Israele: tutto pronto per l’occupazione totale di Gaza. Il via libera di Donald Trump e l’allarme internazionale

Di Bruno Di Gioacchino

TEL AVIV. Fonti ufficiali israeliane confermano che il Governo guidato da Benjamin Netanyahu ha preso una decisione strategica di enorme portata: procedere con l’occupazione diretta di porzioni significative della Striscia di Gaza, in assenza di una tregua accettata da Hamas.

Soldati israeliani durante le operazioni nella Striscia di Gaza

 

A sostegno della manovra vi sarebbe anche il via libera politico da parte del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ne rafforzerebbe la legittimità interna e internazionale presso alcune alleanze.

Nethanyau e Trump alla Casa Bianca

 

Questa iniziativa rappresenta una svolta radicale rispetto al disimpegno israeliano del 2005, anno in cui il Paese medio orientale si ritirò formalmente da Gaza.

Dopo mesi di conflitto, bombardamenti e divisioni interne, il Gabinetto di sicurezza israeliano valuta ora una strategia d’occupazione su larga scala, come evoluzione della già implementata separazione in “corridoi” militari come quello di Morag, attivo da aprile scorso.

L’appoggio dell’Amministrazione Trump segna un punto di rottura rispetto alle politiche tradizionali degli Stati Uniti, storicamente improntate a un supporto diplomatico e alla mediazione.

Secondo diverse fonti, il presidente avrebbe accolto con favore la proposta israeliana, non solo come misura per colpire Hamas, ma anche come risposta alle richieste delle componenti più radicali della coalizione di governo di Netanyahu. L’opzione di un futuro coinvolgimento americano nella ricostruzione di Gaza e nel trasferimento di parte della popolazione palestinese è tornata nei discorsi di alcuni esponenti israeliani e statunitensi, sollevando proteste da parte di organizzazioni umanitarie.

All’interno dello stesso Israele, la proposta è motivo di profonda divisione.

Figure di spicco dell’estrema destra, come Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, spingono per un controllo totale della Striscia.

Il ministro della Sicurezza Nazionale di Israele, Itamar Ben-Gvir

Tuttavia, più di 600 ex funzionari dell’apparato di sicurezza israeliano hanno sottoscritto una lettera aperta indirizzata a Trump, chiedendo pressioni su Netanyahu per fermare l’escalation. Secondo loro, gli obiettivi militari sono stati sostanzialmente raggiunti, e la priorità ora dovrebbe essere il salvataggio degli ostaggi e l’inizio di un processo di stabilizzazione.

La comunità internazionale ha reagito con forte preoccupazione.

Germania, Francia, Regno Unito, numerosi Paesi arabi e le Nazioni Unite hanno espresso netta opposizione all’ipotesi di occupazione e ai piani di trasferimento forzato della popolazione, definendoli contrari al diritto internazionale e potenzialmente assimilabili a crimini di guerra.

Le dichiarazioni più dure arrivano dai portavoce dell’ONU, secondo cui ogni annessione forzata sarebbe non solo illegale ma anche destabilizzante per l’intera regione.

La sede dell’ONU a Gaza

Al tempo stesso, resta sorprendente la scarsità di attenzione mediatica rivolta alle responsabilità dirette di Hamas, che continua a usare la popolazione civile come scudo umano, a rifiutare proposte di tregua e a mantenere in ostaggio decine di israeliani.

Le sue scelte strategiche, fondate su un mix di ideologia fondamentalista e calcolo politico, hanno contribuito in modo determinante all’attuale tragedia umanitaria.

In questo quadro, la narrazione prevalente dell’ONU e di numerose cancellerie europee appare spesso sbilanciata: si insiste sulle reazioni israeliane ma si tace sull’aggressione originaria, sulle violazioni sistematiche da parte di Hamas e sulla sistematica distruzione di ogni possibilità di convivenza civile.

Questo squilibrio alimenta una percezione di ingiustizia che ha ricadute concrete: indebolisce le istituzioni multilaterali, rafforza l’intransigenza e ostacola ogni prospettiva negoziale.

L’Europa, in particolare, continua a esprimere dichiarazioni formali in favore della pace senza affrontare il nodo fondamentale: l’esistenza di un attore armato che non riconosce Israele, rigetta ogni mediazione e sfrutta cinicamente la sofferenza dei propri civili per fini propagandistici. Una reale soluzione passa anche dal riconoscere queste verità scomode, senza le quali ogni appello umanitario rischia di restare privo di efficacia.

Sul piano geopolitico, la nuova strategia potrebbe avere effetti a lungo termine: da un lato, la progressiva occupazione di Gaza rafforzerebbe il controllo israeliano su aree chiave; dall’altro, l’appoggio statunitense rischia di isolare Washington sul piano diplomatico, allontanandola da partner storici e alimentando tensioni con il sistema delle Nazioni Unite.

La crisi umanitaria in corso potrebbe aggravarsi ulteriormente, con nuove ondate di sfollati verso Egitto e Giordania e il rischio concreto di una guerra ibrida diffusa, con attacchi asimmetrici anche al di fuori della Striscia.

Continua la crisi umanitaria a Gaza

Infine, le implicazioni interne israeliane sono tutt’altro che trascurabili. L’accentuarsi dello scontro tra il governo e ampi settori della società civile e dell’establishment militare potrebbe portare a una crisi politica interna, a un’erosione del consenso per Netanyahu e, in prospettiva, a un cambio di leadership o a nuove elezioni.

Questo momento segna un passaggio critico della lunga e dolorosa vicenda israelo-palestinese. L’equilibrio tra sicurezza, diritti umani e legittimità internazionale è sempre più fragile. Le prossime mosse di Tel Aviv e Washington saranno decisive per il futuro della regione.

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