Di Paola Ducci*
GERUSALEMME (nostro servizio particolare). Nel 1917 due terzi della popolazione araba, circa 600 mila persone, erano rurali e organizzati in villaggi, con realtà locali e di clan e pochi legami con le città.
Solo quella che veniva ritenuta la leadership araba “nazionale” aveva sede nelle città e nelle mani di solo due o tre famiglie affermate e rivali che dominavano la politica palestinese.
L’identità nazionale era decisamente poco sentita. Al contrario la maggioranza degli ebrei arrivati in Palestina era ben organizzata, motivata e competente.
Il contrasto tra la crescente società ebraica in Palestina – l’Yishuv – e la popolazione araba indigena, prevalentemente musulmana, non poteva essere più grande.
All’inizio degli anni Venti organizzarono il loro Esercito clandestino, l’Haganah e fu creato un governo ombra ebraico con Dipartimenti che si occupavano di ogni aspetto della società: l’istruzione, i sindacati, gli agricoltori, gli insediamenti “kibbutzim” che si diffusero in tutta la Palestina, la legge e i partiti politici.
Durante la Seconda Guerra mondiale i combattenti dell’Haganah si unirono all’Esercito britannico acquisendo abilità ed esperienza militare.
Non così gli arabi. Allo stesso tempo gruppi estremisti come l’Irgun Zwei Leumi e il Lehi, o Gruppo Stern, iniziarono una brutale campagna di assassinii, attentati, rapimenti, intimidazioni, interruzioni e sabotaggi. Le loro azioni erano dirette contro britannici, arabi e persino ebrei. Durante la guerra il movimento sionista definì chiaramente il suo obiettivo di un dominante Stato ebraico in Palestina.
Dopo il 1945, quando vennero alla luce i drammatici eventi dei campi di sterminio hitleriani, la clandestinità ebraica intensificò la campagna di terrore per spodestare gli inglesi, accusati di simpatie arabe e le organizzazioni ebraiche cercarono di riavviare un’immigrazione illimitata.
Un enorme sostegno emotivo e politico ai sionisti venne dagli Stati Uniti.
L’indebolito Governo britannico del dopoguerra non aveva più la forza o il coraggio di controllare la Palestina o di cercare una via di mezzo che soddisfacesse sia gli ebrei che gli arabi.
La Gran Bretagna passò il problema alle Nazioni Unite. Il 29 novembre 1947 l’Assemblea Generale dell’ONU votò la spartizione della Palestina in settori ebraici e arabi.
L’opposizione araba fu violenta e totale, ma l’acclamazione ebraica fu massima. Fu in questo clima che scoppiò la Prima Guerra israelo-araba e i combattimenti iniziarono quasi subito.
Già prima della fine del mandato, in aprile e maggio, i combattenti ebrei si mossero per proteggere, consolidare e ampliare il territorio del nuovo Stato ebraico.
Spesso attaccarono le aree destinate agli arabi e cercarono di spopolare le aree arabe nel settore ebraico pianificato. Il 9 aprile i combattenti ebrei massacrarono decine di abitanti palestinesi nel villaggio di Deir Yassin a Gerusalemme Ovest, causando un panico diffuso e aumentando notevolmente la fuga dei palestinesi dalle loro case in tutto il Paese.
Come previsto dalle autorità ebraiche, gli Eserciti arabi di Egitto, Giordania, Siria, Iraq e Libano cercarono di invadere la Palestina non appena le forze britanniche se ne fossero andate.
La campagna araba fu male organizzata e non coordinata, con unità non addestrate che non erano all’altezza dell’Haganah e, più tardi, della Forze di Difesa Israeliana (IDF). Anche le milizie palestinesi e altri irregolari arabi furono facilmente battuti.
C’era un’eccezione: la Legione Araba, addestrata e con sede in Gran Bretagna, sotto il comando di Re Abdullah di Giordania.
Ma era vincolata finanziariamente e politicamente al Re influenzato dagli inglesi e che aveva già concordato con i leader ebrei sulle questioni territoriali con ambizioni in Palestina.
La Legione Araba, quindi, si limitò a difendere il territorio di Gerusalemme Est e dintorni, la Città Vecchia e la sponda occidentale del Giordano.
A metà del 1949 circa 700 mila dei circa 900 mila arabi palestinesi avevano lasciato la regione interessata, costretti da una combinazione di fattori: tattiche di terrore ebraico/israeliano, la spaventosa spinta della guerra, il panico contagioso dei residenti locali, una leadership araba fragile e incompetente, la fuga di alcune famiglie più ricche e quindi influenti e l’effettiva vendita di terre arabe agli ebrei senza coercizione, spesso da parte di proprietari terrieri arabi.
Questi palestinesi finirono nei campi profughi del Libano, della Siria, della Giordania e di Gaza gestiti dall’Egitto e nel territorio palestinese della Cisgiordania, che era governato dal Re giordano Abdullah, così come Gerusalemme Est araba.
I rifugiati palestinesi e i loro discendenti nella regione sono oggi più di tre milioni.
Da allora Israele si è rifiutato di permettere il ritorno dei rifugiati, spesso sostenendo che non c’era comunque spazio per loro.
I trattati di pace e gli accordi con l’Egitto, la Giordania e il movimento palestinese non hanno modificato questa situazione.
Nel 1917 gli ebrei in Palestina erano circa 50 mila
Nel 1948 erano diventati 650 mila israeliani. Allo stesso tempo la maggior parte degli arabi palestinesi aveva lasciato Israele poichè solo 200 mila circa avevano resistito alla guerra e ad altre privazioni ed erano rimasti in Israele.
Israele è diventato uno Stato il 15 maggio 1948 e fu riconosciuto lo stesso giorno dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica.
*Editor per l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa
© RIPRODUZIONE RISERVATA