Israele: dal piano di Netanyahu all’approvazione del controllo militare su Gaza City. Cronologia, implicazioni strategiche e interrogativi geopolitici

Di Bruno Di Gioacchino

TEL AVIV. Ieri, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato pubblicamente l’intenzione di procedere a una presa di controllo militare completa della Striscia di Gaza, seguita da una transizione della gestione civile verso forze arabe “non ostili” a Israele.

Un momento dela riunione del Gabinetto di guerra

 

L’obiettivo dichiarato è duplice: da un lato l’eliminazione di Hamas e delle altre milizie armate dalla Striscia, dall’altro l’evitare una presenza israeliana permanente nella gestione quotidiana del territorio.

Il piano prevede dunque due fasi distinte: una prima offensiva militare estesa e una seconda fase di transizione amministrativa, in cui soggetti terzi – ancora non ufficialmente identificati – assumerebbero funzioni civili e logistiche.

Tra i potenziali attori ipotizzati: l’Egitto o altri Paesi del Golfo.

Rimarrebbe comunque un “perimetro di sicurezza” israeliano per evitare il ritorno di minacce armate.

Israele aveva lasciato la Striscia nel 2005 dopo l’occupazione iniziata nel 1967, ma ha mantenuto il controllo dei confini.

Con la presa del potere da parte di Hamas nel 2007, è in vigore un blocco totale.

Soldati israeliani in un’operazione anti Hamas

 

L’annuncio di ieri riapre quindi la questione di una presenza militare diretta, sia pure priva di responsabilità amministrativa continuativa.

All’interno dell’establishment israeliano, non mancano le critiche.

Il capo di Stato Maggiore Eyal Zamir ha espresso riserve operative, in particolare per i rischi legati agli ostaggi ancora presenti a Gaza, all’impatto umanitario di una nuova escalation e ai costi economici stimati in circa 10 miliardi di dollari all’anno.

Il numero delle vittime palestinesi dall’inizio del conflitto ha superato le 61 mila unità, secondo fonti umanitarie, mentre le condizioni infrastrutturali e sanitarie della Striscia sono al collasso.

Israele dà il via al controllo militare su Gaza City: incognite e possibili scenari

Nel corso della notte appena trascorsa, il Gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato ufficialmente il piano di Netanyahu, con un primo focus operativo su Gaza City, il principale centro urbano della Striscia.

Il piano autorizzato prevede l’evacuazione della popolazione civile verso Sud, seguita da un’offensiva terrestre finalizzata a stabilire un controllo militare diretto sull’area urbana, senza però istituire un’amministrazione israeliana stabile.

Immagini a Gaza di aiuti della GHF

 

Israele punta ora a costruire una nuova architettura di sicurezza indiretta, affidando la gestione civile a “forze arabe amiche”, ma senza un vero mandato multilaterale.

Diversi attori regionali – tra cui Egitto e Arabia Saudita – avrebbero espresso condizioni rigide, in particolare il coinvolgimento dell’Autorità Palestinese, attualmente esclusa dal piano.

L’operazione si inserisce in una cornice geopolitica più ampia, dove il controllo di territori instabili avviene spesso per procura. Gaza City, crocevia strategico del Mediterraneo orientale, torna a essere teatro di un conflitto asimmetrico, simile per logica a quelli della Guerra Fredda: la sicurezza come leva per ridefinire gli equilibri regionali.

Le critiche interne all’IDF persistono.

Oltre ai dubbi strategici, cresce la pressione internazionale affinché Israele rispetti il diritto umanitario internazionale, specie in relazione agli sfollamenti forzati, alla distruzione di infrastrutture civili e al trattamento dei prigionieri.

Due scenari opposti

L’evoluzione del piano potrebbe seguire due strade distinte:

  • Governance indiretta: Israele installa un perimetro militare stabile e cede la gestione civile a terzi. Questo modello potrebbe garantire un controllo strategico senza costi diretti di amministrazione, ma genererebbe instabilità cronica e dipendenza da alleanze esterne.
  • Occupazione prolungata: l’escalation militare si trasforma in una presenza sul terreno senza scadenza. Si tratterebbe di una occupazione de facto, con conseguenze gravi sul piano legale, reputazionale e geopolitico.

Un nodo critico del Mediterraneo

In entrambi i casi, Gaza si conferma un nodo irrisolto e centrale nei conflitti del Mediterraneo orientale.

Le sue sorti avranno impatti diretti sulla credibilità democratica di Israele, sulle relazioni con i Paesi arabi, e sulla possibilità di tornare a parlare – anche solo teoricamente – di una soluzione a due Stati.

La comunità internazionale resta in attesa di sviluppi concreti, mentre sul terreno la tensione resta altissima.

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