Israele: Netanyhau vuole mantenere tre aree strategiche a Gaza. L’Egitto guida la mediazione e prepara la sicurezza post-ritiro

Di Chiara Cavalieri *

IL CAIRO. Mentre l’Egitto si prepara ad accogliere, oggi, le delegazioni di Israele e Hamas per discutere l’attuazione del piano Trump per Gaza e un possibile accordo di scambio di prigionieri, emergono nuove rivelazioni che rischiano di compromettere l’intero processo di pace.

Secondo quanto riportato dai principali media israeliani, Tel Aviv avrebbe informato gli Stati Uniti dell’intenzione di mantenere una presenza militare stabile in tre aree strategiche della Striscia di Gaza, nonostante la ferma opposizione egiziana.

Le tre aree chiave: sicurezza o permanenza mascherata?

Secondo fonti militari citate dal canale Tv israeliano 10 e dal corrispondente Itay Blumenthal della Israel Broadcasting Corporation, Israele intende restare in:

  1. Il Corridoio di Filadelfia: Una striscia di terra lunga circa 14 chilometri e larga 100 metri lungo il confine tra Gaza e l’Egitto, sotto pieno controllo israeliano dal maggio 2024.
    Ufficialmente, il corridoio serve a prevenire il contrabbando di armi e il passaggio di combattenti. Tuttavia, per Il Cairo rappresenta una violazione diretta degli accordi di sicurezza e una minaccia alla sovranità egiziana.
    L’Egitto ha chiesto più volte il ritiro immediato delle forze israeliane, sottolineando che la presenza di truppe straniere sul confine sud di Gaza non potrà mai essere accettata.
  2. La collina 70 (Jabal Al-Muntar): Situata nella zona di Shuja’iyya, a est di Gaza City, la collina — alta 70 metri sopra il livello del mare — offre una posizione di dominio tattico e di sorveglianza su ampie aree del nord della Striscia, tra cui Zeitoun, Jabalia e Shuja’iyya stessa.
    Israele considera questo punto strategico essenziale per il controllo del fuoco e dell’intelligence militare, ma la sua permanenza in loco rischia di trasformarsi in una base d’occupazione permanente, ostacolando qualsiasi futuro accordo di cessate il fuoco.
  3. La zona cuscinetto attorno alla Striscia di Gaza: Dall’inizio del conflitto nell’ottobre 2023, Israele ha ampliato progressivamente la cosiddetta “buffer zone”, una fascia di sicurezza che oggi copre oltre 62 km², pari a circa il 17% del territorio di Gaza.
    Quest’area, lungo tutto il perimetro della Striscia, viene utilizzata per impedire il ritorno dei residenti palestinesi e consolidare il controllo militare israeliano.Di fatto, la zona cuscinetto crea una nuova linea di separazione che ridisegna i confini di Gaza e limita ulteriormente la libertà di movimento dei civili.Il piano di Tel Aviv e le tensioni con Il Cairo
    Israele giustifica la sua permanenza militare come misura di sicurezza indispensabile, e secondo fonti diplomatiche avrebbe già ottenuto una parziale comprensione da parte americana, nel contesto dei negoziati in corso sul piano di ricostruzione post-bellico.

    Ma l’Egitto – garante degli accordi di confine dal 1979 – ha reagito con preoccupazione e fermezza, vedendo in questa decisione un tentativo di istituzionalizzare l’occupazione militare sotto il pretesto della sicurezza.

    Fonti del Ministero degli Esteri egiziano hanno confermato che il tema delle aree contese sarà centrale nei colloqui del 6 ottobre al Cairo, insieme al piano Trump per la cessazione del conflitto e al processo di scambio dei prigionieri.

    Un possibile meccanismo di sicurezza dopo il ritiro israeliano

    Nel frattempo, dopo il ritiro israeliano da Gaza, forze di sicurezza palestinesi addestrate in Egitto e Giordania inizieranno a pattugliare la Striscia.
    Circa 5 mila agenti palestinesi, formati negli ultimi mesi in Egitto, entreranno nella Striscia in tre fasi successive.

