Israele: i dettagli dell’operazione condotta da Teheran. Cosa potrebbe accadere nelle prossime settimane

Di Fabrizio Scarinci

TEL AVIV. Secondo fonti di Tel Aviv, nel loro attacco contro Israele, gli iraniani avrebbero impiegato oltre 300 sistemi d’attacco; tra cui circa 120 missili balistici, 30 missili da crociera e 170 droni kamikaze.

La moschea di Al Aqsa durante l’attacco – Mehr News Agency

In particolare, per quanto riguarda i missili balistici, si tratterebbe di MRBM di tipo Emad, Qadr F, Qadr H e Sejil-2.

Riguardo, invece, ai missili da crociera, lanciati, in parte, anche dagli Houthi, si parla di sistemi di tipo Soumar, Hoveizeh e Paveh (armi che, secondo diversi esperti, deriverebbero tutte da uno studio effettuato su un lotto di cruise sovietici Kh-55 importati illegalmente dall’Ucraina nel 2001).

Venendo, infine, ai droni, alcuni dei quali utilizzati anche allo scopo di saturare le difese israeliane, sebbene non siano stati tutti identificati, tra essi vi sarebbero diverse decine di Shaed-136 (sistemi ampiamente utilizzati anche dalle forze russe in Ucraina), Arash-2 e Arash-3.

Stando a quanto si è avuto modo di apprendere, alcuni di essi sarebbero partiti anche dai territori di Iraq e Siria, lanciati presumibilmente dalle milizie sciite filo-iraniane presenti nell’area.

Rappresentazione grafica del drone Shahed 136, che sarebbe stato utilizzato, durante l’attacco, in almeno 50 esemplari

Quanto ad Israele, il suo sistema difensivo è notoriamente strutturato sugli intercettori antibalistici Arrow 2 e Arrow 3, sui sistemi di difesa a medio-lungo raggio David’s Sling e Patriot PAC-2 e, ovviamente, sul sistema a medio-corto raggio Iron Dome.

Considerando l’entità dell’attacco iraniano, è assai probabile che tutti questi tipi di sistemi siano più volte entrati in azione.

Il sistema Iron Dome in azione

Oltre ad essi, l’IDF avrebbe utilizzato anche buona parte della propria aviazione, la cui componente da combattimento è costituita da velivoli di tipo F-15 A/B/C/D (definiti localmente “Baz”), F-15I “Raam”, F-16 C/D/I ed F-35I “Adir”.

Un ruolo di primo piano sarebbe, poi, stato giocato dai velivoli CAEW e dalle aviocisterne KC-707 e KC-130, che avrebbero fornito supporto ai caccia impegnati nelle operazioni.

F-16 dell’IDF in fase di decollo

Queste forze difensive sarebbero, inoltre, state affiancate da un’aliquota di F-15E dell’US Air Force rischierati in Giordania, da alcuni Eurofighter Typhoon della Royal Air Force provenienti dalla base cipriota di Akrotiri, da alcuni caccia francesi rischierati nell’area, dagli F-16 e dai sistemi di difesa antiaerea giordani e, non da ultimo, dai cacciatorpediniere della Marina statunitense Arleigh Burke e Carney, che già da qualche giorno incrociavano nelle acque del Mediterraneo orientale.

Il cacciatorpediniere USS Arleigh Burke in navigazione

Risulta, infine, piuttosto probabile anche che il Pentagono abbia messo a disposizione di Israele i dati provenienti dai propri sistemi spaziali di allerta precoce.

Al termine dell’attacco, i vertici dell’IDF hanno dichiarato l’abbattimento del 99% dei sistemi iraniani, anche se, a dire il vero, circa una decina di MRBM sarebbe sfuggita all’apparato difensivo posto in essere da Tel Aviv e dai suoi alleati, danneggiando lievemente alcune strutture delle basi aeree di Nevatim, Ramon e Ramat David.

Un missile balistico di tipo Qadr in fase di lancio

Di contro, va anche detto che molti dei missili balistici lanciati (non si sa ancora bene quanti) sarebbero precipitati prima di raggiungere il territorio di Israele.

