Israele, Hamas e gli ostaggi: analisi geopolitica di un rush finale incerto

Di Bruno Di Gioacchino

TEL AVIV. Israele sta cercando di condurre una fase finale delle operazioni militari a Gaza con l’obiettivo dichiarato di distruggere le ultime roccaforti di Hamas e liberare gli ostaggi ancora vivi.

Gli attacchi israeliani su Gaza City

Al centro della strategia militare vi è Gaza City, dove si presume siano concentrati molti ostaggi e parte del comando centrale del gruppo islamista.

L’attenzione è massima sul quartiere Al Jalaa e sul centro cittadino, ritenuti nodi chiave dell’apparato operativo di Hamas.

Tuttavia, le complessità urbane, la presenza di civili e le infrastrutture sotterranee rendono ogni manovra militare un’operazione ad altissimo rischio, con il pericolo concreto di vittime civili e danni reputazionali incalcolabili.

Organizzazioni internazionali come l’ONU denunciano già crimini di guerra, con parole gravi come “genocidio” e “carneficina”.

Il Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres

Sul piano diplomatico e negoziale, Israele ha tracciato una linea molto rigida: nessuna tregua senza il rilascio completo e immediato di tutti gli ostaggi in vita.

Questo irrigidimento rende difficile ogni proposta di compromesso, anche quando Hamas ha dimostrato in passato una certa apertura a soluzioni intermedie.

Gli Stati Uniti, pur sostenendo l’obiettivo strategico israeliano di eliminare Hamas, spingono per una soluzione che eviti escalation regionali, ma al momento appaiono allineati all’intransigenza israeliana, lasciando pochi spazi di manovra.

Nel frattempo, il costo umanitario aumenta.

Un’immagine di Gaza

Centinaia di migliaia di persone sono sfollate o intrappolate, le condizioni igienico-sanitarie sono drammatiche, e i rifornimenti essenziali scarseggiano.

In Israele cresce anche la tensione interna: le famiglie degli ostaggi protestano contro Netanyahu, accusandolo di anteporre l’obiettivo militare alla salvezza dei propri cari.

Il ministro della Difesa israeliana Katz

Il Governo è così esposto su due fronti: da un lato le pressioni interne, dall’altro le crescenti accuse internazionali per la gestione del conflitto.

Gli scenari legati alla sorte degli ostaggi sono molteplici.

Nel migliore dei casi, Israele riesce a localizzarli e liberarli con precisione chirurgica, oppure impone un accordo con Hamas sotto pressione militare.

Ma esiste anche la possibilità, tragica, che alcuni ostaggi muoiano nei combattimenti o vengano trasferiti in luoghi inaccessibili per essere usati come leva negoziale o come scudi umani.

Sul lungo periodo, l’eliminazione militare di Hamas potrebbe cambiare la mappa politica e territoriale della Striscia di Gaza, ma non garantisce una stabilità duratura.

Il vuoto di potere rischia di favorire l’emergere di gruppi jihadisti ancora più radicali, soprattutto in assenza di un piano credibile di ricostruzione politica ed economica.

Inoltre, l’uccisione di civili o la morte di ostaggi potrebbe vanificare ogni vittoria tattica, alimentando sentimenti di vendetta e isolamento internazionale.

Infine, una simile operazione finale potrebbe rafforzare la narrativa di chi, nel mondo arabo e non solo, accusa Israele di pratiche coloniali o aggressive.

Gli equilibri diplomatici potrebbero spostarsi, con la nascita di nuove alleanze regionali anti-israeliane o con il raffreddamento dei rapporti con Paesi arabi moderati.

il primo ministro Netanyahu presiede una riunione operativa

Internamente, Netanyahu si gioca la tenuta del consenso: un fallimento sul fronte ostaggi, accompagnato da immagini di distruzione e morte, potrebbe generare una crisi politica senza precedenti, anche nei rapporti con gli alleati storici come gli Stati Uniti.

Non vi è certezza che questo “rush finale” porti alla morte totale di Hamas o al salvataggio di tutti gli ostaggi in vita.

Esistono scenari che suggeriscono che l’operazione possa riuscire almeno in parte, ma con costi umani molto alti.

Il successo militare non coincide necessariamente con il successo politico, morale, diplomatico.

In questo contesto, la vera sfida sarà trasformare un possibile trionfo bellico in un’opportunità per ricostruire sicurezza, legittimità e futuro, evitando che l’operazione si trasformi in una vittoria amara e isolante.

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