    Parallelamente, migliaia di agenti di polizia palestinesi continueranno l’addestramento in Giordania, in base a un accordo regionale che prevede un progressivo dispiegamento delle forze.
    Secondo la stessa fonte, le unità opereranno sotto la supervisione di un Comitato di Amministrazione di Gaza composto da 15 tecnocrati palestinesi, tra cui l’ uomo d’ affari e miliardario  egiziano Nagib Sawiris, rispondenti a un Consiglio di Amministrazione presieduto da Tony Blair, nell’ambito del mandato conferito dal Consiglio di Governo guidato dal presidente statunitense Donald Trump.

    In precedenza, Walid Kilani, responsabile dei media di Hamas in Libano, aveva dichiarato che “tutti i palestinesi, Hamas compreso, decideranno chi governa Gaza”. Kilani ha aggiunto che il popolo palestinese è “perfettamente in grado di governarsi da solo” e ha sottolineato la necessità di creare un organismo civile indipendente per l’amministrazione della Striscia, fondato su un accordo nazionale conforme ai patti di Pechino e de Il Cairo, con un governo tecnocratico incaricato di gestire gli affari interni di Gaza.

    Il ruolo dell’Egitto: addestramento e ricostruzione

    Il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdel-Aati, intervenendo alla sessione straordinaria del Consiglio dei Ministri degli Esteri dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (OIC) a Gedda, ha confermato che l’Egitto sta addestrando il personale di polizia palestinese in vista del suo dispiegamento nella Striscia di Gaza.
    Ha ricordato che il piano egiziano per la “ripresa rapida, la ricostruzione e lo sviluppo di Gaza”, adottato al vertice arabo straordinario de il Cairo il 4 marzo, mira a garantire al popolo palestinese il diritto di ricostruire e restare sulla propria terra, affrontando le condizioni umanitarie catastrofiche generate dalla guerra israeliana.

    Il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdel Aty

    Abdel-Aati ha illustrato una visione globale articolata in tre fasi di ripresa e ricostruzione, annunciando che l’Egitto intende organizzare una conferenza internazionale per la ricostruzione in collaborazione con il governo palestinese e le Nazioni Unite, allo scopo di mobilitare sostegno economico e creare un fondo fiduciario sotto supervisione internazionale.

    Il ministro ha inoltre sottolineato che l’Egitto non ha mai smesso di lavorare per fermare la guerra e che prosegue con determinazione per garantire l’attuazione dell’accordo di cessate il fuoco nelle sue tre fasi.
    Ha infine rivelato che è stato raggiunto un accordo con la parte palestinese per la formazione di un comitato indipendente e unificato incaricato dell’amministrazione temporanea della Striscia di Gaza, in preparazione del ritorno completo dell’Autorità Nazionale Palestinese.

    I bulldozer egiziani, intanto,  hanno cominciato a muoversi sabato 4 ottobre lungo la strada Salah al-Din, che collega il Nord e il sud della Striscia di Gaza, per sgomberare le macerie e riaprire le vie di comunicazione.

    Lo ha annunciato il Comitato egiziano per i soccorsi a Gaza, che fornisce aiuti umanitari agli abitanti dell’enclave.

    Mezzi cingolati egiziani rimuovono le macerie a Gaza

    In questo quadro complesso, l’Egitto emerge come attore cardine della diplomazia mediorientale, impegnato su più fronti: la mediazione politica, la ricostruzione civile e la sicurezza regionale.
    Ma la prospettiva di una presenza militare israeliana prolungata nelle tre aree chiave di Gaza rischia di compromettere la fragile architettura del piano di pace e di riaccendere tensioni con il Cairo.

    L’incontro del 6 ottobre sarà dunque un banco di prova decisivo: o l’avvio di una nuova fase di stabilità e cooperazione, o l’ennesimo capitolo di una crisi che continua a ridefinire gli equilibri del Medio Oriente.

    *L’autrice è presidente della associazione Italo-Egiziana Eridanus e vicepresidente del Centro Studi UCOI-UCOIM  

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