Di Fabrizio Scarinci
TEL AVIV. Nelle ultime ore, Israele e Hamas hanno raggiunto a Doha un accordo volto a fermare per quattro giorni le operazioni militari in atto nella Striscia di Gaza.
Ottenuto con la mediazione del Qatar (e il supporto di Egitto e Stati Uniti), tale accordo prevede anche che Hamas rilasci a piccoli gruppi almeno 50 degli ostaggi catturati lo scorso 7 ottobre in cambio di 150 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane e del via libera di Tel Aviv all’arrivo di maggiori aiuti umanitari nel territorio della Striscia.
In tale contesto, quali siano i soggetti che le autorità israeliane potrebbero decidere di consegnare non è ancora del tutto chiaro, anche se, a quanto pare, il Ministero della Giustizia di Israele avrebbe stilato una lista di 300 persone che potrebbero essere liberate, di cui farebbero parte soprattutto donne e minori.
Stando a quanto riportato, l’accordo in questione dovrebbe coinvolgere anche Hezbollah, che, pur avendo accuratamente evitato di compiere il “passo più lungo della gamba”, ha intrapreso, sin dall’8 ottobre scorso, una lunga serie di azioni ostili contro il territorio dello Stato Ebraico, che ha costantemente bersagliato con i propri razzi e i propri missili anti-carro.
A tali azioni, le IDF hanno, ovviamente, risposto colpo su colpo, dimostrando, ancora una volta, la loro elevatissima prontezza operativa e la loro capacità di gestire più fronti contemporaneamente (due elementi che, pur non potendo riparare del tutto agli iniziali fallimenti dell’intelligence, appaiono comunque abbastanza rassicuranti per la futura tenuta dello Stato d’Israele).
Quanto alla Striscia di Gaza, invece, dopo aver progressivamente intensificato le loro operazioni all’interno di Gaza City, le forze di Tel Aviv apparivano ormai da giorni intente a pianificare nuove azioni nella città di Khan Younis e nella fascia più meridionale della sfortunata exclave palestinese.
Stando alle dichiarazioni dei vertici militari israeliani, tali azioni dovrebbero comunque iniziare una volta terminata la tregua, che per il loro portavoce, Tenente Colonnello Richard Hecht, sembrerebbe rappresentare solo una semplice pausa operativa e non certo la fine del conflitto.
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