le politiche di occupazione israeliane.

Il portavoce del Ministero degli Esteri ha recentemente ribadito che non ci sono negoziati in corso per una normalizzazione dei rapporti con Israele e che il paese continua a sostenere la soluzione dei due Stati.

Nonostante gli scambi commerciali tra Indonesia e Israele rimangano modesti, il sostegno di Jakarta va oltre le dichiarazioni verbali, concretizzandosi nell’invio di aiuti e investimenti infrastrutturali in Palestina.

Un esempio significativo è stata la costruzione di un ospedale a Beit Lahiya, nella Striscia di Gaza, purtroppo bombardato durante il conflitto attualmente in corso.

Il Governo indonesiano ha continuato a fornire aiuti umanitari alla popolazione di Gaza, nei limiti delle possibilità imposte dalla crisi.

Prima del 7 ottobre, l’Indonesia aveva avviato un processo di avvicinamento a Israele, principalmente in ambito economico.

Tuttavia, l’escalation del conflitto ha rafforzato il sentimento di solidarietà nei confronti della Palestina e riacceso le critiche contro il Governo israeliano.

Le ambizioni internazionali dell’Indonesia: l’adesione all’OECD

Il 20 febbraio 2024, il Consiglio dell’Organizzazione per la Cooperazione economica e lo Sviluppo (OECD) ha avviato le trattative per l’adesione dell’Indonesia all’organizzazione.

L’OECD attualmente conta 38 membri tra le principali economie mondiali, incluso Israele.

L’ingresso in questa organizzazione prevede un lungo processo di adeguamento delle politiche economiche e burocratiche del Paese candidato, affinché siano conformi agli standard degli altri membri.

Tuttavia, per l’Indonesia si pone una questione diplomatica rilevante: qualsiasi nuovo membro dell’OECD deve ottenere il consenso di tutti i paesi già membri, compreso Israele.

Questa dinamica potrebbe complicare il percorso di adesione indonesiano, considerando la storica posizione di Giacarta nei confronti di Tel Aviv.

Israele potrebbe sfruttare questa leva diplomatica per ottenere concessioni o almeno un allentamento della posizione indonesiana sulla questione palestinese.

Mentre il Governo di Giacarta cercherà di bilanciare le proprie aspirazioni economiche con il forte sostegno popolare alla Palestina, resta da vedere se le pressioni internazionali influenzeranno la politica estera indonesiana.

Il progetto pilota di emigrazione dei palestinesi di Gaza verso l’Indonesia si inserisce in questo contesto complesso e potrebbe rappresentare un ulteriore punto di tensione nelle relazioni tra i due Paesi.

Un piano controverso: critiche e reazioni internazionali

L’annuncio del programma israeliano ha suscitato forti critiche da parte dei leader palestinesi e di diversi paesi arabi, che lo considerano un tentativo di sfollamento forzato. Secondo il diritto internazionale, il trasferimento forzato di popolazioni sotto occupazione è vietato e può configurarsi come un crimine di guerra.

Israele sostiene che il progetto sia una risposta alle difficili condizioni di vita nella Striscia e alla crescente opposizione interna a Hamas, testimoniata dalle proteste nelle città di Beit Lahia, Khan Yunis e Al-Mawasi. Tuttavia, i critici ritengono che l’iniziativa sia parte di una strategia più ampia per ridurre la presenza palestinese a Gaza.

Questa controversa operazione sarà attentamente monitorata dalla comunità internazionale, mentre il dibattito sulla legittimità delle politiche israeliane nella Striscia di Gaza continua a intensificarsi.

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