La restante parte di essi sarebbe, poi, stata abbattuta degli Arrow, dai sistemi di difesa a medio-lungo raggio e da quelli dei due cacciatorpediniere statunitensi (che, a quanto pare, ne avrebbero intercettati quattro).

Tutti neutralizzati anche i missili da crociera (25 dei quali sarebbero stati intercettati dai caccia dell’IDF e i restanti 5 dagli velivoli degli alleati) e i droni kamikaze in arrivo (intercettati prevalentemente dai caccia e dall’Iron Dome).

Arrow 2 in fase di lancio

Secondo numerosi esperti, quantunque sia stata ufficialmente posta in essere allo scopo di rispondere al raid israeliano del 1° aprile scorso contro il consolato iraniano di Damasco, tale azione avrebbe comunque avuto, come obiettivo principale, quello di salvaguardare la credibilità della Repubblica Islamica nei confronti dei suoi “proxies”.

Dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, infatti, il regime degli Ayatollah sembrerebbe aver optato per un profilo relativamente basso (anche perché, date le sue capacità militari, non avrebbe alcuna possibilità di intervenire in maniera incisiva nei confronti di Tel Aviv).

L’Iran in seno al complesso contesto mediorientale

Com’è facile immaginare, però, operare un parziale sganciamento dal proprio stesso “impero” nel momento in cui alcune delle sue componenti si trovano coinvolte in un conflitto non sembrerebbe essere un atteggiamento del tutto “azzeccato”.

Infatti, se, da una lato, si rischia di “perdere la faccia” (e, con essa, anche una buona fetta di influenza politica) rispetto ai propri satelliti, dall’altro, vuoi perché lo sganciamento operato è, per forza di cose, solo parziale (altrimenti l’influenza politica si perderebbe del tutto), vuoi perché ci si trova comunque a rappresentare il fulcro del sistema di alleanze in questione, non si può nemmeno sperare di ottenere sconti da parte del nemico.

Il Presidente della Repubblica Islamica Ebrahim Raisi

E così, dopo il raid del 1° aprile, che costituisce un attacco a viso aperto da parte di Israele, l’Iran avrebbe deciso di approfittare della situazione per riprendere in mano la leadership politica del cosiddetto “Asse della resistenza” (questo il nome dell’alleanza che lega Teheran ai suoi proxies) tentando, pur con tutti i rischi del caso, un’azione militare contro il territorio israeliano.

Un’azione, verosimilmente, non simbolica, o almeno non del tutto (se non altro perché non si lanciano 120 missili balistici se non si ha l’intenzione di “bucare”, almeno parzialmente, il sistema di difesa avversario), ma comunque circoscritta dal punto di vista temporale (cosa, quest’ultima, che sarebbe stata più volte ribadita dalle stesse autorità iraniane già durante le ore dell’attacco).

Un missile balistico Emad

Se grazie a questa mossa Teheran riuscirà ad ottenere qualche vantaggio politico nell’ambito del suo sistema di alleanze lo si capirà meglio nel prossimo futuro.

Al momento, però, dell’attacco sembrerebbe rimanere solo un immenso fallimento operativo determinato dalle eccellenti capacità militari dello Stato Ebraico e degli alleati venuti in suo soccorso.

Venendo, invece, alla possibilità che, nei prossimi giorni, Tel Aviv ponga in essere una rappresaglia, si segnala la forte contrarietà degli USA (un elemento su cui, probabilmente, Teheran aveva fatto affidamento fin dall’inizio).

Per Washington, infatti, le priorità strategiche sono attualmente rappresentate dal contenimento della Cina e dal supporto all’Ucraina; di conseguenza, un ulteriore allargamento del conflitto mediorientale rappresenterebbe una prospettiva altamente indesiderabile, e, se gli apparati statunitensi hanno mostrato la massima solidarietà nei confronti di Israele nel momento in cui è stato sotto attacco, ben difficilmente avrebbero lo stesso atteggiamento qualora Tel Aviv lanciasse una campagna contro il territorio iraniano.

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