Israele, il trasferimento dell’Ambasciata Usa a Gerusalemme muove la politica medio orientale

Gerusalemme. Il 14 maggio, giorno del 70° anniversario dell’indipendenza israeliana, l’Ambasciata americana sarà trasferita a Gerusalemme, come preannunciato dal Presidente americano Donald Trump lo scorso dicembre. Il trasferimento sarà perlopiù simbolico poiché alcuni membri dello staff americano saranno trasferiti dall’ambasciata di Tel Aviv nel complesso di edifici che ospita il Consolato americano nel quartiere di Arnona a Sud di Gerusalemme.

Il Presidente Usa, Donald Trump

Questa mossa continua a ricalcare l’ambiguità della politica estera dell’amministrazione di Trump nei confronti della questione israelo-palestinese. Il dubbio sorge in vista del fatto che il Dipartimento di Stato americano è alla ricerca di fondi per finanziare la costruzione dell’Ambasciata a Gerusalemme, la cui apertura è prevista per la fine del 2019.

Inoltre, tale ambiguità nasce anche dall’iniziale rilocazione dello staff americano nel Consolato ubicato nel quartiere di Arnona. Questa area è considerata, secondo la linea di demarcazione stabilita dall’armistizio arabo-israeliano del 1949 alla fine della guerra del 1948-1949, la cosiddetta terra di nessuno.

Membri dell’Haganah

Il territorio è rimasto conteso tra la Giordania ed Israele fino alla Guerra dei Sei Giorni del 1967. Lo status quo poi è cambiato con l’occupazione israeliana di tale area nel ‘67.

Secondo il New York Times il trasferimento nel giorno dell’indipendenza israeliana avverrebbe in una zona che per la metà rientra nel quartiere ebraico ad Ovest di Gerusalemme e, per l’altra metà, al di fuori dei confini israeliani e quindi considerata zona occupata secondo le leggi internazionali.

Le autorità palestinesi dichiarano illegittimo il trasferimento e che tale spostamento logistico in una zona difficile da definire secondo il diritto internazionale deteriorerebbe ulteriormente le possibilità di pace tra israeliani e palestinesi. La questione di Gerusalemme dovrebbe difatti essere risolta tramite negoziati tra le parti per definire uno status permanente della città, come d’altronde era già stato deciso negli accordi di Oslo del 1993.

Le dure proteste dei palestinesi, dopo le dichiarazioni del Presidente Usa, Trump nei mesi scorsi

Che conseguenze avrà la mossa di Trump del 14 maggio? Dopo la sua dichiarazione lo scorso dicembre, Hamas, Islamic Jihad e l’ANP (Autorità nazionale palestinese) avevano inneggiato alla Terza Intifada. Nonostante i primi disordini nella striscia di Gaza e nella West Bank e dopo il lancio di razzi dalla Striscia dentro Israele (senza causare nessun danno o ferito) sembra che la situazione si sia calmata.

Se la reazione palestinese sia stata limitata grazie alla bravura delle Forze di Difesa israeliane, o se sia stata contenuta visto la situazione di disperazione in cui i palestiniani continuano a versare, è difficile da definire.

Per adesso Israele guarda con preoccupazione al confine col Libano dove il regime iraniano continua a fornire armi ad Hezbollah e ad aumentare la sua influenza in Siria.

Da sopra le Alture del Golan l’Esercito israeliano cerca di contenere il traboccamento della sanguinosa guerra civile siriana dentro il confine di Israele.

La lotta di Netanyahu all’interno del Knesset per portare a conclusione il suo mandato nonostante le accuse di corruzione, l’espansione del regime di Khamenei nella regione e l’ambiguità del peace plan americano che continua ad essere preannunciato ma che sembra sempre più dimostrare l’incapacità dello staff di Trump di offrire soluzioni attuabili al conflitto israelo-palestinese, fanno intuire che lo stallo tra israeliani e palestinesi continuerà a discapito della popolazione palestinese.

Il capo del Governo israeliano Netanyahu

Infine, la continua insistenza di Netanyahu per cercare di convincere l’occidente che l’Iran sia una minaccia globale fanno intuire che i servizi israeliani hanno stimato potenziali ripercussioni contro la decisione di Trump da parte di Hezbollah e non da parte di Hamas ed ANP.

Fare previsioni in Medio Oriente è sempre stato come vincere alla lotteria; adesso l’ambiguità della politica estera di Donald Trump ha reso il tutto più complicato.

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