GERUSALEMME (dal nostro inviato). La festa corale, pubblica sulla liberazione, avvenuta oggi dopo 738 giorni, dei 20 ostaggi, catturati dalle milizie di Hamas, si è trasformata in una festa familiare, intima.

Gli abbracci, i baci, i pianti di chi ha ritrovato un proprio familiare dopo 2 anni di prigionia, da questa mattina fanno parte del ritorno alla vita.
Alla normalità della vita.
Certo lo stress post traumatico accompagnerà per tanto tempo le vittime e ci vorrà del tempo per recuperare. Ma il ritorno alla libertà è più importante di tutti.
Un intero Paese si è stretto intorno agli ostaggi e alle loro famiglie. E insieme a Israele hanno partecipato anche gli Stati Uniti in primis e gli altri Paesi che hanno stretto l’ala politica di Hamas all’angolo.

Portandola alla firma dell’accordo e all’accettazione dei 20 punti del Piano voluto dal Presidente USA, Donald Trump, che questa mattina è arrivato a Gerusalemme per parlare alla Knesset, il Parlamento israeliano.

E’ stato accolto all’aeroporto di Tel Aviv del Presidente della Repubblica Isaac Herzog e dal premier Benjamin Netanyahu,

Poi percorrendo una blindatissima autostrada che collega le due città è arrivato nella Città Santa, altrettanto presidiata da Polizia nazionale, Border Police, da militari e da controlli con elicotteri.
Trump, nel pomeriggio, è partito per Sharm El Sheikh per la cerimonia della firma dell’accordo.
Sul Presidente USA si sono dette tante cose, alcune anche a mo’ di sfottò, ma quello che è ora apparso chiarissimo è stata la capacità diplomatica, di mediazione per arrivare a tutto questo.
E’ chiaro che il popolo israeliano, le sue Autorità politiche abbiano espresso parole di grande riconoscimento.
Qui a Gerusalemme, ma anche in altre parti del Paese, le bandiere a stelle e strisce sono unite a quelle con la Stella di Davide.
Una vecchia, calda amicizia si dice che si vede nel momento del bisogno. Ebbene, quando Israele ha avuto bisogno, Washington era lì pronta ad aiutare militarmente e politicamente.

E questo la gente comune non lo dimenticherà. Come non ha dimenticato i precedenti Presidenti americani che sono riusciti a portare a casa accordi per il Medio Oriente e per Israele, quali Jimmy Carter, Bill Clinton e lo stesso Trump (ricordiamo quello chiamato Accordo di Abramo).
Insomma ancora una volta gli USA e Israele hanno rafforzato il Medio Oriente, con il contributo di Paesi sunniti contro gli sciiti con a capo l’Iran.
Da queste parti commistione politica e religiosa sono un tutt’uno. Antiche ruggini vengono alla luce anche dopo tantissimi anni. E nascono e muoiono anche intese che si pensava indissolubili?
Accadrà anche ora con il piano di Trump? Ci si augura di no.
Tutto dipenderà dalla capacità politica di ogni attore far ssh che nel “teatro medio orientale” questa tragedia finita bene non si trasformi poi in farsa.
Sia nel campo israeliano che in quello palestinese coinvolgendo, per il solo gusto di continuare i conflitti, la popolazione civile.
In questo caso però dovesse accadere un nuovo attacco contro Israele i cittadini sapranno come reagire.
Il 7 ottobre 2023 è entrato nelle vene della gente comune. E una giornata di festa non può lenire tutti i dolori.
E a proposito degli ostaggi morti per mano di Hamas, l’organizzazione terrorista ha detto che oggi ne rilascerà solo 4 su 28. Hamas ha avvertito che avrebbe difficoltà a localizzare alcune delle persone decedute.
Questi i nomi degli ostaggi uccisi e di cui sono stati restituiti i corpi: Guy Iluz, Daniel Peretz, Yossi Sharabi, Bipin Joshi.

Le Forze di Difesa d’Israele non si fermeranno “fino a quando la missione non sarà completata”.
Illouz è stato prelevato dal festival musicale Nova il 7 ottobre di due anni fa ed è deceduto in un ospedale di Gaza a causa delle ferite riportate, apparentemente a causa della mancanza di cure mediche.
La sua morte è stata confermata nel dicembre di quello stesso anno.
La sorte di Joshi, uno studente di agraria nepalese, non è stata confermata da Israele, che tuttavia ha espresso “grave preoccupazione” per lui. Sharabi, 53 anni proveniente dal Kibbutz Be’eri, fratello dell’ostaggio liberato Eli Sharabi, è stato rapito da casa sua e ucciso mentre era detenuto.
Perez, 22 anni, comandante del 77* Battaglione della 7^ Brigata Corazzata di Yad Binyamin è stato invece ucciso in uno scontro con Hamas sempre il 7 ottobre.
Altri corpi potrebbero essere restituiti sempre oggi.
Da parte sua il Presidente israeliano Herzog ha scritto, in un post in ebraico su X, che, con il ritorno dei 20 ostaggi vivi da Gaza oggi, “non dimentichiamo nemmeno per un momento le famiglie in lutto i cui cari non sono ancora tornati”.
“Non ci fermeremo e non resteremo in silenzio – ha concluso il capo dello Stato – finché non avremo adempiuto al nostro sacro obbligo morale, ebraico e umano: riportare indietro tutti i nostri ostaggi. Finché ogni dubbio non sarà dissipato e ogni famiglia non avrà trovato una conclusione”.
E il papà di uno degli ostaggi, Alon Nimrodi, genitore di Tamir Nimrodi, che non era tra i liberati oggi, ha inviato un messaggio sui social media.
“Voglio chiarire a tutti – ha scritto – che Tamir, fin dal primo giorno, è stato indicato come ostaggio vivente e anche oggi, nonostante la fitta nebbia, non è stato dimostrato il contrario”.
La liberazione di Alan, un soldato preso in ostaggio durante l’attacco guidato da Hamas del 7 ottobre 2023, e di Bipin Joshi, uno studente di agraria nepalese anch’egli preso in ostaggio, non è stata confermata da Israele, che tuttavia ha espresso “grave preoccupazione” al riguardo.
Nessuno dei due è stato rilasciato oggi e non è stato fatto alcun annuncio in merito al loro status.
“Bibi ha normalizzato il numero 20 invece di 22”, ha detto Nimrodi, riferendosi alla lista dei 20 ostaggi viventi menzionata dal primo ministro Benjamin Netanyahu nelle ultime settimane.
E un ostaggio appena rilasciato Alon Ohel, musicista, ha suonato il pianoforte per la prima volta dal 7 ottobre 2023 nella sua stanza d’ospedale al Beilinson Hospital di Tel Aviv.

Lo ha raccontato sua madre Idit Ohel a Channel 12. “Pochi minuti fa, si è seduto al pianoforte nella sua stanza e ha suonato un po’, dopo due anni senza toccarne uno”, ha raccontato la mamma, aggiungendo che lentamente tornerà a suonare al livello a cui era abituato.
La famiglia di Ohel hanno utilizzato pianoforti donati in tutto il mondo per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla sua difficile situazione.
Alla domanda sulle cattive condizioni di uno degli occhi di Alon, come riportato dagli ostaggi rilasciati all’inizio di quest’anno, ha risposto che “Alon vede molto poco dall’occhio destro”.
“Non è ancora stato sottoposto a esami approfonditi; vedremo”, ha aggiunto la mamma.
Idit ha poi sottolineato che suo figlio non sa nulla di ciò che è accaduto in Israele negli ultimi due anni, a parte il fatto che c’è stata una guerra.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

